(continuazione dall’articolo precedente)
4. Conclusione
Nell’epilogo della vita di Francesco Besucco don Bosco esplicita il nocciolo del suo messaggio:
“Vorrei che facessimo insieme una conclusione, che tornasse a mio e a tuo vantaggio. È certo che o più presto o più tardi la morte verrà per ambidue e forse l’abbiamo più vicina di quel che ci possiamo immaginare. È parimente certo che se non facciamo opere buone nel corso della vita, non potremo raccoglierne il frutto in punto di morte, né aspettarci da Dio alcuna ricompensa. […] Animo, o cristiano lettore, animo a fare opere buone mentre siamo in tempo; i patimenti sono brevi, e ciò che si gode dura in eterno. […] Il Signore aiuti te, aiuti me a perseverare nell’osservanza dei suoi precetti nei giorni della vita, perché possiamo poi un giorno andare a godere in cielo quel gran bene, quel sommo bene pei secoli dei secoli. Così sia”.[1]
È su questo punto, di fatto, che confluiscono i discorsi di don Bosco. Tutto il resto appare funzionale: la sua arte educativa, il suo accompagnamento affettuoso e creativo, i consigli offerti e il programma di vita, la devozione mariana e i sacramenti, tutto è orientato all’oggetto primo dei suoi pensieri e delle sue preoccupazioni, al grande affare della salvezza eterna.[2]
Dunque, nella pratica educativa del Santo torinese, l’esercizio mensile della buona morte prosegue una ricca tradizione spirituale, adattandola alla sensibilità dei suoi giovani e con una marcata preoccupazione educativa. Infatti, la revisione mensile della propria vita, il rendiconto sincero al confessore-direttore spirituale, l’incoraggiamento a porsi in uno stato di costante conversione, la riconferma del dono di sé a Dio e la formulazione sistematica di proponimenti concreti, orientati alla perfezione cristiana, ne sono i momenti centrali e costitutivi. Anche le litanie della buona morte non avevano altro scopo che alimentare la confidenza in Dio e offrire uno stimolo immediato per accostarsi ai sacramenti con speciale consapevolezza. Erano anche – come dimostrano le fonti narrative – efficace strumento psicologico per rendere familiare il pensiero della morte, non in modo angosciante, ma come incentivo a valorizzare costruttivamente e gioiosamente ogni momento della vita in vista della “beata speranza”. L’accento, infatti, era posto sul vissuto virtuoso e gioioso, sul “servite Domino in laetitia”.
[1] Bosco, Il pastorello delle Alpi, 179-181.
[2] Così si conclude la Vita di Domenico Savio: “E allora colla ilarità sul volto, colla pace nel cuore andremo incontro al nostro Signore Gesù Cristo, che benigno ci accoglierà per giudicarci secondo la sua grande misericordia e condurci, siccome spero per me e per te, o lettore, dalle tribolazioni della vita alla beata eternità, per lodarlo e benedirlo per tutti i secoli. Così sia”, Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico, 136.