Il testamento di don Bosco

            Con il testamento, si sa, una persona dispone delle sue sostanze per il tempo successivo alla propria morte. Non si direbbe, quindi, argomento troppo simpatico quello che stiamo per trattare. Eppure serve a farci meglio apprezzare la grande serenità e prudenza di Don Bosco. Egli, sin da giovane, aveva sempre dinanzi a sé il pensiero della morte e ne parlava sovente.
            Nell’archivio salesiano centrale sono conservati vari successivi manoscritti del suo testamento olografo (ASC 112 – FdB N. 73).
            A Torino nel 1846 si ammalò al punto che si temeva per la sua stessa vita. Negli anni ’50 ci fu chi tentò di assassinarlo. E Don Bosco si teneva sempre preparato ad ogni evento.
            Il primo testamento olografo di Don Bosco che possediamo risale al 26 luglio 1856, quando Don Bosco stava per compiere 41 anni di età ed era ancora in vita sua madre. Incominciava con queste parole: «Nell’incertezza di vita in cui si trova ogni uomo che vive in questo mondo…, ecc.».
            Lasciava l’usufrutto dei suoi beni posseduti a Torino a Don Vittorio Alasonatti, economo della Casa di Valdocco e la proprietà al chierico Michele Rua, che già sin d’allora era il suo braccio destro.
            Ai parenti lasciava i beni di Castelnuovo, tenuto conto che la madre vivente doveva rimanerne usufruttuaria. Perduta nel novembre di quello stesso anno la madre, corresse così ciò che aveva scritto.: «Tutto quello che io possiedo a Castelnuovo d’Asti, lascio a mio fratello Giuseppe…».

I successivi manoscritti
            Nel febbraio del 1858, Don Bosco partiva la prima volta per Roma onde ottenere udienza dal Papa Pio IX e presentargli il suo progetto della Società Salesiana. Aveva stabilito di andarvi via mare e fare ritorno via terra attraversando la Toscana, gli Stati di Parma, Piacenza, Modena ed il Lombardo-Veneto. Si mise in viaggio sul primo mattino del 18 febbraio dopo una gelida notte in cui era caduta la neve, accompagnato dal fedelissimo chierico Michele Rua.
            Fece in treno solo il tratto Torino-Genova. Dovette poi imbarcarsi sull’Aventino, un battello a vapore che faceva servizio per Civitavecchia. Da Civitavecchia a Roma viaggiò su vettura postale. Il 21 febbraio giunse nella città dei Papi dove fu ospite del Conte De Maistre in via del Quirinale 49, alle Quattro Fontane, mentre Don Rua alloggiò presso i Rosminiani (MB V, 809-818).
            Ma prima di iniziare quel viaggio Don Bosco aveva provveduto, per l’occorrenza, non solo al passaporto ma anche a fare testamento.
            Un altro esemplare di testamento di Don Bosco porta la data del 7 gennaio 1869. In esso egli costituiva suo erede universale ed esecutore testamentario, per quanto riguardava le proprietà salesiane, il sacerdote Rua Michele e, in caso di sua morte, il sac. Cagliero Giovanni.
Il 29 marzo 1871 riconfermava con nuovo manoscritto suoi eredi Don Rua e Don Cagliero e, per le proprietà di Castelnuovo, i suoi parenti. Nello stesso anno, durante la malattia di Varazze, scrisse in data 22 dicembre 1871 una conferma del testamento precedente (MB X, 1334-133).

Il testamento del 1884
            Nel 1884 Don Bosco si accingeva a partire la decima volta per la Francia in cerca di denaro per la Basilica del Sacro Cuore a Roma. Era in cattivo stato di salute. Il Dott. Albertotti, chiamato a dissuaderlo dal viaggio, dopo averlo visitato aveva detto:
            — Se arriverà fino a Nizza senza morire, sarà un miracolo.
— Se io non tornerò più, pazienza -, aveva risposto Don Bosco, – vuol dire che prima di andare aggiusteremo le cose, ma andare bisogna (MB VII, 34).
            E così fece. Nel pomeriggio di quel 29 febbraio mandò a chiamare notaio e testimoni e dettò il proprio testamento, come se fosse sul punto di partire per l’eternità. Poi, fatti venire Don Rua e Don Cagliero, e indicando sul tavolo l’atto notarile, disse loro:
            — Qui c’è il mio testamento… Se non ritornerò più, come teme il medico, voi saprete già come stanno le cose.
            Don Rua uscì dalla camera con il cuore gonfio. A Don Cagliero il Santo fece cenno di fermarsi e gli lasciò in dono una scatoletta che conteneva l’anello nuziale di suo padre.
Il 7 dicembre di quell’anno Don Cagliero veniva consacrato Vescovo titolare di Magida e ripartiva per l’America il 3 febbraio 1885, come Vicario Apostolico in Patagonia.

Il testamento spirituale di Don Bosco
            Ma nell’Archivio Salesiano Centrale è pure conservato un manoscritto di Memorie di Don Bosco che coprono gli anni 1841-1886, conosciuto nella tradizione salesiana come il Testamento spirituale di Don Bosco. Ne citiamo un brano particolarmente significativo:
«Espressi così i pensieri di un Padre verso a’ suoi amati figli, ora mi rivolgo a me stesso per invocare la misericordia del Signore sopra di me nelle ultime ore della mia vita.
            — Io intendo di vivere e di morire nella santa cattolica religione che ha per capo il Romano Pontefice, Vicario di Gesù Cristo sopra la terra.
            — Credo e professo tutte le verità della fede che Dio ha rivelato alla santa Chiesa.
            — Dimando a Dio umilmente perdono di tutti i miei peccati specialmente di ogni scandalo dato al mio prossimo in tutte le mie azioni, in tutte le parole proferite a tempo non opportuno; dimando poi in modo particolare scusa degli eccessivi riguardi usati intorno a me stesso collo specioso pretesto di conservare la sanità…
            — So che voi, o amati figli, mi amate, e questo amore, questa affezione non si limiti a piangere dopo la mia morte; ma pregate pel riposo eterno dell’anima mia…
            — Le vostre preghiere siano con fine speciale al Cielo rivolte affinché io trovi misericordia e perdono al primo momento che io mi presenterò alla tremenda maestà del mio Creatore» (F. MOTTO, Memorie…, Piccola Biblioteca dell’ISS, n. 4, Roma, LAS, 1985, p. 57-58).
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