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In questo sogno di Don Bosco appare un giardino paradisiaco: un declivio verde, alberi festonati e, al centro, un immenso tappeto candido ornato di iscrizioni bibliche che esaltano la purezza. Sul bordo siedono due fanciulle dodicenni, vestite di bianco con cinture rosse e corone floreali: personificano Innocenza e Penitenza. Con voce soave dialogano sul valore dell’innocenza battesimale, sui pericoli che la minacciano e sui sacrifici necessari per custodirla: preghiera, mortificazione, obbedienza, purezza dei sensi.


            Gli parve di avere dinanzi un’immensa incantevole ripa verdeggiante, di dolce pendio e tutta spianata. Alle falde questo prato formava come uno scalino piuttosto basso, dal quale si saltava sulla stradicciola ove stava D. Bosco. Sembrava un Paradiso terrestre splendidamente illuminato da una luce più pura e più viva di quella del sole. Era tutto coperto di erbe verdeggianti smaltate da mille ragioni di fiori e ombreggiato da un numero grandissimo di alberi che avviticchiandosi coi rami a vicenda, li stendevano a guisa di ampli festoni.
            In mezzo al giardino fino alla proda di esso era steso un tappeto di un candore magico, ma così lucido, che abbagliava la vista; era largo più miglia. Presentava la magnificenza di uno stato reale. Come ornamento nella fascia che correva lungo l’orlo aveva varie iscrizioni e caratteri d’oro. Da un lato si leggeva: Beati immaculati in via, qui ambulant in lege Domini (Beato chi è integro nella sua via e cammina nella legge del Signore, Ps 118,1). Sull’altro lato: Non privabit bonis eos, qui ambulant in innocentia (Non rifiuta il bene a chi cammina nell’innocenza, Ps 83,13). Sul terzo lato: Non confundentur in tempore malo: in diebus famis saturabuntur (Non si vergogneranno nel tempo della sventura e nei giorni di carestia saranno saziati, Ps 37,19). Sul quarto: Novit Dominus dies immaculatorum et haereditas eorum in aeternum erit (Il Signore conosce i giorni degli uomini integri: la loro eredità durerà per sempre, Ps 37,18).
            Ai quattro angoli dello strato intorno ad un magnifico rosone stavano quattro altre iscrizioni: Cum simplicibus sermocinatio eius (La sua amicizia è per i giusti, Prov 3,32). – Proteget gradientes simpliciter (È scudo a coloro che agiscono con rettitudine, Prov 2,7) – Qui ambulant simpliciter, ambulant confidenter (Chi cammina nell’integrità va sicuro, Prov 10,9) – Voluntas eius in iis, qui simpliciter ambulant (Egli si compiace di chi ha una condotta integra, Prov 11,20).
            In mezzo poi allo strato questa ultima scritta: Qui ambulant simpliciter, salvus erit (Chi procede con rettitudine sarà salvato, Prov. 28,18).
            Nel mezzo della ripa sul bordo superiore del candido tappeto si innalzava un gonfalone bianchissimo sul quale si leggeva pure a caratteri d’oro: Fili mi, tu semper mecum es et omnia mea tua sunt (Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo, Lc 15,31).
            Se D. Bosco era meravigliato alla vista di quel giardino, molto più attiravano la sua attenzione due vaghe fanciulle in sui dodici anni, sedute sul margine del tappeto ove la riva faceva scalino. Una celestiale modestia spirava da tutto il loro grazioso contegno. Dai loro occhi costantemente fissi in alto traspariva non solo un’ingenua semplicità di colomba, ma raggiava una vivezza d’amore purissimo, una gioia di felicità celestiale. La loro fronte aperta e serena sembrava la sede del candore e della schiettezza, sulle loro labbra serpeggiava un dolce incantevole sorriso. I loro lineamenti manifestavano un cuore tenero ed ardente. Le graziose movenze della persona loro davano una tale aria di sovrumana grandezza e nobiltà che faceva contrasto colla loro giovinezza.
