Durante l’undicesimo Capitolo Generale della Congregazione Salesiana venne eletto il primo Rettor Maggiore, don Paolo Albera. Sebbene formalmente rappresenti il secondo successore di don Bosco, in realtà fu il primo a essere eletto, poiché don Rua era stato già nominato personalmente da don Bosco, per ispirazione divina e su sollecitazione di Papa Pio IX (la nomina di don Rua fu ufficializzata il 27 novembre 1884 e successivamente confermata dalla Santa Sede l’11 febbraio 1888). A seguire, lasciamoci guidare dal racconto di don Eugenio Ceria, che narra l’elezione del primo successore di don Bosco e i lavori del Capitolo Generale.
Non sembra quasi possibile parlare di antichi Salesiani senza prendere le mosse da Don Bosco. Questa volta è per ammirare la divina Provvidenza, che a Don Bosco lungo l’arduo cammino fece incontrare gli uomini a lui indispensabili nei vari gradi e uffici dell’istituenda sua Congregazione. Uomini, dico, non fatti, ma da fare. Toccò al fondatore cercarseli giovanetti, crescerli, educarli, istruirli, informarli del suo spirito, sicché, dovunque li mandasse, lo rappresentassero degnamente in mezzo ai Soci e di fronte agli estranei. Ecco il caso anche del suo secondo successore. Il piccolo ed esile Paolino Albera, quando dal paesello nativo venne all’Oratorio, non spiccava tra la turba dei compagni per alcuna di quelle caratteristiche, le quali richiamano l’attenzione sopra un nuovo arrivato; ma Don Bosco non tardò a scorgere in lui innocenza di costumi, capacità intellettuale velata da naturale timidezza, e indole di fanciullo, che gli dava bene a sperare. Portatolo su su fino all’altare, lo mandò Direttore a Sampierdarena, poi Direttore a Marsiglia e Ispettore per la Francia, dove lo chiamavano petit Don Bosco, finché nel 1886 la fiducia dei confratelli lo elesse Catechista generale ossia Direttore spirituale della Società. Ma lì non si arrestarono le sue ascensioni.
Dopo la morte di Don Rua il governo della Società passò, secondo la Regola, nelle mani del Prefetto Generale Don Filippo Rinaldi, che perciò presiedeva il Capitolo Superiore e dirigeva i preparativi per il Capitolo Generale da tenersi entro l’anno 1910. Il grande convegno fu stabilito che si aprisse il 15 agosto, preceduto da un corso di esercizi spirituali, fatti dai Capitolari e predicati da Don Albera.
Un diario intimo di Don Albera, in inglese, ci mette in grado di conoscere quali fossero i suoi sentimenti nel periodo dell’attesa. Sotto il 21 aprile troviamo: “Parlo a lungo con Don Rinaldi e con gran piacere. Io desidero di tutto cuore, che sia eletto alla carica di Rettor Maggiore della nostra Congregazione. Pregherò lo Spirito Santo per ottenere questa grazia». E sotto il 26: “Raramente si parla del successore di Don Rua. Io spero che si elegga il Prefetto. Ha le virtù necessarie per la carica. Ogni giorno prego per questa grazia». Di nuovo 1’11 maggio: “Accetto di andare a Milano per il funerale di Don Rua. Sono contentissimo di obbedire a Don Rinaldi, nel quale riconosco il mio vero Superiore. Prego tutti i giorni domandando che sia eletto Rettor Maggiore”. Sotto il 6 giugno rivela il perché di tanta propensione per Don Rinaldi scrivendo di lui: “Ho un’alta idea della sua virtù, della sua capacità e iniziativa”. Andando poco dopo a Roma in sua compagnia, scriveva l’8 in Firenze: “Vedo che Don Rinaldi è bene accetto dappertutto e considerato come il successore di Don Rua. Lascia buona impressione in quelli con i quali parla”.
Se fosse dunque stato lecito fare propaganda, egli sarebbe stato suo grande elettore. Né erano pochi i Salesiani che la pensavano allo stesso modo. Non parliamo degli spagnoli, tra i quali aveva lasciato grande eredità d’affetti. Ispettori e delegati, quando arrivavano dalla Spagna per il Capitolo Generale, non facevano tanti misteri nemmeno parlando con lui. Ma egli a tali discorsi mostrava tutta l’indifferenza di un sordo, che non intenda sillaba di quanto gli si dice. In questo il suo atteggiamento era tale, che impressionava i suoi giocondi interlocutori. C’era veramente del mistero.
