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(continuazione dal’articolo precedente)

Il salesiano
            È accanto ai malati, i bambini. L’Oratorio, che i salesiani avevano fondato all’inizio della casa, terminò con la sua partenza nel lontano 1903. Ma la parrocchia di Sant Vicenç raccolse la fiaccola attraverso un giovane, Joan Juncadella, catechista nato, e il Sordo, suo grande assistente. Tra loro nacque, come detto prima, una fortissima amicizia e una collaborazione permanente, a cui pose fine solo la tragedia del 1936. Alexandre si occupava della pulizia e dell’ordine del luogo, ma ben presto si dimostrò un vero animatore di giochi e delle escursioni che venivano organizzate. E, se necessario, non esitava a mettere a disposizione i soldi che risparmiava.
E aveva dentro di sé il cuore salesiano. La sordità non gli permise di professare come salesiano, cosa che sicuramente desiderava. Tuttavia, risulta che avesse fatto voti privati che emise con l’autorizzazione dell’allora ispettore, don Filippo Rinaldi, secondo la testimonianza di uno dei direttori della casa, padre Crescenzi.
            La sua identificazione con la causa salesiana la dimostrò in mille modi, ma in forma particolarmente significativa prendendosi personalmente cura della casa per quasi 30 anni e difendendola nella difficile situazione dell’estate e dell’autunno del 1936.
            “Sembrava il padre di ognuno di noi”. Quando nel 1935, tre ragazzi annegarono nel fiume “il dolore di quell’uomo era come quello di aver perso tre figli contemporaneamente”. Sappiamo che i salesiani non lo considerarono un dipendente, ma uno della famiglia, o un cooperatore. Oggi forse potremmo dire un laico consacrato nello stile dei Volontari con Don Bosco. “Un salesiano di grande statura spirituale”.

Abbracciato alla Croce, vero testimone di fede e di riconciliazione
            Nell’autunno del 1931 i salesiani tornarono a Sant Vicenç dels Horts. Le rivolte incontrollate che produssero la caduta della monarchia spagnola colpirono la casa di El Campello (Alicante) dove in quel tempo si trovava l’Aspirantato. Fu quindi presa la decisione di spostarlo a Sant Vicenç. La casa, anche se relativamente fatiscente, era pronta e poté ampliarsi con l’acquisto di una torre adiacente. Qui si svolse la vita degli aspiranti, la cui testimonianza sul Sordo ha permesso di disegnare il ritratto dell’uomo, dell’artista, del credente e del salesiano a cui abbiamo fatto riferimento.

Cristo inchiodato alla croce, nel cortile della casa, di Alexandre
La deposizione nelle mani di Maria, nel cortile della casa, di Alexandre
Il santo sepolcro, nel cortile della casa, di Alexandre

            Non è ora il caso di riferirsi alla situazione critica degli anni 1931-1936 in Spagna. Nonostante tutto questo, la vita dell’Aspirantato di Sant Vicenç trascorse abbastanza normalmente. Il motore della vita quotidiana era la coscienza vocazionale dei giovani che sempre li spingeva a guardare avanti nella speranza di legarsi in una data non lontana a don Bosco per sempre.
            Finché arrivò la rivoluzione del 18 luglio 1936. Lo stesso giorno salesiani e giovani fecero la loro escursione-pellegrinaggio al Tibidabo. Quando tornarono, nel pomeriggio, le cose stavano cambiando. In pochi giorni la casa parrocchiale del villaggio venne incendiata, il seminario salesiano fu sequestrato, un clima di intolleranza religiosa si era diffuso ovunque, il parroco e il vicario della parrocchia furono arrestati e uccisi, le forze dell’ordine non poterono o non seppero far fronte ai disordini. A Sant Vicenç prese il potere il “Comitato antifascista”, di matrice chiaramente anticristiana.
            Sebbene in un primo momento la vita degli educatori fosse rispettata, grazie all’attenzione verso i ragazzi che la casa ospitava, tuttavia dovettero assistere alla distruzione e al rogo di tutti gli oggetti religiosi, in particolare dei tre monumenti eretti dal Sordo. “Quanto soffrì” vedendosi nella necessità di collaborare alla distruzione di quella che era espressione della sua profonda spiritualità e di assistere all’espulsione dei sacerdoti.
            In quei giorni il Sordo prese chiaramente coscienza del nuovo ruolo che la rivoluzione lo costringeva ad assumere: senza cessare di essere il principale anello di congiunzione della comunità con il mondo esterno (si era sempre mosso liberamente come fattorino e in ogni tipo di necessità), doveva custodire come prima la proprietà e, soprattutto, proteggere i seminaristi. “In realtà era lui a rappresentare i salesiani e a farci da padre”. In pochi giorni, infatti, rimasero solo i coadiutori e un gruppo sempre più ristretto di ragazzi aspiranti.
            L’espulsione definitiva di entrambi avvenne il 12 novembre. A Sant Vicenç è rimasto solo il signor Alexandre. dei suoi ultimi giorni di vita abbiamo solo tre dati certi: due dei coadiutori espulsi tornò al villaggio il 16 per convincerlo a cercare un posto più sicuro fuori dal villaggio, cosa che Alexandre rifiutò. Non poteva lasciare la casa che aveva custodito per tanti anni e non rispettare lo spirito salesiano anche in mezzo a quelle difficili circostanze. Uno di loro, Eliseo García, non volendolo lasciare solo, rimase con lui. Entrambi furono arrestati nella notte tra il 18 e il 19. Pochi giorni dopo, vedendo che Eliseo non era tornato a Sarriá, un altro salesiano coadiutore e un seminarista si recarono a Sant Vicenç per avere loro notizie. “Non sanno cosa è successo?”, disse una signora amica che conoscevano e che gestiva un bar. “Ci ha raccontato in poche parole della scomparsa del Sordo e di Eliseo”.
            Come trascorse questa ultima settimana? Conoscendo a fondo il percorso di vita del Sordo, sempre fedele ai suoi principi e al suo modo di fare, non è difficile immaginarlo: aiutando gli uni e gli altri, senza nascondere la sua fede e la sua carità, con la consapevolezza di fare il bene, contemplando il mistero della passione e morte di Cristo reale e presente nella vita dei perseguitati, degli scomparsi e degli assassinati… Forse nella speranza che potesse essere il custode non solo delle proprietà dei salesiani ma il custode di tante persone del popolo che soffrivano. Del crocifisso, come abbiamo ricordato, non volle spogliarsi nemmeno nei mesi di persecuzione religiosa che culminarono nel suo martirio. Con questa fede, con questa speranza, con questo immenso amore ascolterebbe dal Signore della gloria: “Molto bene, servo buono e fedele. Sei rimasto fedele in piccole cose; Ti affiderò molto di più. Entra nella gioia del tuo Signore”. (Mt 25,21)