            Una veste candidissima scendeva loro fino al piede, sulla quale non si scorgeva né macchia, né ruga, e neppure un granello di polvere. I fianchi avevano cinti con una cintura rossa fiammante con bordi d’oro. Su questa spiccava un fregio come nastro composto di gigli, di violette e di rose. Un nastro simile, come fosse un monile, portavano al collo, composto degli stessi fiori, ma di forma diversa. Come braccialetti avevano ai polsi una fascetta di margheritine bianche. Tutte queste cose e questi fiori avevano forma, colori, bellezze che riesce impossibile il descriverli. Tutte le pietre più preziose del mondo incastonate con l’arte più squisita parrebbero fango al confronto.
            Le scarpe candidissime erano bordate di nastro pur bianco filettato d’oro, che faceva un bel nodo nel mezzo. Bianco pure con piccoli fili d’oro era il cordoncino col quale erano legate.
            La loro lunga capigliatura era stretta da una corona, che cingeva la fronte, e così folta che faceva onda sotto la corona e ricadendo sulle spalle finiva inanellata a ricci.
            Esse avevano incominciato un dialogo: ora si alternavano parlando ora si interrogavano ed ora esclamavano. Ora ambedue sedevano; ora una sola stava seduta e l’altra in piedi; ed ora passeggiavano. Non uscivano però mai fuori da quel candido tappeto e non toccarono mai né erba né fiori. D. Bosco nel suo sogno stava come spettatore. Né esso rivolse parole a quelle fanciulle, né le fanciulle si sono accorte della sua presenza, e l’una diceva con soavissimo accento:
            – Che cosa è l’innocenza? Lo stato fortunato della grazia santificante conservato mercè la costante ed esatta osservanza della divina legge.
            E l’altra donzella con voce non meno dolce:
            – E la conservata purità dell’innocenza è fonte ed origine di ogni scienza e di ogni virtù.
            La prima:
            – Quale lustro, quale gloria, quale splendore di virtù vivere bene tra i cattivi, e tra i malvagi maligni conservare il candore dell’innocenza e la lenità dei costumi.
            La seconda si alzò in piedi e fermandosi vicino alla compagna:
            – Beato quel giovinetto che non va dietro ai consigli degli empi e non si mette nella via dei peccatori, ma suo diletto è la legge del Signore, che egli medita di giorno e di notte. Ed ei sarà come albero piantato lungo la corrente delle acque della grazia del Signore, il quale darà a suo tempo il frutto copioso di buone opere: per soffiar di vento non cadrà di lui foglia di sante intenzioni e di merito e tutto quello che farà avrà prospero effetto, ed ogni circostanza della vita coopererà per accrescere il suo premio. – Così dicendo accennava gli alberi del giardino carichi di frutti bellissimi che spandevano per l’aria un profumo delizioso, mentre torrentelli limpidissimi che ora scorrevano fra due sponde fiorite, ora cadevano da piccole cascatelle, ed ora formavano laghetti, bagnavano i loro fusti, con un mormorio che pareva il suono misterioso di musica lontana.
            La prima donzella replicò:
            – Esso è come un giglio tra le spine che Iddio coglie nel suo giardino per porlo come ornamento sovra il suo cuore; e può dire al suo Signore: Il mio Diletto appartiene a me ed io a lui: perché ei si pasce in mezzo ai gigli. – Così dicendo accennava ad un gran numero di gigli vaghissimi che alzavano il candido capo tra le erbe e gli altri fiori, mentre mostrava in lontananza un’altissima siepe verdeggiante che circondava tutto il giardino. Questa era fitta di spine e dietro si scorgevano vagolare come ombre mostri schifosi che tentavano penetrare nel giardino, ma erano impediti dalle spine di quella siepe.
