🕙: 6 min.
image_pdfimage_print

La causa di canonizzazione del servo di Dio Costantino Vendrame, sta avanzando. Nel 19 settembre 2023 è stato consegnato il volume della “Positio super Vita, Virtutibus et Fama Sanctitatis” presso la Congregazione delle Cause dei Santi in Vaticano. Presentiamo brevemente questo sacerdote professo della Società di San Francesco di Sales.


Dalle colline venete alle colline del Nord-Est India
Il Servo di Dio don Costantino Vendrame nasce a San Martino di Colle Umberto (Treviso) il 27 agosto 1893. San Martino, frazione del più ampio abitato di Colle Umberto, è un ridente paese italiano del Veneto in provincia di Treviso: dalle sue colline, San Martino è orientato sia alla pianura lì solcata dal Piave, sia alle Prealpi del Bellunese, mantenendo di tale duplice natura – è paese collinare che guarda alle montagne e alla pianura – quelle caratteristiche, di vicinanza ai più grandi centri abitati e di ideale proiezione al mondo sobrio e schivo della montagna, che il futuro missionario don Costantino avrebbe ritrovato nel Nord-Est India, stretto tra i primi contrafforti della catena himalayana e la valle del Brahmaputra.

A quel mondo di gente semplice appartiene anche la sua famiglia: il papà Pietro, di professione fabbro, e la mamma Elena Fiori originaria del Cadore si conoscono molto probabilmente sui monti. Forti i legami di don Vendrame con i fratelli: Giovanni per il quale conserverà la fedeltà del ricordo; Antonia, madre di una famiglia numerosa; l’amatissima Angela cui lo unisce un affetto profondo, in sintonia di opere e intenti. Angela resterà – con una creatività esuberante – a servizio della parrocchia e offrirà sofferenze e meriti per l’impresa apostolico-missionaria del fratello. Viva era in famiglia anche la memoria del fratello maggiore Canciano, volato in Cielo a soli 13 anni.
Battezzato il giorno dopo la nascita (28 agosto) e cresimato nel novembre 1898, presto orfano di padre, per Costantino Vendrame – prima comunione il 21 luglio 1904 e un’infanzia trascorsa negli impegni quotidiani – la vocazione sacerdotale si delinea da bambino. Essa affonda forse le radici nell’affidamento del piccolo Costantino alla Madonna – per iniziativa della mamma –: affidamento maturato quindi in una più completa donazione.

La realtà del Seminario – che il Servo di Dio frequenta a Ceneda (Vittorio Veneto) con piena riuscita – manca però di quel respiro missionario che egli avverte proprio. Si orienta così ai Salesiani ed è nella casa salesiana di Mogliano Veneto che: “nella piccola portineria nel 1912 col buon Don Dones si decise la mia vocazione salesiana e missionaria”.
Compie dunque le tappe di formazione alla consacrazione religiosa tra i figli di don Bosco, in particolare come aspirante (dall’ottobre 1912 a Verona), novizio (dal 24 agosto 1913 a Ivrea), professo temporaneo (nel 1914) e perpetuo (dal 1° gennaio 1920 a Chioggia). Verrà ordinato sacerdote a Milano il 15 marzo 1924. Sin dall’ammissione al noviziato, è certificato «fermissimo anche nella pratica, e ben istruito». I suoi voti al Seminario erano stati sempre eccellenti ed egli fa buona riuscita nella Società di San Francesco di Sales.
L’iter preparatorio è segnato dalla ferma obbligatoria sotto le armi. Erano gli anni della Grande Guerra: 1914-1918 (per l’Italia: 1915-1918). In quei momenti il chierico Vendrame non retrocede; si apre ai superiori; tiene fede agli impegni presi. Gli anni del Primo Conflitto Mondiale forgiano ulteriormente in lui quel coraggio che tanto utile gli sarà in missione.

