Con Nino Baglieri pellegrino di Speranza, nel cammino del Giubileo
Il percorso del Giubileo 2025, dedicato alla Speranza, trova un testimone luminoso nella vicenda del Servo di Dio Nino Baglieri. Dalla drammatica caduta che lo rese tetraplegico a diciassette anni fino alla rinascita interiore del 1978, Baglieri è passato dall’ombra della disperazione alla luce di una fede operosa, trasformando il suo letto di dolore in cattedra di gioia. La sua storia intreccia i cinque segni giubilari – pellegrinaggio, porta, professione di fede, carità e riconciliazione – mostrando che la speranza cristiana non è evasione, ma forza che apre il futuro e sostiene ogni cammino.
1. Sperare come attesa
La speranza, secondo il vocabolario online Treccani, è un sentimento di “aspettazione fiduciosa nella realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera”. L’etimologia del sostantivo “speranza” deriva dal latino spes, a sua volta derivato dalla radice sanscrita spa– che significa tendere verso una meta. Nella lingua spagnola “sperare” e “aspettare” vengono tradotti con il verbo esperar, che racchiude in un unico lemma entrambi i significati: quasi si potesse aspettare solo ciò che si spera. Questo stato d’animo ci permette di affrontare la vita e le sue sfide con coraggio e una luce nel cuore sempre ardente. La speranza viene espressa – in positivo o in negativo – anche in alcuni proverbi della saggezza popolare: “La speranza è l’ultima a morire”, “Finché c’è vita c’è speranza”, “Chi di speranza vive, disperato muore”.
Quasi raccogliendo questo “sentire condiviso” sulla speranza, ma consapevole di dover aiutare a riscoprire la speranza nella sua dimensione più piena e vera, Papa Francesco ha voluto dedicare il Giubileo Ordinario del 2025 alla Speranza (Spes non confundit [La speranza non delude] ne è la bolla di indizione) e già nel 2014 diceva: “La risurrezione di Gesù non è il finale lieto di una bella favola, non è l’happy end di un film; ma è l’intervento di Dio Padre e là dove si infrange la speranza umana. Nel momento nel quale tutto sembra perduto, nel momento del dolore, nel quale tante persone sentono come il bisogno di scendere dalla croce, è il momento più vicino alla risurrezione. La notte diventa più oscura proprio prima che incominci il mattino, prima che incominci la luce. Nel momento più oscuro interviene Dio e risuscita” (cf. Udienza del 16 aprile 2014).
In questo contesto cade a pennello la vicenda del Servo di Dio Nino Baglieri (Modica, 1° maggio 1951 – 2 marzo 2007) che giovane muratore diciassettenne, cadendo da un’impalcatura alta diciassette metri per il cedimento improvviso di un tavolone, si schiantò al suolo rimanendo tetraplegico: da quella caduta, il 6 maggio 1968, potrà muovere solo testa e collo, dovendo dipendere a vita dagli altri in tutto, anche nelle cose più semplici e umili. Nino non può nemmeno stringere la mano a un amico, o fare una carezza alla mamma… e vede svanire la possibilità di realizzare i suoi sogni. Quale speranza di vita ha ora questo giovane? Con quali sentimenti può fare i conti? Quale futuro lo attende? La prima risposta di Nino è la disperazione, il buio più totale davanti a una richiesta di senso che non trova risposta: dapprima un lungo peregrinare in ospedali di regioni italiane diverse, poi il compatirlo di amici e conoscenti portano Nino a ribellarsi e a rinchiudersi in dieci lunghi anni di solitudine e rabbia, mentre il tunnel della vita si fa sempre più profondo.
