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La vita di don Bosco ha avuto delle grandi sofferenze ma furono da lui portate con eroica umiltà e pazienza. Qui vogliamo, invece, parlare di croci quotidiane, più passeggere di quelle ma non meno pesanti. Si tratta di spine che egli incontrò sul cammino ad ogni piè sospinto, in realtà spine pungenti alla sua coscienza retta ed al suo cuore sensibile, che avrebbero potuto scoraggiare chiunque meno paziente di lui. Porteremo solo alcuni esempi di fastidi di carattere prevalentemente finanziario, che egli ebbe ad avere per colpa altrui.
Scrivendo il 25 aprile del 1876 una lettera da Roma a Don Michele Rua, egli diceva fra l’altro: «Quante cose, quanti carrozzini fatti e in corso da farsi. Sembrano favole!» Qui il termine “carrozzini” è un piemontesismo usato da Don Bosco per indicare angherie altrui che gli procurarono oneri gravi e inaspettati, di cui egli non era stato la causa ma la vittima.

Tre casi significativi
Il proprietario di un pastificio a vapore, certo Avv. Luigi Succi di Torino, uomo molto conosciuto per le sue opere di beneficenza, un giorno pregò Don Bosco di prestargli la sua firma in un’operazione bancaria per ritirare 40.000 lire. Trattandosi di un uomo ricco da cui aveva ricevuto non pochi benefici, Don Bosco vi si arrese. Ma tre giorni dopo il Succi morì, la cambiale scadde e Don Bosco mandò ad avvisare gli eredi dell’impegno del loro defunto.
Testificò il Card. G. Cagliero: «Eravamo a cena quando entra Don Rua e dice a Don Bosco che gli eredi non sanno né vogliono sapere di cambiali. Io sedevo al fianco di Don Bosco. Egli stava mangiando la minestra e vidi che tra un cucchiaio e l’altro (si noti che era il mese di gennaio e il refettorio non aveva riscaldamento), gli cadevano dalla fronte nel piatto gocce di sudore, ma senz’affanno e senza interrompere la sua modesta refezione».
Non ci fu verso alcuno di far intendere ragioni a quegli eredi, e Don Bosco dovette pagare lui. Solo dopo circa dieci anni riebbe quasi intera la somma assicurata con l’avallo della sua firma.

Un’altra opera di carità gli costò pure molto cara per le molestie che gli procurò. Un certo Giuseppe Rua, torinese, aveva inventato un apparecchio con il quale elevare in chiesa l’ostensorio sopra il tabernacolo dell’altare e poi abbassarlo nuovamente sulla mensa facendo nello stesso tempo scendere e poi risalire la croce. Ciò avrebbe evitato i rischi che il sacerdote incorreva nel salire sulla scaletta per compiere tale funzione. Sembrava davvero quello un mezzo più semplice e più sicuro per l’esposizione del Santissimo. Per favorirlo Don Bosco inviò i disegni alla Sacra Congregazione dei Riti, raccomandando l’iniziativa. Ma la Congregazione non approvò l’invenzione e non voleva neppure restituire i disegni, adducendo il motivo che tale era la prassi in simili casi. Infine poi si fece un’eccezione per lui onde liberarlo da più gravi molestie. Ma il Sig. Rua, vista la non piccola perdita della sua industria, ne incolpò Don Bosco, gli intentò lite e pretendeva che dal Tribunale egli venisse obbligato a sborsagli una grossa indennità. Per fortuna il magistrato risultò poi di ben diverso avviso. Ma intanto durante il lungo corso della lite, la sofferenza di Don Bosco non fu cosa da poco.

Una terza molestia ebbe origine dalla carità di Don Bosco. Egli aveva ideato una questua speciale nell’inverno 1872-1873. Quell’inverno fu particolarmente duro date le già gravi difficoltà finanziarie pubbliche. Don Bosco, per procurare mezzi di sussistenza alla sua opera di Valdocco che allora contava circa 800 giovani convittori, scrisse una circolare spedita in busta chiusa a potenziali contribuenti, invitandoli ad acquistare biglietti da dieci lire ciascuno a titolo di elemosina e mettendo a premio per sorteggio una pregevole riproduzione della Madonna di Foligno del Raffaello.

Croci che ornano la capella Pinardi

In questa iniziativa la pubblica autorità vide una violazione della legge che proibiva lotterie pubbliche e citò Don Bosco in giudizio. Questi, interrogato. protestò che quella lotteria non aveva carattere speculativo ma consisteva in un semplice appello alla carità cittadina, accompagnato da un piccolo attestato di riconoscenza. La causa si trascinò molto a lungo e si chiuse solo nel 1875 con la sentenza della Corte d’Appello che condannava «il sacerdote cavaliere Don Giovanni Bosco» a una forte multa per contravvenzione alla legge sulle lotterie. Pur non dubitandosi che il fine da lui propostosi era lodevole, la sua buona fede non poteva esimerlo dalla pena, bastando il fatto materiale a stabilire la contravvenzione anche perché «avrebbe potuto trascendersi il fine che egli con ciò intendeva»!
Questa diffida spinse Don Bosco ad un ultimo tentativo. Ricorse al Re Vittorio Emanuele II, implorando in virtù di grazia sovrana il condono a favore dei suoi giovani sui quali sarebbero cadute le conseguenze della condanna. Ed il Sovrano benignamente annuì, accordando la grazia. La concessione della grazia cadde in un momento in cui Don Bosco era, tra l’altro, tutto ingolfato nelle spese per la sua prima spedizione di Missionari Salesiani in America. Ma nel frattempo quanta trepidazione!
Quantunque Don Bosco, per amor di pace, abbia sempre cercato di evitare liti in tribunale, ne dovette pur sostenere ottenendo solo a volte completa assoluzione. «Summum jus summa iniuria», diceva Cicerone, e cioè il soverchio rigore nel giudicare spesso è una grande ingiustizia.

Il consiglio del Santo
Don Bosco era cosi alieno dalle questioni e dalle liti che lasciò scritto nel suo cosiddetto Testamento Spirituale:
Cogli esterni bisogna tollerare molto, e sopportare anche del danno piuttosto che venire a questioni.
Con le autorità civili ed ecclesiastiche si soffra quanto si può onestamente, ma non si venga a questioni davanti a tribunali laici. Siccome poi malgrado i sacrifici ed ogni buon volere talvolta si devono sostenere questioni e liti, così io consiglio e raccomando che si rimetta la vertenza ad uno o due arbitri con pieni poteri, rimettendo la vertenza a qualunque loro parere.
In questo modo è salvata la coscienza e si mette termine ad affari, che ordinariamente sono assai lunghi e dispendiosi e nei quali difficilmente si mantiene la pace e la carità cristiana
“.

P. Natale CERRATO
Salesiano di don Bosco, missionario in Cina dal 1948 al 1975, studioso di don Bosco e di salesianità, ha scritto vari libri e articoli, svolgendo un prezioso lavoro di divulgazione della vita e delle opere del Santo dei giovani. Entrato nell'eternità dal 2019.