            – É vero! Quanta verità è nelle tue parole! soggiunge la seconda. Beato quel giovanetto che sarà trovato senza colpa! Ma chi sarà costui e gli daremo lode? Perché egli ha fatto cose mirabili in vita sua. Egli fu trovato perfetto ed avrà gloria eterna. Egli poteva peccare e non peccò; far del male e non lo fece. Per questo i beni di lui sono stabiliti nel Signore e le sue opere buone saranno celebrate da tutte le congregazioni dei Santi.
            – E sulla terra quale gloria Dio ad essi riserva! Li chiamerà, loro farà un posto nel suo santuario, li farà ministri dei suoi misteri, e un nome sempiterno darà loro che mai perirà, concluse la prima.
            La seconda si alzò in piedi ed esclamò:
            – Chi può descrivere la bellezza di un innocente? Quest’anima è vestita splendidamente come una di noi, ornata della bianca stola del santo Battesimo. Il suo collo, le sue braccia risplendono di gemme divine, ha in dito l’anello dell’alleanza con Dio. Essa cammina leggiera nel suo viaggio per l’eternità. Gli si para innanzi una via tempestata di stelle… È tabernacolo vivente dello Spirito Santo. Col sangue di Gesù che scorre nelle sue vene e imporpora le sue guance e le sue labbra, colla Santissima Trinità nel cuore immacolato manda intorno a sé torrenti di luce che la vestono nel fulgore del sole. Dall’alto piovono nembi di fiori celesti che riempiono l’aria. Tutto intorno si spandono le soavi armonie degli angioli che fanno eco alla sua preghiera. Maria Santissima gli sta a fianco pronta a difenderla. Il cielo è aperto per lei. Essa è fatta spettacolo alle immense legioni dei Santi e degli Spiriti beati, che la invitano agitando la loro palme. Iddio tra gli inaccessibili fulgori del suo trono di gloria colla destra le addita il seggio che le ha preparato, mentre colla sinistra tiene la splendida corona che dovrà incoronarla per sempre. L’innocente è il desiderio, il gaudio, il plauso del paradiso. E sul suo volto è scolpita una gioia ineffabile. É figlio di Dio. Dio è il Padre suo. Il paradiso è la sua eredità. Esso è continuamente con Dio. Lo vede, lo ama, lo serve, lo possiede, lo gode, ha un raggio delle celesti delizie: è in possesso di tutti i tesori, di tutte le grazie, dì tutti i segreti, dì tutti i doni e di tutte le sue perfezioni e di tutto Dio stesso.
            – Ed è perciò che l’innocenza nei Santi dell’Antico Testamento nei Santi del Nuovo, e specialmente nei Martiri si presenta così gloriosa. Oh Innocenza quanto sei bella! Tentata cresci in perfezione, umiliata ti levi più sublime, combattuta esci trionfante, uccisa voli alla corona. Tu libera nella schiavitù, tranquilla e sicura nei pericoli, lieta tra le catene. I potenti t’inchinano, i principi ti accolgono, i grandi ti cercano. I buoni ti obbediscono, i malvagi t’invidiano, i rivali ti emulano, gli avversari soccombono. E tu riuscirai sempre vittoriosa, anche allorché gli uomini ti avessero condannata ingiustamente!
            Le due donzelle fecero un istante di pausa, come per prendere respiro dopo uno sfogo così affocato e quindi si presero per mano e si guardarono:
            – Oh se i giovani conoscessero qual prezioso tesoro è l’innocenza, come fin dal principio della loro vita custodirebbero gelosamente la stola del santo battesimo! Ma purtroppo non riflettono e non pensano che cosa voglia dire macchiarla. L’innocenza è un liquore preziosissimo.
            – Ma è chiuso in un vaso di fragile creta e se non vien portato con gran cautela si spezza con tutta facilità.
            – L’innocenza è una gemma preziosissima.
            – Ma se non se ne conosce il valore, si perde e con facilità si tramuta con oggetto vile.
            – L’innocenza è tino specchio d’oro che ritrae le sembianze di Dio.