Nella mitologia greca, Zeus affida a Pandora un vaso che contiene tutti i mali del mondo: scoperchiato, gli uomini perdono l’immortalità e iniziano una vita di sofferenza. Per salvarli, Pandora riapre allora il vaso e libera elpis, la speranza, rimasta sul fondo: era l’unico antidoto agli affanni della vita. Guardando invece al Datore di ogni bene, sappiamo che «la speranza non delude» (Rm 5,5). Papa Francesco nella Spes non confundit scrive: “Nel segno di questa speranza l’apostolo Paolo infonde coraggio alla comunità cristiana di Roma […] Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza” (ivi, 1).
2. Da Testimone della “disperazione” ad “ambasciatore” di speranza
Ritorniamo allora alla vicenda del nostro Servo di Dio, Nino Baglieri.
Devono passare dieci lunghi anni prima che Nino esca dal tunnel della disperazione, le fitte tenebre si diradino ed entri la Luce. Era il pomeriggio del 24 marzo, Venerdì Santo del 1978, quando padre Aldo Modica con un gruppetto di giovani si recò a casa di Nino sollecitato dalla sua mamma Peppina e da alcune persone che frequentavano il cammino del Rinnovamento nello Spirito, allora agli albori nella vicina parrocchia salesiana. Scrive Nino: “mentre invocavano lo Spirito Santo sentii una sensazione stranissima, un grande calore invadeva il mio corpo, un forte formicolio in tutte le [mie] membra, come se una forza nuova entrasse in me e qualcosa di vecchio uscisse. In quel momento dissi il mio “sì” al Signore, accettai la mia croce e rinacqui a vita nuova, diventai un uomo nuovo. Dieci anni di disperazione cancellati in pochi istanti, perché una gioia sconosciuta entrò nel mio cuore. Io desideravo la guarigione del mio corpo e invece il Signore mi graziava con una gioia ancora più grande: la guarigione spirituale”.
Inizia per Nino un nuovo cammino: da “testimone della disperazione” diventa “pellegrino di speranza”. Non più isolato all’interno della sua stanzetta ma “ambasciatore” di questa speranza, racconta il suo vissuto attraverso una trasmissione messa in onda da una radio locale e – grazia ancora più grande – il buon Dio gli dona la gioia di poter scrivere con la bocca. Nino confida: “Nel mese di marzo del 1979 il Signore mi fece un grande Miracolo imparai a scrivere, con la bocca, incominciai così, ero con i miei amici che si stavano facendo i compiti dissi di darmi una matita e un quaderno, incominciai a fare dei segni e a disegnare qualcosa, ma poi scoprii che potevo scrivere e così incominciai a scrivere”. Inizia allora a redigere le sue memorie e ad avere contatti tramite lettera con persone di ogni categoria e in varie parti del mondo, per migliaia di lettere a tutt’oggi custodite. La ritrovata speranza lo rende creativo, ora Nino riscopre il gusto delle relazioni e vuole rendersi – come può – indipendente: con l’ausilio di un’asticella che usa con la bocca, e di un elastico applicato al telefono, compone i numeri telefonici per mettersi in comunicazione con tante persone ammalate, per rivolgere loro una parola di conforto. Scopre un nuovo modo di affrontare la propria condizione di sofferenza, che lo fa uscire dall’isolamento e lo avvia a diventare testimone del Vangelo della gioia e della speranza: “Adesso c’è tanta gioia nel mio cuore, in me non esiste più dolore, nel mio cuore c’è il Tuo amore. Grazie Gesù mio Signore, dal mio letto di dolore ti voglio lodare e con tutto il mio cuore ti voglio ringraziare perché mi hai chiamato per conoscere la vita per conoscere la vera vita”.
