Essere amabili come don Bosco (1/2)

Essere amabili è una qualità umana che si coltiva, accettando la fatica che tante volte comporta. Per don Bosco non era una finalità a sé stessa, ma una via per condurre le anime a Dio. Intervento alla 42° edizione delle Giornate di Spiritualità Salesiana a Valdocco, Torino.

Tutte le cose belle di questo mondo sono incominciate da un sogno (Willy Wonka).
Non mollare il tuo (La mamma di Willy Wonka).

Uno scultore stava lavorando alacremente col suo martello e il suo scalpello su un grande blocco di marmo. Un ragazzino, che passeggiava leccando il gelato, si fermò davanti alla porta spalancata del laboratorio.
Il ragazzino fissò affascinato la pioggia di polvere bianca, di schegge di pietra piccole e grandi che ricadevano a destra e a sinistra.
Non aveva idea di ciò che stava accadendo; quell’uomo che picchiava come un forsennato la grande pietra gli sembrava un po’ strano.
Qualche settimana dopo, il ragazzino ripassò davanti allo studio e con sua grande sorpresa vide un grande e possente leone nel posto dove prima c’era il blocco di marmo.
Tutto eccitato, il bambino corse dallo scultore e gli disse: «Signore, dimmi, come hai fatto a sapere che c’era un leone nella pietra?».

Il sogno di don Bosco è lo scalpello di Dio.
Il semplice e singolare consiglio della Madonna nel sogno dei nove anni «Renditi umile, forte e robusto» divenne la struttura di una personalità unica e affascinante. E soprattutto uno “stile” che possiamo definire “salesiano”.

Tutti amavano don Bosco. Perché? Era attraente, leader nato, una vera calamita umana. Per tutta la vita sarà sempre un “conquistatore” di amici affezionati.
Giovanni Giacomelli che gli rimase amico per la vita ricorda: «Entrato in seminario un mese dopo gli altri, non conoscevo quasi nessuno, e nei primi giorni ero come sperso in mezzo ad una solitudine. Fu il chierico Bosco, che si avanzò a me la prima volta che mi vide solo, dopo il pranzo, e mi tenne compagnia tutto il tempo di ricreazione, raccontandomi varie cose graziose, per divagarmi dai pensieri che potessi avere di casa o dei parenti lasciati. Discorrendo con lui, venni a sapere che durante le vacanze era stato alquanto ammalato. Egli poi mi usò molte gentilezze. Tra le altre mi ricordo che, avendo io una berretta sproporzionatamente alta per cui vari compagni mi prendevano in giro, e ciò rincrescendo a me e a Bosco che veniva sovente con me, me la aggiustò egli stesso, avendo seco l’occorrente ed essendo molto abile nel cucire. D’allora in poi incominciai ad ammirare la bontà del suo cuore. La sua compagnia era edificante».
Possiamo rubare qualcuna delle sue qualità per diventare anche noi “amabili”?

1) Essere una forza positiva
Qualcuno che mantiene costantemente un atteggiamento positivo ci aiuta a vedere il lato positivo e ci spinge ad andare avanti.
«Quando Don Bosco visitò per la prima volta la misera tettoia, che doveva servire pel suo oratorio, dovette far attenzione per non rompersi la testa, perché da un lato non aveva che più di un metro di altezza; per pavimento aveva il nudo terreno, e quando pioveva l’acqua penetrava da tutte le parti. Don Bosco sentì correre tra i piedi grossi topi, e sul capo svolazzare pipistrelli». Ma per don Bosco era il più bel posto del mondo. E partì di corsa: «Corsi tosto da’ miei giovani; li raccolsi intorno a me e ad alta voce mi posi a gridare: “Coraggio, miei figli, abbiamo un Oratorio più stabile del passato; avremo chiesa, sacristia, camere per le scuole, sito per la ricreazione. Domenica, domenica andremo nel novello Oratorio che è colà in casa Pinardi. E loro additava il luogo”.

La gioia.
La gioia, uno stato d’animo positivo e felice, era la normalità della vita di don Bosco.
Più che mai vera per lui è l’espressione «La mia vocazione è un’altra. La mia vocazione è di essere felice nella felicità degli altri».
Davanti all’amore non vi è nessun adulto, solo dei bambini, questo spirito infantile che è abbandono, spensieratezza, libertà interiore.