La sera dell’Assunta si tenne l’adunanza di apertura, nella quale Don Rinaldi “parlò molto bene”, nota nel diario Don Albera. All’elezione del Rettor Maggiore si procedette nella seduta del mattino seguente. Dall’inizio dello scrutinio i nomi di Don Albera e di Don Rinaldi si avvicendavano a brevi intervalli. Il primo appariva sempre più turbato e sbigottito; l’altro invece non dava il menomo segno di commozione. La cosa era notata, e non senza una puntolina di curiosità. Un grande applauso salutò il voto, che raggiungeva la maggioranza assoluta, richiesta dalla Regola. Don Rinaldi, com’ebbe compiuto l’ultimo atto nella sua qualità di presidente dell’assemblea con la proclamazione dell’eletto, domandò di poter leggere un suo promemoria. Ottenuto l’assenso, si fece restituire da Don Lemoyne, Segretario del Capitolo1 Superiore, una busta chiusa, consegnatagli il 27 febbraio e recante la soprascritta: “Da aprirsi dopo le elezioni che avverrebbero alla morte del caro Don Rua”. Avutala nelle mani, la dissuggellò e lesse: “Il sig. Don Rua è gravemente ammalato ed io mi credo in dovere di consegnare per iscritto, quanto si conserva nel mio cuore, al suo successore. Il 22 novembre 1877 si celebrava a Borgo S. Martino la solita festa di S. Carlo. Alla tavola presieduta dal Ven. Giovanni Bosco e da Mons. Ferrò sedeva io pure al fianco di Don Belmonte. Ad un certo punto cadde la conversazione su Don Albera, raccontando Don Bosco le difficoltà, che gli mosse il clero del suo paese. Fu allora che Mons. Ferrò volle sapere, se Don Albera avesse superato quelle difficoltà: — Certamente, rispose Don Bosco. Egli è il mio secondo… — E passando una mano sulla fronte, sospese la frase. Ma io calcolai subito che non era il secondo entrato né il secondo in dignità, non essendo del Capitolo Superiore, né il secondo Direttore ed arguii che fosse il secondo successore; ma conservai queste cose nel mio cuore, aspettando gli eventi. Torino, 27 febbraio 1910». Gli elettori compresero allora il perché del suo contegno e si sentirono allargare il cuore: avevano dunque eletto colui che da Don Bosco era stato preconizzato trentatré anni prima.
Venne subito incaricato Don Bertello di formulare due telegrammi di comunicazione al Santo Padre e al Card. Rampolla, Protettore della Società. Al Papa si diceva: “Don Paolo Albera, nuovo Rettor Maggiore Pia Società Salesiana e Capitolo Generale, che con massima concordia di animi oggi novantacinquesimo anniversario nascita Ven. Don Bosco lo elesse e col massimo giubilo lo festeggia eletto, ringraziano Vostra Santità preziosi consigli e preghiere e protestano profondo ossequio ed illimitata obbedienza”. Sua Santità rispose tosto inviando l’apostolica benedizione. Nel telegramma si allude a un autografo pontificio del 9 agosto. Era del tenore seguente: “Ai diletti figli della Congregazione Salesiana del Ven. Don Bosco raccolti per la elezione del Rettor Generale, nella certezza, che tutti, quacumque humana affectione postposita, daranno il loro voto a quel Confratello, che giudicheranno in Domino il più adatto per mantenere il vero spirito della Regola, per incoraggiare e dirigere alla perfezione tutti i Membri del religioso Istituto, e per far prosperare le molteplici opere di carità e di religione, alle quali si sono consacrati, impartiamo con paterno affetto l’Apostolica Benedizione. Dal Vaticano li 9 agosto 1910. Pius PP. X”.
