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«Zatti-hospital»
Zatti e l’ospedale erano un binomio inscindibile. Padre Entraigas ricorda che quando c’era una chiamata telefonica il coadiutore rispondeva quasi a scatto: «Zatti-Hospital». Senza darsene conto egli esprimeva la realtà inscindibile tra la sua persona e l’ospedale. Divenuto responsabile dell’ospedale nel 1913 dopo la morte di padre Garrone e l’abbandono della Congregazione da parte di Giacinto Massini, egli poco a poco ne assunse ogni compito, ma fu prima di tutto e inconfondibilmente l’«infermiere» del San José. Non procedette alla buona nella preparazione, ma cercò di perfezionare anche con lo studio personale quanto aveva appreso empiricamente. Continuò a studiare per tutta la vita e soprattutto acquisì un’esperienza di grande livello grazie ai 48 anni di pratica al San José. Il dottor Sussini, che fu tra coloro che lo praticarono più a lungo, dopo aver affermato che Zatti curava i malati «con santa vocación» aggiunge: «Per quanto ne so, il Sig. Zatti, da quando lo conobbi, essendo uomo maturo, già formato, non aveva trascurato la sua cultura generale, né le sue conoscenze di infermieristica e di farmacista preparatore».
Padre De Roia così parla dell’aggiornamento professionale di Zatti: «A proposito di formazione culturale e professionale ricordo di aver visto libri e pubblicazioni di medicina e di avergli chiesto una volta quando li leggesse, mi rispose che lo faceva di notte o durante l’ora della siesta dei malati, una volta che aveva finito i suoi compiti in ospedale. Mi ha anche detto che il dottor Sussini a volte gli prestava qualche libro e ho visto che consultava spesso il “Vademecum e ricettari”».
Il dottor Pietro Echay afferma che per Zatti «el Hospital era un Santuario». Padre FelicianoLópez così descrive la posizione di Zatti all’ospedale, dopo lunga consuetudine con lui: «Zatti era un uomo di governo, sapeva esprimere con chiarezza quello che voleva, ma accompagnava l’azione di governo con dolcezza, rispetto e gioia. Mai perdeva la calma, anzi, bonariamente minimizzava le cose, ma il suo esempio di operosità era travolgente e più che un direttore, senza titolo, era diventato una specie di lavoratore universale; a parte questo, avanzò rapidamente in competenza professionale, fino a raggiungere anche il rispetto dei medici e ancor più dei subordinati: per questo non ho mai sentito dire che in quel piccolo mondo di 60 o 70 ricoverati, nei primi tempi parecchie suore, donne che prestavano il loro servizio ed alcune infermiere, non regnasse sempre la pace, e anche se, come è logico, a volte c’erano delle liti, queste non degeneravano grazie alla prudenza di Zatti che sapeva rimediare alle deviazioni».
L’Ospedale San José era un particolare santuario della sofferenza umana dove Artemide in ogni fratello e sorella in difficoltà abbracciava e curava la carne sofferente di Cristo, dando senso e speranza al soffrire umano. Zatti – e con lui tanti uomini e donne di buona volontà – ha incarnato la parabola del Buon Samaritano: si è fatto prossimo, ha teso la mano, ha sollevato, ha curato. Per lui ogni infermo era come un figlio da amare. Uomini e donne, grandi e piccoli, ricchi e poveri, intelligenti e ignoranti tutti erano trattati in modo rispettoso e amabile, senza infastidirsi o respingere quelli insolenti e poco simpatici. Era solito dire: «A volte ti può capitare uno con una faccia simpatica, altre volte uno antipatico, però davanti a Dio siamo tutti uguali».