Missionario di fuoco

Don Costantino Vendrame riceve il crocifisso missionario nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino il 5 ottobre 1924. Alcune settimane più tardi si imbarca da Venezia alla volta dell’India: destinazione Assam, nel Nord-Est. Vi arriva in tempo per Natale. Su un’immaginetta scrisse: «Sacro Cuor di Gesù, tutto ho confidato in voi, tutto ho sperato da voi e non sono rimasto confuso». Con i confratelli, medita durante il viaggio Incontro al Re d’Amore: «Tutto è qui: tutto il Vangelo, tutta la Legge. Vi ho amato […]», «V’ho amato più della mia vita, perché la vita mia l’ho data per voi – e quando s’è data la propria vita, s’è dato tutto». È questo il programma del suo impegno missionario.

Rispetto ai Salesiani più giovani – che avrebbero compiuto in India la maggior parte del cammino alla consacrazione – egli vi giunge uomo fatto, nel pieno vigore: ha 31 anni e può avvantaggiarsi, oltre che della dura esperienza in guerra, del tirocinio negli oratori italiani. Lo attende una terra bella e difficile, dove il paganesimo di stampo “animista” domina e alcune sette protestanti nutrono verso la Chiesa Cattolica un atteggiamento di pregiudiziale diffidenza o aperta opposizione. Egli sceglie il contatto con la gente, decide di fare il primo passo: comincia dai bambini, cui insegna a pregare e permette di giocare. Saranno questi “piccoli amici” (pochi cattolici, alcuni protestanti, quasi tutti pagani) a parlare di Gesù e del missionario cattolico in famiglia, ad aiutare don Vendrame nell’apostolato. Lo affiancano i confratelli – che negli anni riconosceranno in lui il “pioniere” dell’attuazione missionaria salesiana in Assam – e validi collaboratori laici, formati nel tempo.
Di questo primo periodo resta traccia di un missionario di “fuoco”, animato dal solo interesse per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Il suo stile diventa quello dell’Apostolo delle genti, cui sarà paragonato per l’efficacia propulsiva dell’annuncio e la forte capacità attrattiva dei pagani a Cristo. «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (cf. 1 Cor 9,16), dice don Vendrame con la vita. Si espone a ogni usura, purché Cristo sia annunciato. Davvero anche per lui: «Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi […], pericoli dai pagani […]; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, digiuni frequenti, freddo e nudità» (cf. 2 Cor 11,26-27). Il Servo di Dio diventa camminatore nel Nord-Est India infestato da rischi d’ogni sorta; si sostenta con un regime alimentare scarsissimo; affronta rientri a notte fonda o notti trascorse quasi all’addiaccio.

Sempre in trincea
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e negli anni successivi, don Costantino Vendrame può dunque avvantaggiarsi – in frangenti di particolare fatica “ambientale” (campi militari; povertà estrema nel Sud dell’India) ed “ecclesiale” (durissime opposizioni nel Nord Est India) – di tutto un allenamento previo: sotto custodia dei Gurkha; a Deoli; a Dehra Dun; missionario a Wandiwash nel Tamil Nadu; a Mawkhar in Assam. A Deoli è “rettore” dei religiosi nel campo; anche a Dehra Dun è di esempio.
Liberato al termine della guerra, ma impossibilitato da ragioni politiche del tutto estranee alla sua persona a rientrare in Assam, don Vendrame – che aveva superato i 50 anni ed era usurato dalle privazioni – è assegnato da Mons. Louis Mathias, Arcivescovo di Madras, al Tamil Nadu. Lì don Costantino dovrà ricominciare tutto: ancora una volta, saprà farsi profondamente amare, cosciente – come scrive in una lettera del 1950 indirizzata ai confratelli sacerdoti della Diocesi di Vittorio Veneto – delle condizioni durissime del suo mandato missionario:
Egli era convinto che ovunque vi fosse del bene da fare e ovunque vi fossero anime da salvare. Rimasto “ad experimentum”, così da garantire continuità a quella missione povera, rientra infine in Assam: potrebbe riposarsi, ma si progetta di fondare la presenza cattolica a Mawkhar, quartiere di Shillong allora considerato il “fortino” dei protestanti.
Ed è proprio a Mawkhar che il Servo di Dio realizza il suo “capolavoro”: la nascita d’una comunità cattolica ancora oggi fiorente in cui – in anni lontani dall’attuale sensibilità ecumenica – la presenza cattolica fu dapprima osteggiata con durezza, quindi tollerata, poi accettata e infine stimata. L’unità e la carità testimoniante da don Vendrame furono per Mawkhar un annuncio inedito e “scandaloso”, che conquistò i cuori più duri e gli attrasse la benevolenza di molti: aveva portato il «miele di san Francesco» – cioè l’amorevolezza salesiana, ispirata alla dolcezza del Salesio – in una terra dove gli animi si erano chiusi.