Anche il Cardinale Protettore aveva indirizzato il 12 agosto “al Regolatore ed Elettori del Capitolo “una parola paterna di augurio e di incoraggiamento, dicendo tra l’altro: “Il vostro amatissimo Don Bosco col più intenso affetto di padre già vi rivolge senza dubbio dal Cielo lo sguardo ed implora ferventemente dal Divino Paracleto che spanda su di voi i celesti lumi ispirandovi savi consigli. La santa Chiesa attende dai vostri suffragi un degno successore di Don Bosco e di Don Rua, il quale sappia sapientemente conservare l’opera loro, anzi accrescerla con nuovi incrementi. Ed anch’io col più vivo interessamento, unito a voi nella preghiera, formo caldissimi voti, affinché col divino favore la vostra scelta sia sotto ogni rapporto felice e tale da recarmi la dolce consolazione di vedere la Congregazione Salesiana ognora più rigogliosa fiorire a vantaggio delle anime e ad onore dell’Apostolato cattolico. Fate dunque che in atto così sacro e solenne gli animi vostri si tengano lungi da umani riguardi e personali sentimenti; onde guidati unicamente da rette intenzioni e ardente brama della gloria di Dio e del maggior bene dell’Istituto, congiunti nel nome del Signore nella più perfetta concordia e carità, possiate scegliere a vostro reggitore colui che per santità di vita vi sia esempio, per bontà di cuore padre amoroso, per prudenza e saggezza guida sicura, per zelo e fermezza vigile custode della disciplina, della religiosa osservanza e dello spirito del Venerabile Fondatore”. Sua Eminenza, ricevendo non molto dopo Don Albera, gli diede segni non dubbi di ritenere che la scelta fosse stata fatta conforme ai voti da lui espressi.
Quale fosse nei primi istanti il sentimento dell’eletto, lo dice il diario, nel quale sotto il 16 agosto leggiamo: “Questo è un giorno di grande sfortuna per me. Sono stato eletto Rettor Maggiore della Pia Società di S. Francesco di Sales. Quale responsabilità sulle mie spalle! Ora più che mai debbo gridare: Deus, in adiutorium meum intende. Ho pregato moltissimo, specialmente davanti alla tomba di Don Bosco”. Nel suo portafoglio fu rinvenuto un foglietto ingiallito, nel quale si era tracciato e firmato questo programma: “Avrò sempre Dio in vista, Gesù Cristo qual modello, l’Ausiliatrice in aiuto, me stesso in sacrificio”.
Erano scaduti nel medesimo tempo tutti i membri del Capitolo Superiore e bisognava farne l’elezione, il che si eseguì nella terza seduta. Primo fu eletto il Prefetto Generale. La votazione sul nome di Don Rinaldi risultò plebiscitaria. Dei 73 votanti, 71 diedero a lui il voto. Mancò dunque un voto solo, che andò a Don Paolo Virion, Ispettore francese. L’altro, assai probabilmente il suo, fu per Don Pietro Ricaldone, Ispettore nella Spagna, da lui molto stimato. Ripigliò pertanto la sua quotidiana fatica, che doveva durare ancora dodici anni, fino a quando diventò egli stesso Rettor Maggiore.
Fatto questo, il Capitolo passò all’elezione dei rimanenti, che furono: Don Giulio Barberis, Catechista Generale; Don Giuseppe Bertello, Economo; Don Luigi Piscetta, Don Francesco Cerruti, Don Giuseppe Vespignani, Consiglieri. Quest’ultimo, Ispettore nell’Argentina, ringraziata l’assemblea per l’atto di fiducia, si disse obbligato da motivi particolari e anche dalla salute a declinare la nomina, pregando si volesse addivenire a un’altra elezione. Ma il Superiore non credette doversene accettare così su due piedi la rinuncia e lo pregò di sospendere fino al domani ogni decisione. Al domani, invitato dal Rettor Maggiore a notificare la risoluzione presa, rispose che, seguendo il consiglio del Superiore, si rimetteva interamente all’obbedienza con faccettare la carica.
Primo atto del rieletto Prefetto Generale fu di portare ufficialmente a conoscenza dei Soci l’elezione del nuovo Rettor Maggiore. In una breve lettera, accennate di volo le varie fasi della sua vita, ricordava opportunamente il così detto “Sogno della Ruota”, nel quale Don Bosco aveva visto Don Albera con una lucerna in mano illuminare e guidare gli altri (MB VI,910). Quindi molto opportunamente conchiudeva: “Miei cari confratelli, risuonino ancora una volta alle vostre orecchie le amorose parole di Don Bosco nella lettera-testamento: “Il vostro Rettore è morto, ma ve ne sarà eletto un altro, che avrà cura di voi e della vostra eterna salvezza. Ascoltatelo, amatelo, ubbiditelo, pregate per lui, come avete fatto per me”.