«Passava da un punto all’altro del cortile, sempre riportando il vanto di abile giocatore, cosa che richiedeva sacrificio e fatica continua. “Innamorava il vederlo in mezzo a noi, diceva uno di questi allievi, ora già in età avanzata. Alcuni di noi erano senza, giubba, altri l’avevano, ma tutta a brandelli; questi a stento teneva ai fianchi i calzoni, quell’altro non aveva cappello, o le dita dei piedi sì affacciavano dalle scarpe rotte. Si era scarmigliati, talora sudici, screanzati, importuni, capricciosi, ed egli trovava le sue delizie stare coi più miserabili. Pei più piccini, aveva poi un affetto da madre. Talora due fanciulli per questioni di giuoco si ingiuriavano e si percuotevano. Don Bosco tosto si faceva presso di loro invitandoli a smettere. Accecati dalla rabbia alcuna volta non gli badavano, ed egli allora alzava la mano come in atto di percuoterli; ma ad un tratto si fermava, prendendoli per un braccio li divideva, e tosto quei birichini cessavano come per incanto da ogni alterco”.
Sovente schierava in due campi opposti i giovani per la barrarotta, e facendosi egli stesso capo di una parte, si incamminava un giuoco così animato che, parte giocatori e parte spettatori, tutti i giovani si infiammavano per quelle partite. Da un lato si voleva la gloria di vincere don Bosco, dall’altro si, faceva festa per la sicurezza della vittoria.
Non di rado egli sfidava tutti i giovani a sopravanzarlo nella corsa, e fissava la meta destinando il premio al vincitore. Ed eccoli allineati. Don Bosco solleva la veste al ginocchio: – Attenti, grida: Uno, due, tre! – E un nugolo di giovani si slancia, ma don Bosco è sempre il primo a toccar la meta. L’ultima di queste sfide ebbe luogo precisamente nel 1868 e don Bosco, non ostante le sue gambe enfiate, correva ancora con tanta rapidità da lasciarsi indietro 800 giovani fra i quali moltissimi di una snellezza meravigliosa. Noi presenti, non potevamo credere ai nostri occhi (MB III,127).

2) Preoccuparsi sinceramente degli altri
Una delle caratteristiche delle persone “attiranti” è l’attenzione e la preoccupazione genuina e sincera per gli altri. Non si tratta solo di chiedere a qualcuno come è andata la giornata e di ascoltare la sua risposta. Si tratta di ascoltare davvero, entrare in empatia e mostrare un interesse genuino per la vita degli altri. Don Bosco piangerà con il cuore in pezzi alla morte di don Calosso, di Luigi Comollo, alla vista dei primi ragazzi dietro le sbarre di una prigione.