Se c’era povertà di mezzi, e se poveri erano molti di coloro che erano ricoverati, tuttavia Zatti all’ospedale, dati i tempi, i luoghi e le situazioni di tutti gli ospedali anche nazionali di allora, seguiva le corrette norme di sanità e igiene. Si procedeva allora con criteri più larghi, ma non risulta affatto che il salesiano coadiutore, come infermiere, verso i malati abbia mancato di giustizia e di carità. Aveva buona cultura per il suo compito e buona esperienza, sapeva quello che doveva fare e i limiti delle sue competenze, non c’è ricordo di qualche errore, di qualche trascuratezza o di qualche accusa contro di lui. Il dottor Sussini ha affermato: «Negli interventi con i malati sempre rispettava le norme legali, senza eccedere nei suoi poteri […]. Tengo a precisare che in tutti i suoi interventi consultava qualche medico tra quelli che stavano sempre al suo fianco per sostenerlo. Per quanto ne so, non ha effettuato nessun intervento difficile […]. È certo che usava le prescrizioni igieniche stabilite, anche se talvolta, data la sua grande fede, le riteneva eccessive. Lo scenario socioeconomico in cui il Sig. Zatti svolse principalmente la sua attività era di scarsa economia e istruzione e in genere di bassa istruzione. Nella sua azione all’interno dell’ospedale metteva in pratica le consolidate conoscenze di igiene e tecnica che già conosceva e altre che apprendeva chiedendo ai professionisti. Fuori dall’ospedale, la sua azione era più difficile poiché modificare l’ambiente esistente era molto difficile e al di là dei suoi sforzi».
Luigi Palma allarga la sua considerazione: «Era voce corrente a Viedma la discrezione e la prudenza del comporta-mento del Sig. Zatti; d’altra parte, qualsiasi abuso in questa materia sarebbe rapidamente risaputo in un piccolo agglomerato come Viedma e non si è mai sentito nulla. Il Sig. Zatti non ha mai ecceduto dalla sua competenza. Non credo che abbia eseguito operazioni difficili. Se ci fosse stato qualche abuso, i medici l’avrebbero segnalato, ma questi non hanno fatto altro che elogiare l’opera di Zatti […]. Il Sig. Zatti utilizzava le dovute precauzioni igieniche. Lo so perché mi ha curato in più occasioni: iniezioni o piccole cure con tutta la diligenza del caso».
A un uomo che ha speso tutta la vita con enorme sacrificio per i malati, che era ricercato da loro come una benedizione, che ha conquistato la stima di tutti i dottori che hanno collaborato con lui e contro cui mai poté essere elevata una voce di accusa, risulterebbe ingiusto rinfacciare qualche libertà che la sua esperienza e prudenza gli potevano permettere in qualche particolare circostanza: l’esercizio sublime della carità, anche in questo caso, valeva più dell’osservanza di una prescrizione formale.