            – Ma basta un po’ di aria umida per irrugginirlo e bisogna tenerlo involto in un velo.
            – L’innocenza è un giglio.
            – Ma il solo tocco di una ruvida mano lo sciupa.
            – L’innocenza è una candida veste. Omni tempore sint vestimenta tua candida (In ogni tempo siano candide le tue vesti, Sir 9,8).
            – Ma una macchia sola basta per deturparla, quindi bisogna camminare con grande precauzione.
            – L’innocenza e l’integrità resta violata se viene imbrattata da una sola macchia e perde il tesoro della sua grazia.
            – Basta un solo peccato mortale.
            – E perduta una volta è perduta per sempre.
            – Quale sventura tante innocenze che si perdono ogni giorno! Allorché un giovanetto cade in peccato, il paradiso si chiude: la Vergine Santissima e l’Angelo custode scompaiono, cessano le musiche, si ecclissa la luce. Dio non è più nel suo cuore, si dilegua la via stellata che esso percorreva, cade e resta in un punto solo come isola in mezzo al mare, un mare di fuoco che si estende fino all’estremo orizzonte dell’eternità, che si inabissa fino alla profondità del caos. Sulla sua testa nel cielo scurissime guizzano, minacciose, le folgori della divina giustizia. Satana si è slanciato vicino a lui, lo ha caricato di catene, gli ha posto un piede sul collo, e col ceffo orribile sollevato in alto ha gridato: Ho vinto. Il tuo figlio è mio schiavo. Non è più tuo… È finita per lui la gioia. Se la giustizia di Dio in quel momento gli sottrae quell’unico punto sul quale sta, è perduto per sempre.
            – Ei può risorgere! La misericordia di Dio è infinita. Una buona confessione gli ridonerà la grazia e il titolo di figlio di Dio.
            – Ma non più l’innocenza! E quali conseguenze gli rimarranno del primo peccato! Ei conosce il male che prima non conosceva; sentirà terribili le prave inclinazioni; sentirà il debito enorme che ha contratto colla divina giustizia, si sentirà più debole nei combattimenti spirituali. Proverà ciò che prima non provava: vergogna, mestizia, rimorso.
            – E pensare che prima era detto di lui: Lasciate che i fanciulli vengano a me. Essi saranno come gli angeli di Dio in cielo. Figliuolo, donami il tuo cuore.
            – Ah un delitto spaventoso commettono quei disgraziati dei quali è colpa se un fanciullo perde l’innocenza. Ha detto Gesù: Chi scandalizzerà alcuno di questi piccolini che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina asinaia e che fosse sommerso nel profondo del mare. Guai al mondo per causa degli scandali. Non è possibile impedire gli scandali, ma guai a colui per colpa del quale viene lo scandalo. Guardatevi dal disprezzare alcuni di questi piccoli, poiché io vi fo sapere che i loro angioli nei cieli vedono perpetuamente il volto del padre mio che è nei Cieli e chiedono vendetta.
            – Disgraziati costoro! Ma non meno infelici quelli che si lasciano rubare l’innocenza.
            E qui ambedue si misero a passeggiare; il tema del loro discorso era qual fosse il mezzo per conservar l’innocenza.
            Una diceva:
            – È un grande errore che hanno nella testa i giovanetti, che cioè la penitenza debba solamente praticarsi da chi è peccatore. La penitenza è necessaria eziandio per conservare l’innocenza. Se S. Luigi non avesse fatto penitenza, sarebbe senz’altro caduto in peccato mortale. Ciò si dovrebbe predicare, inculcare, insegnare continuamente ai giovanetti. Quanti di più conserverebbero l’innocenza, mentre ora sono così pochi!
            – Lo dice l’Apostolo. Portando noi sempre per ogni dove la mortificazione di Gesù Cristo nel nostro corpo, affinché la vita ancor di Gesù si manifesti nei corpi nostri.