Il giovane anticlericale
Di questo giovane daremo qualche cenno perché è come il rappresentante di cento e cento altri suoi compagni. Don Bosco nell’autunno, del 1860 entrava nella bottega da caffè, così detta della Consolata, perché presso al celebre Santuario di tal nome, e prendeva posto in una stanza appartata per leggere con tranquillità la corrispondenza che soleva recar seco. In quella bottega un cameriere disinvolto e cortese serviva gli avventori. Si chiamava Cotella Giovanni Paolo, nativo di Cavour (Torino), dell’età di 13 anni. Era fuggito da casa nell’estate di quell’anno stesso, perché insofferente de’ rimproveri e della severità de’ suoi genitori. Lasciamo a lui la descrizione del suo incontro con Don Bosco, come la narrò a D. Cerruti Francesco.
Una sera, raccontò egli, il padrone mi disse: «Porta una tazza di caffè ad un prete che è nella camera di là». «Io portare il caffè ad un prete?» soggiunsi tosto come trasecolato. I preti erano allora malveduti come adesso, anzi più, che adesso. Ne avevo sentite e lette di tutti i colori e mi era quindi formato dei preti un pessimo concetto.
Andato con aria beffarda: «Che vuole da me, lei prete?» chiesi malamente a Don Bosco. Ed egli guardandomi fisso: «Desidero da te, bravo giovane, una tazza di caffè» mi rispose con grande amabilità «ma ad un patto». «Quale?»  «Che me la porti tu stesso».
Quelle parole e quello sguardo mi vinsero e dissi fra me: «Questo non è un prete come gli altri».
Gli portai il caffè; una forza arcana mi teneva presso di lui, che prese ad interrogarmi, sempre colla più grande amorevolezza, sul mio paese natio, la mia età, le mie occupazioni e soprattutto perché fossi fuggito di casa. Poi: «Vuoi venire con me?» mi disse. «Dove?» «All’Oratorio di D. Bosco. Questo luogo e questo servizio non fanno per te». «E quando sarò là?» «Se ti piace, potrai studiare». «Ma lei mi terrà bene?» «Oh, pensa! Là si giuoca, si sta allegri, ci si diverte…» «Bene, bene» risposi «vengo. Ma quando? Subito? Domani?» «Di stasera» soggiunse D. Bosco.
Mi licenziai dal padrone, che avrebbe voluto mi fermassi ancora alcuni giorni, ed io, presi i miei pochi cenci, andai nella stessa sera all’Oratorio. Il domani Don Bosco scrisse a miei genitori per rassicurarli sul conto mio, e invitandoli a recarsi da lui per le necessarie intelligenze intorno al concorso loro per vitto e spese relative. Venne infatti mia madre cui, dopo aver ascoltato quanto espose intorno alle condizioni della famiglia: «Bene, concluse D. Bosco, facciamo così; lei paghi 12 lire al mese, il resto lo metterà D. Bosco».
Ammirai in questo, non solo la squisita carità, ma la prudenza di D. Bosco. La mia famiglia non era ricca, ma godeva di sufficiente benestare. Se quindi egli mi avesse accettato affatto gratuitamente, non avrebbe fatto bene, perché questo sarebbe stato di danno ad altri più bisognosi di me.
Per due anni i suoi parenti avevano mantenuto l’accordo con Don Bosco riguardo alla pensione, ma sul principio del terzo cessarono di pagare e più non ne vollero sapere: Il giovane, pur essendo vivace in sommo grado, era aperto, schietto, buono di cuore, di una condotta esemplare, e faceva molto profitto nello studio. Ora in quest’anno scolastico (1862 – 1863) essendo per entrare nella quarta classe, timoroso di dover troncare gli studi, se ne aperse con don Bosco, il quale gli rispose: «E che importa se i tuoi non vogliono più pagare? Non ci sono io? Sta’ sicuro che don Bosco non ti abbandonerà». E infatti, finché stette nell’Oratorio, don Bosco lo provvide di tutto il necessario.
Compiuta la quarta ginnasiale e superati felicemente gli esami, s’impiegò; e i primi denari che poté mettere insieme col suo lavoro, li mandò a costo di privazioni e a piccole rate a don Bosco per fare il saldo di quella poca pensione che i parenti nell’ultimo anno dell’Oratorio avevano tralasciato di pagare. Visse da buon cristiano, zelò la diffusione delle Letture Cattoliche, fu tra i primi ad aggregarsi all’unione degli ex allievi e si tenne sempre in affettuosa comunicazione con suoi antichi superiori.

3) Essere un buon ascoltatore
In un mondo in cui tutti sembrano parlare in continuazione, un buon ascoltatore si distingue. Una cosa è ascoltare ciò che qualcuno dice, ma ascoltare davvero – assorbire e capire – è un’altra cosa. Essere un buon ascoltatore non significa solo rimanere in silenzio mentre l’altra persona parla. Si tratta di partecipare alla conversazione, di fare domande di approfondimento e di mostrare un interesse genuino.

Il contatto come scambio di energia.
Aveva una delle qualità più rare: la “grazia di esistenza”. Una vita traboccante, come vino buono dal tino. Per cui migliaia di persone hanno detto: «Grazie perché ci sei!» e «Accanto a te io sono un altro!».
«Ascoltava i ragazzi colla maggior attenzione come se le cose da loro esposte fossero tutte molto importanti. Talora si alzava, o passeggiava con essi nella stanza. Finito il colloquio li accompagnava fino alla soglia, apriva egli stesso la porta, e li congedava dicendo: «Siamo sempre amici, neh!» (Memorie Biografiche VI, 439).