Alle Figlie di Maria Ausiliatrice Don Albera stimò opportuno fare senza troppo indugio una sua comunicazione, tanto più che da esse riceveva lettere in buon numero. Le ringraziava pertanto dei loro rallegramenti, ma soprattutto delle loro preghiere. “Spero, scriveva, che Iddio esaudirà i vostri voti e che non permetterà che la mia inettezza abbia ad essere di nocumento a quelle opere, a cui il Ven. Don Bosco e l’indimenticabile Don Rua consacrarono tutta la loro vita”. Si augurava infine che tra i due rami della famiglia di Don Bosco regnasse ognora una santa gara nel conservare lo spirito di carità e di zelo lasciato in eredità dal fondatore.
Diamo ora un fuggevole sguardo ai lavori del Capitolo Generale. Tema fondamentale si può dire che ve ne fu uno solo. Il Capitolo antecedente, compiuta una revisione piuttosto sommaria dei Regolamenti, aveva deliberato che, così com’erano, si praticassero per sei anni ad experimentum e che il Capitolo XI li ripigliasse in esame fissandone il testo definitivo. Questi Regolamenti erano sei: per gl’Ispettori, per tutte le case salesiane, per le case di noviziato, per le parrocchie, per gli oratori festivi e per la Pia Unione dei Cooperatori. Il medesimo Capitolo X con una petizione firmata da 36 membri aveva chiesto che nell’XI si trattasse la questione amministrativa e soprattutto il modo di rendere sempre più proficui i cespiti d’entrata, che la Provvidenza concedeva a ogni casa salesiana. Ad agevolare l’arduo lavoro fu nominata per ogni Regolamento una Commissione, dirò così, di tecnici, extracapitolare con l’incarico di fare gli studi relativi e di presentare al Capitolo medesimo le conclusioni.
Le discussioni, incominciate alla quinta seduta, si protrassero per altre 21. A voler esaurire la materia sarebbe stato necessario prolungare ben più i lavori; ma il Capitolo Generale con votazione unanime deferì il compito di ultimare la revisione al Capitolo Superiore, il quale promise di eseguirla, nominando un’apposita Commissione. Tuttavia il Capitolo Generale, per mostrare che non se ne disinteressava e per aiutare l’opera, manifestò il desiderio di creare una Commissione incaricata di formulare i principali criteri, che avrebbero dovuto guidare la nuova Commissione dei Regolamenti nella sua lunga e delicata fatica. Cosi fu fatto. Vennero pertanto portate a conoscenza dell’assemblea e approvate dieci norme direttive, elaborate da suoi delegati sotto la presidenza di Don Ricaldone. Lo sfondo di esse era di mantenere saldo lo spirito di Don Bosco, integri conservando quegli articoli che si riconoscevano suoi, e di eliminare dai Regolamenti quanto contenevano di puramente esortativo.
Dell’XI Capitolo Generale altro più non ricorderò fuorché due episodi, i quali sembrano avere particolare importanza. Il primo si riferisce al Regolamento degli Oratori festivi. La Commissione extracapitolare aveva creduto bene di sfrondarlo, massime nella parte concernente le svariate cariche. A Don Rinaldi parve che ne risultasse distrutto il concetto di Don Bosco circa gli Oratori festivi; onde insorse dicendo; “Il Regolamento stampato nel 1877 fu veramente compilato da Don Bosco, e me lo assicurava Don Rua quattro mesi prima della morte. Faccio quindi voti, che sia conservato intatto, perché, se sarà praticato, si vedrà che è sempre buono anche oggi”.
Qui si accese un’animata discussione, della quale colgo le battute più notevoli. Il relatore dichiarò che la Commissione ignorava affatto questa particolarità; ma osservò pure non essersi mai quel Regolamento praticato integralmente in nessun Oratorio festivo, nemmeno a Torino. Opinare la Commissione che il Regolamento fosse stato fatto compilare da Don Bosco su Regolamenti degli Oratori festivi lombardi; a ogni modo aver essa inteso soltanto di sfrondarlo e d’introdurvi quanto di pratico si riscontrasse nei migliori Oratori salesiani. Ma Don Rinaldi non si acquietò, e insistette nel desiderio di Don Rua che quel Regolamento venisse rispettato, come opera di Don Bosco, pur con l’introduzione di quanto si giudicasse utile per i giovani adulti.