            – E Gesù santo, immacolato, innocente passò la vita sua in privazioni e dolori.
            – Così Maria Santissima, così tutti i Santi.
            – E fu per dare esempio a tutti i giovani. Dice S. Paolo: Se vivrete secondo la carne, morrete; se poi collo spirito darete morte alle azioni della carne, vivrete.
            – Dunque senza penitenza non si può conservar l’innocenza!
            – Eppure molti vorrebbero conservar l’innocenza e vivere in libertà.
            – Stolti! Non è scritto: Fu rapito, perché la malizia non alterasse il suo spirito e la seduzione non inducesse l’anima di lui in errore? Per questo l’affascinamento della vanità oscura il bene e la vertigine della concupiscenza sovverte l’animo innocente. Dunque due nemici hanno gli innocenti: le storte massime e i discorsi iniqui dei cattivi, e la concupiscenza. Non dice il Signore che la morte in giovanetta età è premio per l’innocente per toglierlo dai combattimenti? “Perché egli piacque a Dio, fu amato da lui e perché viveva tra i peccatori, altrove fu trasportato. Consumato egli in breve tempo compié una lunga carriera. Poiché era cara a Dio l’anima di lui, per questo Egli si affrettò di trarlo di mezzo alle iniquità. Fu rapito perché la malizia non alterasse il suo spirito, e la seduzione non inducesse l’anima di lui in errore”.
            – Fortunati i fanciulli se abbracceranno la croce della penitenza e con fermo proponimento diranno con Giobbe: Donec deficiam, non recedam ab innocentia mea (Fino alla morte non rinuncerò alla mia integrità, Gb 27,5).
            – Dunque mortificazione nel superare la noia che essi provano nella preghiera.
            – E sta scritto: Psallam et intelligam in via immaculata. Quando venies ad me? (Agirò con saggezza nella via dell’innocenza: quando a me verrai?, Ps 100,2). Petite et accipietis (Chiedete e vi sarà dato, Gv 16,24). Pater Noster! (Padre nostro!).
            – Mortificazione nell’intelletto coll’umiliarsi, obbedire ai Superiori e alle regole.
            – E sta pure scritto: Si mei non fuerint dominati, tunc immaculatus ero et emundabor a delicto maximo (Anche dall’orgoglio salva il tuo servo perché su di me non abbia potere; allora sarò irreprensibile, sarò puro da grave peccato, Ps 18,13). E questo è la superbia. Iddio ai superbi resiste e agli umili dà la grazia. Chi si umilia sarà esaltato, chi si esalta sarà umiliato. Obbedite ai vostri prepositi.
            – Mortificazione nel dir sempre la verità, nel palesare i propri difetti, e i pericoli nei quali può uno trovarsi. Allora avrà sempre consiglio, specialmente dal confessore.
            – Pro anima tua ne confundaris dicere verum: per amor dell’anima tua non vergognarti di dire la verità (Sir 4,24). Perché c’è un rossore che tira seco il peccato, e c’è un rossore che tira seco la gloria e la grazia.
            – Mortificazione nel cuore frenando i suoi moti inconsulti, amando tutti per amor di Dio e staccandosi risolutamente da chi ci accorgiamo insidiare alla nostra innocenza.
            – L’ha detto Gesù. Se la tua mano o il tuo piede ti serve di scandalo, troncali e gettali via da te: è meglio per te giungere alla vita con un piede o una mano di meno, che con tutte due le mani e con tutti due i piedi essere gettato nel fuoco eterno. E se l’occhio tuo ti serve dì scandalo, cavatelo e gettalo via da te; è meglio per te l’entrare alla vita con un solo occhio che con due occhi essere gettato nel fuoco dell’inferno.
            – Mortificazione nel sopportare coraggiosamente e francamente gli scherni del rispetto umano. Exacuerunt, ut gladium, linguas suas: intenderunt arcum, rem amaram, ut sagittent in occultis immaculatum (Affilano la loro lingua come spada, scagliano come frecce parole amare, per colpire di nascosto l’innocente, Ps 63,4-5).