Con il cuore di don Bosco
In Zatti si realizzato ciò che Don Bosco aveva raccomandato ai primi missionari salesiani in partenza per l’Argentina: «Prendete cura speciale degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri, e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini». Zatti come Buon Samaritano ha accolto nella locanda del suo cuore e nell’Ospedale San José di Viedma i poveri, gli infermi, gli scartati dalla società. In ciascuno di essi ha visitato Cristo, ha curato Cristo, ha alimentato Cristo, ha vestito Cristo, ha ospitato Cristo, ha onorato Cristo. Come testimoniò un medico dell’ospedale: «L’unico miracolo che ho visto nella mia vita è il Sig. Zatti, per la straordinarietà del suo carattere, la capacità di servizio al prossimo e la straordinaria pazienza con gli infermi».
Zatti seppe riconoscere in ogni fratello, in ogni sorella, in ogni persona soprattutto povera e bisognosa che incontrava un dono: riuscirà a vedere in ciascuno di loro il volto luminoso di Gesù. Quante volte esclamerà accogliendo un povero o un infermo: «Gesù viene! – Cristo arriva!». Questo tener fisso lo sguardo su Gesù, soprattutto nell’ora della prova e della notte dello spirito, sarà la forza che gli permetterà di non cadere prigioniero dei propri pensieri e delle proprie paure.
Nell’esercizio di tale carità, Zatti faceva trasparire l’abbraccio di Dio per ogni uomo, in particolare per gli ultimi e i sofferenti, coinvolgendo cuore, anima e tutto il suo essere, perché viveva con i poveri e per i poveri. Non era semplice prestazione di servizi, ma manifestazione tangibile dell’amore di Dio, riconoscendo e servendo nel povero e nell’ammalato il volto del Cristo sofferente con la delicatezza e la tenerezza di una madre. Vivendo con i poveri praticava la carità con spirito di povertà. Non era un funzionario o un burocrate, un prestatore di servizi, ma un autentico operatore di carità: e nel vedere, riconoscere e servire Cristo nei poveri e negli esclusi, educava anche gli altri. Quando chiedeva qualcosa, lo chiedeva per Gesù: «Mi dia un vestito per un Gesù vecchietto»; «Mi dia dei vestiti per un Gesù di 12 anni!».
Impossibile non ricordare le sue avventure in bicicletta, i suoi giri instancabili, con il suo classico spolverino bianco con le estremità annodate e allacciato in vita, salutato con tenero affetto da quanti incontrava sul suo cammino. Nel lento procedere con la bicicletta aveva tempo per tutto: il saluto affettuoso, la parola cordiale, il consiglio misurato, qualche indicazione terapeutica, un aiuto spontaneo e disinteressato: le sue ampie tasche erano sempre piene di medicinali, che distribuiva a piene mani ai bisognosi. Raggiungeva personalmente coloro che lo chiamavano, prodigando non solo le sue conoscenze mediche, che possedeva ben solide, ma anche la fiducia, l’ottimismo, la fede che irradiava il suo sorriso costante, ampio e dolce e la bontà del suo sguardo; l’infermo gravemente ammalato che riceveva la visita del Sig. Zatti ne sentiva il sollievo imponderabile che gli dispensava colui che stava al suo fianco; l’infermo che moriva con la presenza di Zatti lo faceva senza angosce né contorsioni. La carità dispensata tanto generosamente per le strade fangose di Viedma ha ben meritato che Artemide Zatti fosse ricordato in città con una via, un ospedale e un monumento a suo nome.
Esercitava un apostolato spicciolo che dava la misura della sua carità, ma che comportava per lui tempo, lavoro, difficoltà e fastidi molteplici. Siccome era a tutti nota la sua bontà e la sua buona volontà nel servire gli altri, tutti si rivolgevano a lui per le cose più disparate. I direttori salesiani delle case dell’ispettoria scrivevano per consigli medici, gli mandavano confratelli da assistere, affidavano al suo ospedale persone di servizio diventate inabili. Le Figlie di Maria Ausiliatrice non erano da meno dei salesiani nel chiedere favori. Gli emigranti italiani chiedevano aiuti, facevano scrivere in Italia, sollecitavano pratiche. Coloro che erano stati ben curati all’ospedale, quasi fosse espressione di gratitudine, gli inviavano parenti e amici da assistere per la stima che avevano delle sue cure. Le autorità civili avevano spesso persone inabili da sistemare e ricorrevano a Zatti. I carcerati e altre persone, vedendolo in buoni rapporti con le autorità, si raccomandavano perché chiedesse clemenza per loro o facesse procedere la soluzione dei loro problemi.
Un fatto che esprime bene la forza autorevole di Zatti nell’incidere nella vita delle persone con la sua testimonianza evangelica e la parola persuasiva è la conversione di Lautaro Montalva. Costui, detto il Cileno dal paese d’origine, era un rivoluzionario, sfruttato dai soliti agitatori politici. Diffondeva riviste contro la religione. Abbandonato infine da tutti, cadde in miseria e fu ridotto in fin di vita, con una numerosa famiglia. Solo Zatti ebbe il coraggio di entrare nella sua stamberga di legno, resistere alla sua prima reazione di ribellione e conquistarlo con la sua carità. Il rivoluzionario si ammansì e chiese di essere battezzato: furono battezzati anche i suoi figli. Zatti lo ricoverò all’ospedale. Poco prima di morire aveva chiesto al parroco: «Datemi i sacramenti che deve ricevere un cristiano!». La conversione del Montalva fu una conquista della carità e del coraggio cristiano di Zatti.
Zatti fa della missione a servizio dei malati il proprio spazio educativo dove incarnare quotidianamente il Sistema preventivo di Don Bosco – ragione, religione, amorevolezza – nella vicinanza e assistenza ai bisognosi, nell’aiuto a comprendere e accettare le situazioni dolorose della vita, nella testimonianza viva della presenza del Signore.