Rincalzò questa tesi Don Vespignani. Egli, venuto all’Oratorio già sacerdote nel 1876, aveva ricevuto da Don Rua l’incarico di trascrivere dall’originale di Don Bosco quel Regolamento e ne conservava ancora le prime bozze. Anche Don Barberis assicurò di aver veduto l’autografo. Gli oppositori l’avevano contro le cariche. Ma Don Rinaldi non disarmò, anzi proferì queste energiche parole: “Nulla si alteri del Regolamento di Don Bosco, che altrimenti perderebbe l’autorità”. Don Vespignani confermò un’altra volta il pensiero di lui con esempi dell’America e specialmente dell’Uruguay, dove, essendosi voluto al tempo di Mons. Lasagna provare diversamente, non si era riusciti a nulla. Finalmente la controversia fu chiusa col votare il seguente ordine del giorno: “Il Capitolo Generale XI delibera che si conservi intatto il “Regolamento degli Oratori festivi” di Don Bosco, quale fu stampato nel 1877, facendovi solo in appendice quelle aggiunte che vi si ritenessero opportune, specialmente per le sezioni dei giovani più adulti». Va encomiata la sensibilità dell’assemblea di fronte a un tentativo di riforma in cose sancite da Don Bosco.
Il secondo episodio appartiene alla penultima seduta per una questione non estranea ai Regolamenti, come a prima vista potrebbe sembrare. La sollevò di nuovo Don Rinaldi, resosi interprete del desiderio di molti, che venisse definita la posizione dei Direttori nelle case dopo il decreto sulle confessioni. Fino al 1901 l’essere essi confessori ordinari dei soci e degli alunni faceva sì che nel dirigere agissero abitualmente con uno spirito paterno (questo argomento è ampiamente esposto in Annali III,170-194). Dopo d’allora invece si cominciava a osservare che veniva smettendosi il carattere paterno voluto da Don Bosco nei suoi Direttori e da lui insinuato nel Regolamento delle case e altrove; i Direttori infatti si davano ad accudire gli affari materiali, disciplinari e scolastici, sicché diventavano Rettori e non più Direttori. “Dobbiamo tornare, diceva Don Rinaldi, allo spirito e al concetto di Don Bosco, manifestatoci specialmente nei “Ricordi confidenziali “(Annali III,49-53) e nel Regolamento. Il Direttore sia sempre Direttore salesiano. Eccetto il ministero della confessione, nulla è mutato».
Don Bertello deplorò che i Direttori avessero creduto di dover lasciare con la confessione anche la cura spirituale della casa, dedicandosi ad uffici materiali. “Speriamo, disse, che sia stata cosa di un momento. Bisogna tornare all’ideale di Don Bosco, descrittoci nel Regolamento. Si leggano quegli articoli, si meditino e si pratichino” (Li citò secondo l’edizione d’allora’; nella presente sarebbero i 156, 157, 158, 159, 57, 160, 91, 195). Conchiuse Don Albera dicendo: “È questione essenziale per la vita della nostra Società, che si conservi lo spirito del Direttore secondo l’ideale di Don Bosco; altrimenti cambiamo il modo di educare e non saremo più salesiani. Dobbiamo fare di tutto per conservare lo spirito di paternità, praticando i ricordi che Don Bosco ci lasciò: essi ci diranno come bisogna fare. Specialmente nei rendiconti noi potremo conoscere i nostri sudditi e dirigerli. Quanto ai giovani, la paternità non importa carezze o concessioni illimitate, ma l’interessarsi di loro, il dar loro facoltà di venirci a trovare. Non dimentichiamo poi l’importanza del discorsino della sera. Siano fatte bene e con cuore le prediche. Facciamo vedere che ci sta a cuore la salvezza delle anime e lasciamo ad altri le parti odiose. Così sarà conservata al Direttore l’aureola, di cui lo voleva circondato Don Bosco”.