4) La bellezza dell’uomo buono
Per questo don Bosco è attraente. Il Cardinale Giovanni Cagliero riferiva il fatto seguente notato personalmente nell’accompagnare don Bosco. Dopo una conferenza tenuta a Nizza, don Bosco usciva dal presbitero della chiesa per avviarsi alla porta, tutto circondato dalla folla che non lo lasciava camminare. Un individuo dall’aspetto torvo stava immobile a guardarlo come se macchinasse un brutto tiro. Don Cagliero, che lo teneva d’occhio, inquieto per ciò che potesse succedere, vide l’uomo avvicinarsi. Don Bosco gli rivolse la parola: «Che cosa desiderate?» «Io? Nulla!»
«Eppure sembra che abbiate qualche cosa da dirmi!» «Io non ho nulla da dirle».
«Volete confessarvi?» «Confessarmi, io? Ma neppur per sogno!»
«Dunque che cosa fate qui?» «Sto qui perché… non posso andar via!»
«Ho capito… Signori, mi lascino un momento solo», disse don Bosco a quelli che lo circondavano. I vicini si tirarono in disparte, don Bosco sussurrò qualche parola all’orecchio di quell’uomo che, cadendo in ginocchio, si confessò in mezzo alla chiesa (cf. MB XIV, 37).

Papa Pio XI, il Pontefice che canonizzò don Bosco e che nell’autunno del 1883 era stato ospite di don Bosco, nella Casa Pinardi, ricorda: «Eccolo a rispondere a tutti: e aveva la parola esatta per tutto, così propria da meravigliare: prima infatti sorprendeva e poi troppo meravigliava».
Due cose ci fanno capire l’eternità: l’amore e lo stupore. Don Bosco le sintetizzava nella sua persona. La bellezza esteriore è la componente visibile di quella interiore. E si manifesta attraverso la luce che promana dagli occhi di ogni individuo. Non importa che questi sia malvestito o non si conformi ai nostri canoni dell’eleganza, oppure se non cerchi di imporsi all’attenzione delle persone che lo circondano. Gli occhi sono lo specchio dell’anima e, in qualche maniera, rivelano ciò che sembra occulto.
Ma, oltre alla capacità di brillare, essi posseggono un’altra qualità: fungono da specchio sia per le doti racchiuse nell’animo sia per gli uomini e le donne che sono oggetto dei loro sguardi.
Infatti riflettono chi li sta guardando. Come ogni specchio, gli occhi restituiscono il riflesso più intimo del volto che hanno davanti.

Un vecchio sacerdote già alunno a Valdocco, lasciò scritto nel 1889: “Quel che in don Bosco più spiccava era lo sguardo, dolce ma penetrantissimo, fino alle latebre del cuore, cui appena si poteva resistere fissandolo”. E aggiungeva: “In genere i ritratti e i quadri non riportano questa singolarità” (MB VI, 2-3).
Un altro ex-allievo, degli anni ’70, Pons Pietro, rivela nei suoi ricordi: “Don Bosco aveva due occhi che foravano e penetravano nella mente… Egli passeggiava adagio parlando e guardando tutti con due occhi che giravano da ogni parte, elettrizzando di gioia i cuori” (MB XVII, 863).
Sapete di essere una buona persona quando le persone vengono sempre a chiedervi consigli e incoraggiamenti. La porta di don Bosco era sempre aperta per grandi e piccoli. La bellezza dell’uomo buono è una qualità difficile da definire, ma quando c’è, te ne accorgi: come un profumo. Tutti sappiamo che cos’è il profumo delle rose, ma nessuno si può alzare in piedi e spiegarlo.
Talora accadeva questo fenomeno, che un giovane udita la parola di don Bosco, non gli si staccava più dal fianco, assorto quasi in un’idea luminosa… Altri vegliavano di sera alla sua porta, picchiando leggermente ogni tanto, finché non venisse loro aperto, perché non volevano andare a dormire col peccato nell’anima.

(continua)