Verso il traguardo
Quando i dolori alle ossa si fanno insistenti, egli ammette in una lettera: «con difficoltà ho potuto controllare il lavoro della giornata». Si dischiude l’ultimo tratto di cammino terreno. Arriva il giorno in cui chiede di controllare se fosse rimasto un po’ di cibo: richiesta unica per don Vendrame che si faceva bastare l’essenziale e, rientrando tardi, non voleva mai disturbare per la cena. Quella sera nemmeno riusciva ad articolare qualche frase: era stremato, invecchiato anzitempo. Aveva taciuto sino all’ultimo, preda di un’artrite che gli intaccò anche la colonna vertebrale.
Si profila allora il ricovero, ma a Dibrugarh: avrebbe evitato a lui il continuo accorrere della gente; alla gente il dolore di assistere impotente all’agonia del loro padre. Il Servo di Dio arriverà a svenire dal dolore: ogni movimento divenne per lui terribile.
Gli sono vicini Mons. Oreste Marengo – suo amico e antico chierico, Vescovo di Dibrugarh –, le Suore di Maria Bambina, alcuni laici, il personale medico-sanitario tra cui molte infermiere, conquistate dalla sua dolcezza.
Tutti lo riconoscono vero uomo di Dio: anche chi è non cristiano. Don Vendrame nel suo patire può dire, come Gesù: «io non sono solo, perché il Padre è con me» (cf. Gv 16,32).
Provato dalla malattia e dalle complicanze di una polmonite da stasi, muore il 30 gennaio 1957 nella vigilia della festa di san Giovanni Bosco. Pochi giorni prima (24 gennaio), nell’ultima lettera alla sorella Angela era ancora era proiettato al dinamismo apostolico, lucido nella sofferenza ma uomo di speranza sempre.
Era così povero da non aver nemmeno una vesta idonea alla sepoltura: Mons. Marengo gliene donò una sua perché fosse più degnamente rivestito. Una testimonianza racconta come in morte don Costantino fosse bello, stesse persino meglio che in vita, finalmente liberato dalle “fatiche” e dagli “strapazzi” che ne avevano segnato tanti decenni.
Dopo un primo funerale / momento di commiato a Diburgarh, le veglie funebri e le solenni esequie si svolsero a Shillong. La gente era accorsa con tanti fiori da sembrare la processione Eucaristica. Il concorso di popolo fu immenso, molti si accostarono ai sacramenti di Riconciliazione e Comunione: questo atteggiamento generalizzato di avvicinamento a Dio, anche da parte di chi se ne era allontanato, fu uno dei segni più grandi che accompagnarono la morte di don Costantino.

Dottore di ricerca in Filosofia, ha insegnato all’Università Cattolica di Milano e alla Pontificia Università Salesiana. Ha conseguito nel 2014 il Diploma rilasciato dallo Studium della Congregazione delle Cause dei santi. Ex-allieva dei Salesiani di Milano, è dal 2011 Collaboratrice della Postulazione Generale della Famiglia Salesiana, con l’incarico di redigere le Positiones sulle virtù eroiche o il martirio dei candidati agli onori degli altari, e accompagnare alcune Inchieste diocesane. È autrice di vari libri.