Anche questa volta i Capitolari trovarono aperta nell’Oratorio un’Esposizione generale delle Scuole Professionali e Agricole Salesiane, la terza, che durò dal 3 luglio al 16 ottobre. Avendo già descritte le due precedenti, non occorre più fermarci a ripetere su per giù le medesime cose (Annali III,452-472). Naturalmente l’esperienza passata servì a una migliore organizzazione della mostra. Prevalse il criterio enunciato già due volte dall’organizzatore Don Bertello, che cioè, secondo un ordinamento voluto da Don Bosco, ogni Esposizione di tal genere è un fatto destinato a ripetersi periodicamente ad ammaestramento e stimolo delle scuole. L’apertura e la chiusura ricevettero lustro dall’intervento delle autorità cittadine e di rappresentanti del Governo. Visitatori non ne mancarono mai, e fra essi personalità d’alto grado ed anche di vera competenza. Nell’ultimo giorno il prof. Piero Gribaudi fece al nuovo Rettor Maggiore la prima presentazione di ex-allievi torinesi in numero di circa 300. Il Deputato Cornaggia nel suo discorso finale pronunciò questo giudizio ben degno di restare (Bollettino Salesiano, nov.1910, p.332): “Chi ha avuto occasione di approfondire lo studio sull’ordinamento di queste scuole e dei concetti che le ispirano, non può non ammirare la sapienza di quel Grande, che ha compreso i bisogni operai nelle condizioni dei tempi nuovi, prevenendo filantropi e legislatori”.
Avevano partecipato alla mostra 55 case con un numero complessivo di 203 scuole. L’esame dei lavori esposti fu affidato a nove giurie distinte, delle quali fecero parte 50 tra i più insigni professori, artisti e industriali di Torino. Dovendo avere l’Esposizione carattere esclusivamente scolastico, secondo tale criterio vennero giudicati i lavori e aggiudicati i premi. Questi ultimi furono cospicui, offerti dal Papa (una medaglia d’oro), dal Ministero di Agricoltura e Commercio (cinque medaglie d’argento), dal Municipio di Torino (una medaglia d’oro e due d’argento), dal Consorzio agrario di Torino (due medaglie d’argento), dalla “Pro Torino” (una medaglia vermeil, una d’argento e due di bronzo), dagli ex-allievi del Circolo “Don Bosco” (una medaglia d’oro), dalla Ditta “Augusta” di Torino (lire 500 in materiale tipografico da dividersi in tre premi), dal Capitolo Superiore salesiano (corona d’alloro in argento dorato per il gran premio) (Le assegnazioni stanno elencate nel citato numero del Bollettino Salesiano).
Mette conto riportare gli ultimi periodi della relazione, che Don Bertello lesse prima che si proclamassero i premiati. Disse: “Circa tre mesi fa, nell’atto d’inaugurare la nostra piccola Esposizione, noi abbiamo deplorato che per la morte del Rev.mo sig. Don Rua fosse mancato Colui, al quale intendevamo di fare l’omaggio dei nostri studi e dei nostri lavori nel suo giubileo sacerdotale. La Divina Provvidenza ci ha dato un nuovo Superiore e Padre nella persona del Rev.mo sig. Don Albera. Orbene, chiudendo l’Esposizione, noi deponiamo nelle sue mani i nostri propositi e le nostre speranze, sicuri che l’artigiano, che fu già prima cura del Ven. Don Bosco e delizia del signor Don Rua, avrà sempre un posto conveniente nell’affetto e nelle sollecitudini del loro Successore”.
Quello fu l’ultimo trionfo di Don Bertello. Poco più di un mese dopo, il 20 novembre, un malore improvviso spegneva d’un tratto un’esistenza così operosa. L’ingegno robusto, la soda cultura, la fermezza del carattere e la bontà dell’animo fecero di lui prima un saggio Direttore di collegio, poi un solerte Ispettore e infine per dodici anni un esperto Direttore Generale delle scuole professionali e agricole salesiane. Tutto egli doveva, dopo Dio, a Don Bosco, che l’aveva allevato nell’Oratorio fin da piccolo e se l’era formato a sua immagine e somiglianza.