            – E vinceranno questo maligno che schernisce temendo essere scoperto dai Superiori, col pensare alle terribili parole di Gesù: Chi si vergognerà di me e delle mie parole, si vergognerà di lui il Figliuolo dell’uomo quando verrà colla maestà sua e del Padre e dei santi Angeli.
            – Mortificazione negli occhi, nel guardare, nel leggere, rifuggendo da ogni lettura cattiva o inopportuna.
            – Un punto essenziale. Ho fatto patto cogli occhi miei di non pensare neppure ad una vergine. E nei salmi: Rivolgi gli occhi perché non vedano la vanità.
            – Mortificazione dell’udito e non ascoltare discorsi cattivi, o sdolcinati, o empi.
            – Si legge nell’Ecclesiastico: Saepi aures tuas spinis, linguam nequam non audire (Sir 28,28). Fa siepe di spine alle tue orecchie e non ascoltare la mala lingua.
            – Mortificazione nel parlare: non lasciarsi vincere dalla curiosità.
            – Sta pur scritto: Metti una porta ed un chiavistello alla tua bocca. Bada di non peccar colla lingua, onde tu non vada per terra a vista dei nemici, che ti insidiano e non sia insanabile e mortale la tua caduta (Sir 28,25-26).
            – Mortificazione di gola: non mangiare, non bere troppo.
            – Il troppo mangiare, il troppo bere trasse il diluvio universale sul mondo e il fuoco sopra Sodoma e Gomorra, e mille castighi sul popolo Ebreo.
            – Mortificarsi insomma nel soffrire ciò che ci accade lungo il giorno, freddo, caldo, e non cercare le nostre soddisfazioni. Mortificate le vostre membra terrene (Col, 3,5).
            – Ricordarsi di ciò che Gesù ha imposto: Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et tollat crucem suam quotidie et sequatur me (Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua, Lc 9,23).
            – E Dio stesso colla sua provvida mano cinge di croci e spine i suoi innocenti, come fece con Giobbe, Giuseppe, Tobia ed altri Santi. Quia acceptus eras Deo, necesse fuit, ut tentatio probaret te (Perché tu fossi accettato da Dio, era necessario che la tentazione ti mettesse alla prova, Tb 12,13).
            – La via dell’innocente ha le sue prove, i suoi sacrifici, ma ha la forza nella Comunione, perché chi si comunica sovente ha la vita eterna, sta in Gesù e Gesù in lui. Ei vive della stessa vita di Gesù, sarà da lui risuscitato nell’ultimo giorno. È questo il frumento degli eletti, il vino che fa germogliare i vergini. Parasti in conspectu meo mensam adversus eos, qui tribulant me.  (Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici, Ps 23,5). Cadent a latere tuo mille et decem millia a dextris tuis, ad te autem non appropinquabunt (Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma nulla ti potrà colpire, Ps 91,7).
            – E la Vergine dolcissima da lui amata è la Madre sua. Ego mater pulchrae dilectionis et timoris et agnitionis et sanctae spei. In me gratia omnis (per conoscere) viae et veritatis; in me omnis spes vitae et virtutis. (Sono la madre dell’amore, del timore, della scienza e della santa speranza. In me c’è tutta la grazia della via e della verità, Sir 24,24-25). Ego diligentes me diligo (Io amo coloro che mi amano, Pr 8,17). Qui elucidant me, vitam aeternam habebunt (Chi mi fa conoscere avrà la vita eterna, Sir 24,31). Terribilis, ut castrorum acies ordinata (terribile come un vessillo di guerra, Ct 6,4).
            Le due donzelle allora si volsero e salivano lentamente la ripa. E l’una esclamava:
            – La salute dei giusti vien dal Signore: ed egli è il lor protettore nel tempo della tribolazione. Il Signore li aiuterà e li libererà; ci li trarrà dalla mano dei peccatori e li salverà perché in lui hanno sperato (Sal 36,39-40).