Il Vangelo del Sordo
            Arrivati a questo punto, ogni spirito, per quanto insensibile, non può che tacere e cercare di raccogliere, al meglio delle sue capacità, la preziosa eredità spirituale che Alexandre ha lasciato alla Famiglia Salesiana, la sua famiglia adottiva. Possiamo dire qualcosa sul “suo vangelo”, cioè sulla Buona Novella che Egli ha fatto sua e continua a proporci con la sua vita e la sua morte?
            Alexandre è come quel “sordo che sa a malapena parlare” di Mc 7,32. La supplica dei suoi genitori a Gesù per la guarigione sarebbe stata continua. Come lui, anche Gesù lo portò in un luogo solitario, lontano dalla sua gente e gli disse: “Effata!” Il miracolo non era nella guarigione dell’orecchio fisico, ma nell’orecchio spirituale. Mi sembra che l’accettazione della sua situazione con spirito di fede sia stata una delle esperienze fondanti della sua vita da credente che lo ha portato a proclamare, come il sordo del Vangelo, ai quattro venti: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti” (Mc 7,37).
            E da qui possiamo contemplare nella vita del Sordo “il tesoro nascosto del Regno” (Mt 13,44); “il lievito che fa fermentare tutta la pasta” (Mt 13,33); Gesù in persona “che accoglie i malati” e “benedice i bambini”; Gesù che prega il Padre per ore e ore e ci insegna il Padre nostro (dare gloria al Padre, desiderare il Regno, compiere la sua volontà, fidarsi del pane quotidiano, perdonare, liberare dal male…) (Mt 7,9-13); “l’amministratore della casa che tira fuori dalla sua borsa cose nuove e cose vecchie come meglio crede” (Mt 13,52); “il buon samaritano che ha pietà dell’uomo percosso, gli si avvicina, gli fascia le ferite e si fa carico della sua guarigione” (Lc 10,33-35); “il Buon Pastore, custode dell’ovile che entra dalla porta, ama le pecore fino a dare la vita per loro” (Gv 10,7-11)… In una parola, un’icona vivente delle Beatitudini, di tutte, nella vita di ogni giorno (Mt 5,3-12).
            Ma, e ancora di più, possiamo avvicinarci ad Alexandre e contemplare con lui il Mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù. Un mistero che si avvererà nella sua vita dalla nascita alla morte. Un mistero che lo rafforza nella sua fede, che alimenta la sua speranza e che lo riempie di amore, con cui dare gloria a Dio, fatto tutto per tutti con i bambini e i giovani della casa salesiana, e con i paesani del villaggio di Sant Vicenç specialmente i più poveri, compresi quelli che gli hanno tolto la vita: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Fammi, Signore, testimone di fede e di riconciliazione. Possano anche loro, un giorno, sentire dalle tue labbra: “Oggi sarai con me in Paradiso” (Lc 23,43).
            Beato Alexandre Planas Saurí, laico, martire salesiano, testimone di fede e di riconciliazione, seme fecondo della civiltà dell’Amore per il mondo di oggi, intercedi per noi.

don Joan Lluís Playà, sdb