Don Albera non aveva frapposto il menomo indugio a compiere il gran dovere di rendere omaggio al Vicario di Gesù Cristo, a Colui che la Regola chiama “arbitro e supremo Superiore “della Società. Subito il 1° settembre partì per Roma, dove, giunto il 2, trovò già il biglietto di udienza per la mattina del 3. Sembrò quasi che Pio X fosse impaziente di vederlo. Dalle labbra del Papa raccolse alcune amabili espressioni, che si ripose nel cuore. Ai ringraziamenti per l’autografo e la benedizione rispose il Papa d’aver creduto di agire così per far conoscere quanto gli tornasse gradita l’attività mondiale dei Salesiani e soggiunse: -— Siete nati ieri, è vero, ma siete sparsi in tutto il mondo e dappertutto lavorate molto. — Essendo informato delle vittorie già ottenute nei tribunali contro i calunniatori di Varazze (Annali III,729-749), ammonì: — Vigilate, perché altri colpi vi preparano i vostri nemici. — Finalmente, richiesto umilmente di qualche norma pratica per il governo della Società, rispose; — Non vi scostate dagli usi e dalle tradizioni introdotti da Don Bosco e da Don Rua.
Era già finito il 1910 e Don Albera non aveva ancora fatto una comunicazione all’intera Società. Occupazioni nuove per lui e incessanti, massime le molte conferenze con i 32 Ispettori, gl’impedivano sempre di raccogliersi al tavolino. Solo nella prima metà di gennaio, come si rileva dal diario, scrisse le prime pagine di una circolare, che doveva riuscirgli lunghetta. La spedi con la data del 25. Scusatosi del ritardo a farsi vivo, commemorato Don Rua ed elogiato Don Rinaldi per il suo buon governo interinale della Società, si diffondeva in particolari notizie sul Capitolo Generale, sulla propria elezione, sulla visita al Papa, sulla morte di Don Bertello. In tutto aveva l’aria di un padre che s’intrattiene familiarmente con i figli. Li mise pure a parte delle sue pene per i fatti del Portogallo. Spodestata a Lisbona la monarchia nell’ottobre 1910, i rivoluzionari avevano preso accanitamente di mira i religiosi, assalendoli con una furia selvaggia. I Salesiani non ebbero a lamentare vittime; tuttavia i confratelli del Pinheiro presso Lisbona passarono una brutta giornata. Un branco di energumeni invase e svaligiò quella casa, non solo prendendosi ludibrio dei sacerdoti e dei chierici, ma anche profanando sacrilegamente la cappella e più sacrilegamente disperdendo al suolo e perfino calpestando le ostie consacrate. Quasi tutti i Salesiani dovettero lasciare il Portogallo, rifugiandosi nella Spagna o nell’Italia. I rivoluzionari ne occuparono le scuole e i laboratori, donde furono scacciati gli alunni. Anche alle colonie si estese la persecuzione, sicché bisognò abbandonare Macao e Mozambico, dove si faceva gran bene (Annali III, 606 e 622-4). Ma già allora Don Albera poteva scrivere: “Coloro stessi che ci hanno dispersi, riconoscono che hanno privato il loro paese delle uniche scuole professionali che possedesse”.
Egli, che tante volte aveva udito Don Bosco nei primordi della Società predire il moltiplicarsi de’ suoi figli in ogni nazione anche remota, e vedeva allora avverate mirabilmente quelle predizioni, sentiva certo tutto il peso dell’immensa eredità ricevuta e riteneva che per qualche tempo non fosse da metter mano a opere nuove, ma convenisse applicarsi a consolidare le esistenti. Stimava quindi doveroso inculcare la stessa cosa a tutti i Salesiani: a ottener ciò non bastando da soli i Superiori, si raccomandava caldamente alla cooperazione comune. Siccome poi in quegli anni il modernismo tendeva insidie anche alle famiglie religiose, metteva sull’avviso i Salesiani, supplicandoli a fuggire ogni novità, che Don Bosco e Don Rua non avrebbero potuto approvare.
Insieme con la circolare inviava pure a ogni casa un esemplare delle circolari di Don Rua, che dal letto di morte aveva dato a lui l’incarico di raccoglierle in un volume. Il lavoro tipografico era già terminato da circa due mesi; infatti la pubblicazione recava in fronte una lettera di Don Albera con la data dell’8 dicembre 1910.
Per il vicino anniversario della morte di Don Bosco inviava dunque alle case un doppio regalo, la circolare e il libro. A questo secondo egli teneva in modo speciale, perché sapeva di offrire in esso un gran tesoro di ascetica e di pedagogia salesiana. Le tracce di Don Rua egli si era proposto di seguire, prefiggendosi specialmente d’imitarne la carità e lo zelo nel procurare il bene spirituale di tutti i Salesiani.
Annali della Società salesiana, vol. IV (1910-1921), p. 1-13
Elezione del primo Rettor Maggiore
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