            – E l’altra proseguiva:
            – Dio mi cinse di robustezza e la via che io batto rendete immacolata.
            Giunte le due donzelle in mezzo a quel magnifico tappeto, si volsero.
            – Sì, gridò una, l’innocenza coronata dalla penitenza è la regina di tutte le virtù.
            E l’altra esclamò pure:
            – Quanto è gloriosa e bella la casta generazione! La memoria di lei è immortale ed è nota dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini. La gente la imita quando ella è presente, e la desidera quando ella è partita pel cielo, e coronata trionfa nell’eternità, vinto il premio dei casti combattimenti. E quale trionfo! E quale gaudio! E quale gloria nel presentare a Dio immacolata la stola del santo battesimo dopo tanti combattimenti tra gli applausi, i cantici, il fulgore degli eserciti celesti!
            Mentre che così parlavano del premio che sta preparato per l’innocenza conservata per la penitenza, Don Bosco vide comparire schiere di angioli che scendendo si posavano su quel candido tappeto. E si univano a quelle due donzelle tenendo esse il posto di mezzo. Erano una gran moltitudine. E cantavano: Benedictus Deus et Pater Domini Nostri Jesu Christi, qui benedixit nos in omni benedictione spirituali in coelestibus in Christo; qui elegit nos in ipso ante mundi constitutionem, ut essemus sancti et immaculati in conspectu eius in charitate et praedestinavit nos in adoptionem per Jesum Christum (Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, Ef 1,3-5). Le due fanciulle si posero allora a cantare un inno stupendo, ma con tali parole e tali note che solo quegli angeli che erano più vicini al centro potevano modulare. Gli altri pure cantavano, ma Don Bosco non poteva sentire le loro voci, benché facessero gesti e muovessero le labbra atteggiando la bocca al canto.
            Cantavano le fanciulle: Me propter innocentiam suscepisti et confirmasti me in conspectu tuo in aeternum. Benedictus Dominus Deus a saeculo et usque in saeculum; fiat fiat! (Per la mia integrità tu mi sostieni e mi fai stare alla tua presenza per sempre. Sia benedetto il Signore, Dio d’Israele, da sempre e per sempre, Sal 40,13-14).
            Intanto alle prime schiere di Angioli se ne aggiungevano altre e poi altre continuamente. Il loro vestito era vario di colori, di ornamenti, diverso gli uni dagli altri e specialmente da quello delle due donzelle. Ma la ricchezza e la magnificenza era divina. La bellezza di ciascuno di costoro era quale mente umana non potrà mai in nessun modo concepirne un’ombra per quanto lontana. Tutto lo spettacolo di questa scena non si può descrivere, ma a forza di aggiungere parola a parola si può in qualche modo spiegarne confusamente il concetto.
            Finito il cantico delle due fanciulle, si udirono cantare tutti insieme un cantico immenso e così armonioso che l’eguale non sì è udito e mai si udirà sulla terra. Essi cantavano:
Ei, qui potens est vos conservare sine peccato et constituere ante conspectum gloriae suae immaculatos in exultatione, in adventu Domini nostri Jesu Christi: Soli Deo Salvatori nostro, per Jesum Christum Dominum nostrum, gloria et magnificentia, imperium et potestas ante omne saeculum, et nunc et in omnia saecula saeculorum. Amen (A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria senza difetti e colmi di gioia, all’unico Dio, nostro salvatore, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, gloria, maestà, forza e potenza prima di ogni tempo, ora e per sempre. Amen, Gd 1,24-25).
            Mentre cantavano, sopraggiungevano sempre nuovi angeli e quando il cantico fu terminato, a poco a poco tutti insieme si sollevarono in alto e disparvero con tutta la visione. – E Don Bosco si svegliò.
(MB XVII, 722-730)