Zatti infermiere
Il profilo professionale di Artemide Zatti, iniziato con una promessa, era radicato nella fiducia nella Provvidenza e si sviluppò una volta guarito dalla malattia. La frase “Credetti, Promisi, Guarii”, motto della sua canonizzazione, mostra la totale dedizione che Zatti aveva per i suoi fratelli malati, i più poveri e bisognosi.
Questo impegno lo portò avanti quotidianamente fino alla sua morte nell’ospedale di San José, fondato dai primi salesiani arrivati in Patagonia, e lo ribadiva durante in ogni visita domiciliare, urgente o meno, che faceva ai malati che avevano bisogno di lui.
In bicicletta, nel suo ufficio di amministratore, in sala operatoria, nel cortile durante la ricreazione con i suoi poveri “parenti”, nei reparti dell’ospedale che visitava ogni giorno, era sempre un infermiere; un santo infermiere dedito a curare e alleviare, portando la migliore medicina: la presenza allegra e ottimista dell’empatia.

Una persona e una squadra che fanno del bene
Era la fede che spingeva Artemide Zatti ad un’attività instancabile, ma ragionevole. La sua consacrazione religiosa lo aveva introdotto direttamente e completamente nella cura dei poveri, dei malati e di coloro che hanno bisogno della salute e della consolazione misericordiosa di Dio.
Il sig. Zatti lavorava nel mondo della sanità a fianco di medici, infermieri, personale sanitario, Figlie di Maria Ausiliatrice e di tante persone che collaborarono con lui al sostegno dell’ospedale San José, il primo della Patagonia argentina, nella Viedma della prima metà del XX secolo.
La tubercolosi che contrasse all’età di vent’anni non fu un ostacolo a perseverare nella sua scelta professionale. Egli trovò nella figura del salesiano coadiutore lo stile dell’impegno a lavorare direttamente con i poveri. La sua consacrazione religiosa, vissuta nella sua professione di infermiere, è stata la combinazione della sua vita dedicata a Dio e ai fratelli. Naturalmente questo si è manifestato in una personalità peculiare, unica e irripetibile. Artemide Zatti era una persona buona, che lavorava direttamente con i poveri, facendo del bene.

Il contatto diretto con i poveri era finalizzato alla salute, cioè a lenire il dolore, a sopportare la sofferenza, ad accompagnare gli ultimi momenti della loro vita, ad offrire un sorriso di fronte all’irreversibile, a dare una mano con speranza. Per questo motivo, Zatti divenne una “presenza-medicina”: curava direttamente con la sua gradevole presenza.
Il suo principale biografo, il salesiano Raul Entraigas, ha fatto una scoperta originale. Individuò nella frase di un compaesano la sintesi della vita di Artemide Zatti: sembra essere “il parente di tutti i poveri”. Zatti vede Gesù stesso negli orfani, nei malati e negli indigeni. E li trattava con tanta vicinanza, apprezzamento e amore, che sembrava che fossero tutti suoi familiari.