Nino ha cambiato prospettiva, ha effettuato una virata di 360° – il Signore gli ha regalato la conversione – ha posto la sua fiducia in quel Dio misericordioso che, attraverso la “disgrazia”, l’ha chiamato a lavorare nella sua vigna, per essere segno e strumento di salvezza e speranza. Così, tante persone che andavano a trovarlo per consolarlo uscivano consolati, con le lacrime agli occhi: non trovavano su quel lettuccio un uomo triste e mesto, ma un volto sorridente che sprigionava – nonostante tante sofferenze, tra cui le piaghe e i problemi respiratori – gioia di vivere: il sorriso era una costante sul suo volto e Nino si sentiva “utile da un letto di croce”. Nino Baglieri è l’opposto di tante persone di oggi, perennemente alla ricerca del senso della vita, che puntano al successo facile e alla felicità di cose effimere e senza valore, vivono on-line, consumano la vita in un click, vogliono tutto e subito ma hanno gli occhi tristi, spenti. Nino in apparenza non aveva niente, eppure aveva la pace e la gioia nel cuore: non ha vissuto isolato, ma sostenuto dall’amore di Dio espresso dall’abbraccio e dalla presenza di tutta la sua famiglia e di sempre più persone che lo conoscono ed entrano in rapporto con lui.
3. Ravvivare la speranza
Costruire la speranza è: ogni volta che non mi accontento della mia vita e mi impegno per cambiarla. Ogni volta che non mi lascio indurire dalle esperienze negative e impedisco che esse mi rendano diffidente. Ogni volta che cado e provo a rialzarmi, che non permetto che le paure abbiano l’ultima parola. Ogni volta che, in un mondo segnato dai conflitti, scelgo la fiducia e di rilanciare sempre, con tutti. Ogni volta che non sfuggo al sogno di Dio che mi dice: “voglio che tu sia felice”, “voglio che tu abbia una vita piena… piena anche di santità”. Il culmine della virtù della speranza è infatti uno sguardo al Cielo per abitare bene la terra o, come direbbe Don Bosco, un camminare con i piedi per terra e il cuore in Cielo.
In questo solco di speranza trova compimento il giubileo che, con i suoi segni, ci chiede di metterci in cammino, di varcare alcune frontiere.
Primo segno, il pellegrinaggio: quando ci si muove da un luogo all’altro si è aperti al nuovo, al cambiamento. Tutta la vita di Gesù è stata “un mettersi in viaggio”, un cammino di evangelizzazione che si compie nel dono della vita e poi oltre, con la Risurrezione e l’Ascensione.
Secondo segno, la porta: in Gv 10,9 Gesù afferma «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo». Passare la porta è lasciarsi accogliere, essere comunità. Nel vangelo si parla anche della “porta stretta”: il Giubileo diventa cammino di conversione.
Terzo segno, la professione di fede: esprimere l’appartenenza a Cristo e alla Chiesa e il dichiararlo pubblicamente.
Quarto segno la carità: la carità è la password per il cielo, in 1Pt 4,8 l’apostolo Pietro ammonisce «conservate tra voi una grande carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati».
Quinto segno, dunque, la riconciliazione e l’indulgenza giubilare: si tratta di un “tempo favorevole” (cf. 2Cor 6,2) per sperimentare la grande misericordia di Dio e percorrere cammini di riavvicinamento e perdono verso i fratelli; per vivere la preghiera del Padre Nostro dove si chiede “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. È diventare creature nuove.
Anche nella vita di Nino ci sono episodi che lo collegano – sul “filo” della speranza – a queste dimensioni giubilari. Per esempio il pentimento per alcune bravate della sua infanzia, come quando, in tre (lui racconta), “rubavamo le offerte delle Messe in sacrestia, ci servivano per giocare al bigliardino. Quando incontri cattivi compagni ti portano nelle male vie. Poi uno ha preso il mazzo di chiavi dell’Oratorio e l’ha nascosto nella mia borsa dei libri che era nello studio; hanno trovato le chiavi, hanno chiamato i genitori, ci hanno dato due schiaffoni e ci hanno cacciato alla scuola. Vergogna!”. Ma soprattutto nella vita di Nino c’è la carità, l’aiutare il fratello povero, nella prova fisica e morale, il farsi vivo con chi ha fatiche anche psicologiche e il raggiungere per iscritto i fratelli in carcere per testimoniare loro la bontà e l’amore di Dio. A Nino, che prima della caduta era stato muratore, “[mi] piaceva costruire con le mie mani qualcosa che restasse nel tempo: anche ora – scrive – mi sento di essere un muratore che lavora nel Regno di Dio, per lasciare qualcosa che resti nel tempo, per vedere le Opere Meravigliose di Dio che compie nella nostra Vita». Confida: «il mio corpo sembra morto, ma nel mio petto continua a battere il mio cuore. Le gambe non si muovono, eppure, per le vie del mondo io cammino”.
