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In varie parti del mondo si avvicinano i tempi quando alcuni giovani, attirati dalla grazia di Dio, si preparano di dire il loro “Fiat” alla sequela di Cristo, secondo il carisma che Dio ha istituito tramite san Giovanni Bosco. Quali sarebbero le disposizioni con le quali dovrebbero avvicinarsi a entrare a far parte della Società Salesiana di San Giovanni Bosco? Lo dice lo stesso santo in una sua lettera indirizzata ai suoi figli (MB VIII, 828-830).


            Il giorno di Pentecoste don Bosco indirizzava una lettera a tutti i salesiani, trattando del fine col quale si doveva entrare nella Pia Società di. San Francesco di Sales, ed annunziava che forse fra non molto questa sarebbe definitivamente approvata. Fra i documenti che possediamo non si ha traccia di tale assicurazione. Avendo però il suo autografo la data 24 maggio, festa di Maria Ausiliatrice 1867, sembra che la festa del giorno gli avesse dato l’ispirazione di scrivere e gli abbia mostrato più viva la visione dell’avvenire. Comunque sia, egli ne fece trarre varie copie, mutando poi la data egli stesso, e scrivendovi di proprio pugno l’indirizzo a don Bonetti ed ai miei figli di San Francesco di Sales abitanti in Mirabello; a don Lemoyne ed ai miei figli di San Francesco di Sales abitanti in Lanzo. Era pur sua la firma e il proscritto: Il Direttore legga e spieghi ove d’uopo.
            Ecco la copia destinata per i Salesiani dell’Oratorio.


            «A don Rua ed agli altri miei amati figli di San Francesco abitanti in Torino.

            La nostra Società sarà forse tra non molto definitivamente approvata e perciò io avrei bisogno di parlare ai miei amati figli con frequenza. La qual cosa non potendo fare sempre di persona procurerò almeno di farlo per lettera.

            Comincerò adunque dal dire qualche cosa intorno allo scopo generale della Società e poi passeremo a parlare altra volta delle osservanze particolari della medesima.

            Primo oggetto della nostra Società è la santificazione dei suoi membri. Perciò ognuno nella sua entrata si spogli di ogni altro pensiero, di ogni altra sollecitudine. Chi ci entrasse per godere una vita tranquilla, aver comodità a proseguir gli studi, liberarsi dai comandi dei genitori, od esimersi dall’obbedienza di qualche superiore, egli avrebbe un fine storto e non sarebbe più quel sequere me (seguimi) del Salvatore, giacché seguirebbe la propria utilità temporale, non il bene dell’anima. Gli Apostoli furono lodati dal Salvatore e venne loro promesso un regno eterno, non perché abbandonarono il mondo, ma perché abbandonandolo si professavano pronti a seguirlo nelle tribolazioni; come avvenne di fatto, consumando la loro vita nelle fatiche, nella penitenza e nei patimenti, sostenendo in fine il martirio per la fede.

            Nemmeno con buon fine entra o rimane nella Società chi è persuaso di essere necessario alla medesima. Ognuno se lo imprima bene in mente e nel cuore: cominciando dal Superiore Generale fino all’ultimo dei soci, niuno è necessario nella Società. Dio solo ne deve essere il capo, il padrone assolutamente necessario. Perciò i membri di essa devono rivolgersi al loro capo, al loro vero padrone, al rimuneratore, a Dio, e per amor di lui ognuno deve farsi inscrivere nella Società, per amor di Lui lavorare, ubbidire, abbandonare quanto si possedeva al mondo per poter dire in fine della vita al Salvatore, che abbiamo scelto per modello: Ecce nos reliquimus omnia et secuti sumus te; quid ergo erit nobis? (Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo? Mt 19,27)

            Mentre poi diciamo che ognuno deve entrare in Società guidato dal solo desiderio di servire a Dio con maggior perfezione e di fare del bene a sé stesso, s’intende fare a sé stesso il vero bene, bene spirituale ed eterno. Chi si cerca una vita comoda, una vita agiata, non entra con buon fine nella nostra Società. Noi mettiamo per base la parola del Salvatore che dice: “Chi vuole essere mio discepolo, vada a vendere quanto possiede nel mondo, lo dia ai poveri e mi segua.” Ma dove andare, dove seguirlo, se non aveva un palmo di terra ove riporre lo stanco suo capo? “Chi vuol farsi mio discepolo, dice il Salvatore, mi segua colla preghiera, colla penitenza e specialmente rinneghi sé stesso, tolga la croce delle quotidiane tribolazioni e mi segua. Abneget semetipsum tollat crucem suam quotidie, et sequatur me.” (Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Lc. 9,23). Ma fino a quando seguirlo? Fino alla morte e, se fosse mestieri, anche ad una morte di croce.

            Ciò è quanto nella nostra Società fa colui che logora le sue forze nel sacro ministero, nell’insegnamento od altro esercizio sacerdotale, fino ad una morte eziandio violenta di carcere, di esilio, di ferro, di acqua, di fuoco, fino a tanto che dopo aver patito, ed esser morto con Gesù Cristo sopra la terra, possa andare a godere con Lui in Cielo.

            Questo sembrami il senso di quelle parole di S. Paolo che dice a tutti i cristiani: Qui vult gaudere cum Christo, oportet pati cum Christo. (Chi vuole rallegrarsi con Cristo deve patire con Cristo)

            Entrato un socio con queste buone disposizioni deve mostrarsi senza pretese ed accogliere con piacere qualsiasi ufficio gli possa essere affidato. Insegnamento, studio, lavoro, predicazione, confessione in chiesa, fuori di chiesa, le più basse occupazioni devono assumersi con ilarità e prontezza d’animo, perché Dio non guarda la qualità dell’impiego, ma guarda il fine di chi lo copre. Quindi tutti gli uffizi sono egualmente nobili, perché egualmente meritori agli occhi di Dio.

            Miei cari figliuoli, abbiate fiducia nei vostri superiori: essi devono rendere stretto conto a Dio delle vostre opere; perciò essi studiano la vostra capacità, le vostre propensioni e ne dispongono in modo compatibile colle vostre forze, ma sempre come loro sembra tornare di maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime.

            Oh! se i nostri fratelli entreranno in Società con queste disposizioni, le nostre Case diventeranno certamente un paradiso terrestre. Regnerà la pace e la concordia tra gli individui di ogni famiglia, e la carità sarà la veste quotidiana di chi comanda, l’ubbidienza ed il rispetto precederanno i passi, le opere e perfino i pensieri dei Superiori. Si avrà insomma una famiglia di fratelli intorno al loro padre, per promuovere la gloria di Dio sopra la terra, per andare poi un giorno ad amarlo e lodarlo nell’immensa gloria dei beati in Cielo. Dio ricolmi voi e le vostre fatiche di benedizioni e la Grazia del Signore santifichi le vostre azioni e vi aiuti a perseverare nel bene.

Torino, 9 giugno 1867, giorno di Pentecoste.
Aff.mo in G. C., Sac. Bosco GIOVANNI
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