Formarsi per aiutare
Vedendo i bisogni del villaggio, Zatti perfezionò la sua professione. Gradualmente divenne responsabile dell’ospedale, studiò e convalidò le sue conoscenze con lo Stato quando gli venne richiesto. I medici che lavoravano con Artemide, come i dottori Molinari e Sussini, testimoniano che Zatti possedeva una grande conoscenza medica, frutto non solo della sua esperienza, ma anche dei suoi studi.
Don De Roia aggiunge: “Per quanto riguarda la sua formazione culturale e professionale, ricordo di aver visto libri e pubblicazioni di medicina e, chiedendogli una volta quando li leggeva, mi disse che lo faceva la sera o durante il riposo pomeridiano dei pazienti, una volta finite tutte le mansioni all’Ospedale”.
Esiste a tal proposito un documento, “Credenziali Professionali”, rilasciato dalla Segreteria della Salute Pubblica della Nazione Argentina con tanto di matricola professionale di infermiere numero 07253. Furono gli studi che aveva realizzato all’Università Nazionale di La Plata nel 1948, all’età di 67 anni. A ciò si aggiunge una precedente certificazione, nel 1917, come “Idoneo” in Farmacia.
Il suo stile di vita lo portò ad un impegno in cui incontrava direttamente i poveri, i malati, i più bisognosi. Per questo la professione infermieristica aveva un valore aggiunto: la sua presenza era una testimonianza della bontà di Dio. Questo semplice modo di guardare la realtà possa aiutare a capire meglio la vita di Zatti, prestando particolare attenzione al termine “direttamente”.
In questa prospettiva troviamo ciò che di più genuino c’è in Zatti, che evidenzia ciò che si definisce “vita religiosa” o “consacrazione”. Per questo Artemide è un salesiano santo. È un infermiere santo. Questa è l’eredità che ha lasciato a tutti. E questa è la sfida che lancia a tutti e che invita a raccogliere.

1908
Guarita la salute, Zatti entrò nella Congregazione Salesiana come coadiutore. Inizia ad occuparsi della farmacia dell’ospedale San José, l’unico a Viedma.
1911
Dopo la morte di don Evasio Garrone, direttore dell’ospedale, Zatti resta a capo della farmacia e dell’ospedale, il primo in Patagonia. Ci ha lavorato per quarant’anni.
1917
Ha conseguito il titolo di “Idóneo in Farmacia” presso l’Università di La Plata.
1941
L’edificio dell’ospedale viene demolito. Pazienti e professionisti si trasferiscono con Zatti alla scuola agraria “San Isidro”.
1948
Zatti ottiene l’iscrizione all’Infermieristica presso l’Università di La Plata.