4. Pellegrino verso il cielo
Nino, consacrato cooperatore salesiano della grande Famiglia Salesiana, conclude il suo “pellegrinaggio” terreno venerdì 2 marzo 2007 alle ore 8.00 del mattino, a soli 55 anni, di cui 39 trascorsi da tetraplegico tra letto e carrozzina, dopo aver chiesto scusa alla famiglia per le fatiche che ha dovuto affrontare per la sua condizione. Lascia la scena di questo mondo in tuta e scarpette, come ha espressamente chiesto, per correre nei verdi prati fioriti e saltellare come una cerva lungo i corsi d’acqua. Leggiamo nel suo Testamento spirituale: “non finirò mai di ringraziarti, o Signore, per avermi chiamato a Te attraverso la Croce il 6 maggio 1968. Una croce pesante per le mie giovani forze…”. Il 2 marzo la vita – continuo dono che parte dai genitori e viene piano piano alimentato con stupore e bellezza – inserisce per Nino Baglieri il suo tassello più importante: quello dell’abbraccio con il suo Signore e Dio, accompagnato dalla Madonna.
Alla notizia della sua dipartita da più parti si leva un coro unanime: «è morto un santo», un uomo che ha fatto del suo letto di croce il vessillo della vita piena, dono per tutti. Quindi un grande testimone di speranza.
Trascorsi 5 anni dalla morte così, come previsto dalle Normae Servandae in Inquisitionibus ab Episcopis faciendis in Causis Sanctorum del 1983, il vescovo della Diocesi di Noto, su richiesta del Postulatore Generale della Congregazione Salesiana, sentita la Conferenza Episcopale Siciliana e ottenuto il Nihil obstat della Santa Sede, apre l’Inchiesta Diocesana della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Nino Baglieri.
Il processo diocesano, durato 12 anni, si è svolto lungo due direttrici portanti: il lavoro della Commissione Storia che ha ricercato, raccolto, studiato e presentato tante fonti, soprattutto Scritti “del” e “sul” Servo di Dio; il Tribunale Ecclesiastico, titolare dell’Inchiesta, che ha altresì ascoltato sotto giuramento i testimoni.
Questo percorso si è concluso lo scorso 5 maggio 2024 alla presenza di mons. Salvatore Rumeo, attuale vescovo della diocesi di Noto. Pochi giorni dopo gli Atti processuali sono stati consegnati al Dicastero delle Cause dei Santi che ha proceduto alla loro apertura in data 21 giugno 2024. All’inizio del 2025, il medesimo Dicastero ne ha decretato la “Validità Giuridica”, con cui la Fase romana della Causa può entrare nel vivo.
Ora l’apporto alla Causa prosegue anche continuando a far conoscere la figura di Nino che al termine del suo cammino terreno ha raccomandato: “non lasciatemi senza far nulla. Io continuerò dal cielo la mia missione. Vi scriverò dal Paradiso”.
Il cammino della speranza in sua compagnia diventa così desiderio del Cielo, quando “ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio (cfr 1Cor 13,12) e potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo, che parteciperà insieme a noi della pienezza senza fine […]. Nell’attesa, ci uniamo per farci carico di questa casa che ci è stata affidata, sapendo che ciò che di buono vi è in essa verrà assunto nella festa del cielo. Insieme a tutte le creature, camminiamo su questa terra cercando Dio […] Camminiamo cantando!” (cf. Laudato Sì, 243-244).
Roberto Chiaramonte