Zatti con i medici: era un padre!
Tra i principali collaboratori di Zatti all’Ospedale San José vi furono i medici. I rapporti erano delicati, perché un medico era il direttore dell’ospedale dal punto di vista legale e aveva la responsabilità professionale sui malati. Zatti aveva la responsabilità organizzativa e infermieristica e potevano sorgere contrasti. Dopo i primi anni, a Viedma, capitale del Rio Negro, e a Patagones vennero parecchi medici e Zatti doveva servirsi delle loro specializzazioni all’ospedale senza destare rivalità. Agì in modo tale da conquistare la stima di tutti per la sua bontà e competenza. Nella documentazione troviamo i nomi dei direttori dottor Riccardo Spurr e dottor Francesco Pietrafraccia; poi di Antonio Gumersindo Sussini, di Ferdinando Molinari, di Pietro Echay, di Pasquale Attilio Guidi e Giovanni Cadorna Guidi, che deporranno circa la santità di Zatti; e infine di Harosteguy, di Quaranta e Cessi. Altri certo ce ne furono, più di passaggio, perché, dopo un periodo di tirocinio, i medici aspiravano a sedi più centrali e sviluppate. È unanime il riconoscimento che Zatti, come infermiere, era sottomesso alle indicazioni e norme dei dottori: presso tutti aveva un gran prestigio per la sua bontà e non destava rimostranze per l’assistenza da lui prestata ai malati degenti nella propria casa. Il dottor Sussini che lo seguì fino alla morte ha dichiarato: «Tutti i medici, nessuno escluso, gli manifestavano affetto e rispetto per le sue virtù personali, per la sua bontà, la sua misericordia e la sua fede pura, sincera e disinteressata»[i].
Il dottor Pasquale Attilio Guidi ha precisato: «Sempre corretto, seguiva le disposizioni dei medici. Ricordo che il dottor Harosteguy, che era abbastanza “contestatore”, nervoso, quando ero presente durante un’operazione, a volte incolpava il Sig. Zatti dei suoi problemi; ma alla fine delle operazioni lo accarezzava e gli chiedeva scusa. Così capivamo che non c’era tanta lamentela contro Zatti. Zatti era una persona stimata da tutti»[ii]. La figlia del dottor Harosteguy e il dottor Echay confermano il carattere forte di Harosteguy e gli ingiustificati scatti contro Zatti che lo conquistava con la sua sopportazione. Anzi proprio il dottor Harosteguy, quando si ammalerà, solo a Zatti permetterà di vistarlo, gradendo e apprezzando la sua presenza e vicinanza.
Il dottor Molinari testimoniò: «Il Sig. Zatti rispettava il corpo medico e ne seguiva rigorosamente le istruzioni. Ma dato il gran numero di pazienti che richiedevano esclusivamente il suo intervento, dovette agire molte volte spontaneamente, ma sempre sulla base delle sue grandi conoscenze, della sua esperienza e secondo le proprie conoscenze mediche. Mai osò un intervento chirurgico difficile. Sempre chiamava il dottore. Noi medici abbiamo avuto affetto, rispetto e ammirazione per il Sig. Zatti. Era generale questo sentimento […] Direi che i pazienti “adoravano” il Sig. Zatti e avevano cieca fiducia in lui»[iii].
Il dottor Echay fa questa singolare constatazione: «Con tutto il personale dell’ospedale Zatti era un padre; anche con noi medici più giovani era un buon consigliere»[iv]. A proposito delle visite che Zatti faceva in città, dice il dottor Guidi: «I medici non hanno mai visto negativamente quest’opera di Zatti, ma come collaborazione. […]. I pazienti da lui assistiti gli eleverebbero un monumento»[v].
Anche gli estranei videro sempre stretti rapporti di collaborazione e di stima tra Zatti e i dottori, come testimonia padre López: «Il comportamento del Sig. Zatti verso i dottori era da loro giudicato con spirito di cordiale accoglienza. Tutti i medici con cui ho parlato ne erano, senza eccezione, suoi ammiratori»[vi]. E ancora lo stesso padre López: «C’è sempre stata fama di amabilità di Zatti nei confronti dei dottori, la sua tolleranza e umanità di fronte alle scortesie tipiche di molti medici; in particolare il dottor Harosteguy era un uomo violento e la virtù di Zatti nei suoi confronti si può dedurre perché divenne un ammiratore di Zatti, con sfumature di venerazione»[vii]. Oscar Garcia usa un’espressione efficace: «I medici collaboravano con l’ospedale in buona parte perché lì c’era il Sig. Zatti con una carità che trascinava i cuori»[viii]. La sua vita scuoteva l’indifferenza religiosa di qualcuno di essi: «Quando vedo Zatti vacilla la mia incredulità»[ix]. In non pochi casi c’erano conversioni e inizi di vita cristiana.

Zatti e le infermiere: per noi era tutto!
Il gruppo più numeroso per il servizio dell’ospedale era costituito dalle collaboratrici femminili. Il San José aveva in certi momenti fino a 70 letti: è naturale che fossero necessarie infermiere professionalmente preparate, aiutanti di cucina, lavandaie e stiratrici, incaricate della pulizia e altro personale. Per le occupazioni più umili e ordinarie non era difficile trovare personale, perché la popolazione aveva molti elementi poveri e una sistemazione di lavoro all’ospedale sembrava apparire particolarmente ambita e sicura. Più difficile doveva essere trovare le infermiere per le quali, forse in tutta la nazione e certamente in Patagonia, non esistevano scuole di preparazione. Zatti dovette provvedere da sé: scegliere, formare, organizzare, assistere le infermiere, procurare i mezzi di lavoro, pensare a una ricompensa, a tal punto che egli risulta essere iniziatore nella formazione del personale femminile dell’ospedale.
La Provvidenza faceva giungere all’ospedale diverse giovani buone, ma povere, che dopo essere state assistite e guarite cercavano una sistemazione nella vita. Zatti si rendeva conto della loro bontà e disponibilità; mostrava col suo esempio e con la sua parola come fosse bello servire il Signore nei fratelli malati; e poi avanzava la proposta discreta di fermarsi con lui e condividere la missione all’ospedale. Le ragazze più buone sentivano la grandezza e la gioia di questo ideale e restavano al San José. Zatti si prendeva la responsabilità di prepararle professionalmente e – da buon religioso –ne curava la formazione spirituale. Esse vennero così a costituire in gruppo una specie di congregazione senza voti, di anime elette che sceglievano di servire i poveri. Zatti dava loro tutto il necessario per la vita, anche se ordinariamente non le pagava, e pensava a una buona sistemazione qualora volessero lasciare il servizio all’ospedale. Non dobbiamo pensare che la situazione in quei tempi richiedesse tutte le garanzie che oggi esigono le strutture ospedaliere. Per quelle ragazze la soluzione offerta da Zatti dal punto di vista materiale era invidiabile non meno che dal punto di vista spirituale. Di fatto esse erano contente e quando fu chiuso l’Ospedale San José, o prima, per nessuna fu difficile trovare una buona sistemazione. Coralmente manifestarono sempre espressioni di riconoscenza.
Padre Entraigas ricorda 13 nomi del personale femminile che in tempi diversi ha lavorato all’ospedale. Tra i documenti sono raccolte le relazioni delle infermiere: Noelia Morero, Teodolinda Acosta, Felisa Botte, Andrea Rafaela Morales, Maria Danielis. Noelia Morero racconta la sua storia, che fu identica a quella di parecchie altre infermiere. Giunse al San José malata: «Qui sono stata malata e poi ho iniziato a collaborare fino alla fine del 1944, quando mi sono trasferita all’Ospedale Nazionale Regionale di Viedma, aperto nel 1945 […]. Zatti era molto amato e rispettato da tutto il personale e dai pazienti; era “il panno delle lacrime” di tutti. Non ricordo lamentele di alcun genere contro di lui. Quando Zatti entrava nelle stanze, sembrava che entrasse “Dio stesso!”. Non saprei come dirlo. Per noi era tutto. Non ho conosciuto particolari difficoltà; da malata non mi è mai mancato nulla: né cibo, né medicine, né vestiti. Il Sig. Zatti si preoccupava soprattutto della formazione morale del personale. Ricordo che ci ha fatto imparare con lezioni pratiche, accompagnandolo nei momenti in cui visitava gli infermi e dopo una o due volte ce lo faceva fare soprattutto con i casi più gravi»[x].

Film visto prima della conferenza



Video de la conferenza: Zatti buon samaritano, per malati, medici e infermieri
Conferenza tenuta da don Pierluigi CAMERONI, Postulatore Generale della Società Salesiana di san Giovanni Bosco a Valdocco, nel 15.11.2023.


[i] Testimonianza del dottor Antonio Gumersindo Sussini. Positio – Summarium, p. 139, § 561.

[ii] Testimonianza di Attilio Guidi, farmacista. Conobbe Zatti dal 1926 al 1951. Positio – Summarium, p. 99, § 386.

[iii] Testimonianza del dottor Ferdinando Molinari. Conobbe Zatti dal 1942 al 1951. Divenne medico dell’Ospedale San José e nell’ultima malattia lo curò. Tenne il discorso ufficiale in occasione dell’inaugurazione del monumento a Zatti. Positio – Summarium, p. 147, § 600.

[iv] Testimonianza del dottor Pietro Echay. Positio – Informatio, p. 108.

[v] Testimonianza di Attilio Guidi. Positio – Summarium, p. 100, § 391.

[vi] Testimonianza di padre Feliciano López. Positio – Summarium, p. 171, § 694.

[vii] Ivi, p. 166, § 676.

[viii] Testimonianza di Oscar García, impiegato di polizia. Conobbe Zatti nel 1925, ma trattò con lui soprattutto dopo il 1935, sia come dirigente degli ex-allievi, sia come membro del Circolo Operaio. Positio – Summarium, p. 111, § 440.

[ix] Testimonianza di padre Feliciano López. Positio – Summarium, p. 181, § 737.

[x] Testimonianza di Noelia Morero, infermiera. Positio – Informatio, p. 112.

P. Pierluigi CAMERONI
Salesiano di Don Bosco, esperto di agiografia, autore di vari libri salesiani. È il Postulatore Generale della Società Salesiana di san Giovanni Bosco