Francesco di Sales era persuaso che «dalla buona o cattiva educazione della gioventù dipende radicalmente il benessere o il malessere della società e dello stato»; riteneva inoltre «che i collegi sono come vivai e seminari, da cui escono coloro che in seguito riempiranno uffici e ricopriranno incarichi, destinati a essere amministrati bene o male nella misura in cui precedentemente gli innesti siano stati bene o male coltivati». Perciò voleva «che la gioventù fosse istruita in maniera uguale nella pietà e nei costumi, come nelle lettere e nelle scienze».
Scuola, collegio e formazione professionale a Thonon
La formazione della gioventù negli studi e nella fede cattolica era particolarmente urgente a Thonon, città vicina a Ginevra. Diversi progetti occuparono per lunghi anni lo spirito di Francesco di Sales, all’epoca in cui era prevosto e poi come vescovo.
Prima del ritorno della città al cattolicesimo, a Thonon c’era una scuola fondata grazie a un lascito che le assicurava risorse sufficienti per l’educazione di dodici scolari. Nel 1579 l’istruzione vi era impartita da due o tre istitutori. Con la restaurazione del cattolicesimo a Thonon nel 1598, il prevosto de Sales chiese che il lascito servisse a dodici allievi «che fossero cattolici».
Ma il progetto che stava più a cuore al prevosto era quello di portare a Thonon i padri della Compagnia di Gesù: «Chi aggiungesse a tutto questo un collegio di gesuiti in questa città, farebbe partecipare di questo bene tutto il territorio circostante che, quanto a religione, è quasi del tutto indifferente». Il prevosto preparò un Promemoria in cui affermava con forza la convinzione generale: «Non c’è niente di più utile per questa provincia del Chiablese se non costruire un collegio della Compagnia di Gesù nella città di Thonon».
Alla fine di ottobre 1599 arrivava un primo gesuita, alla fine di novembre un secondo e gli altri erano in viaggio provenienti da Avignone. Verso la fine dell’anno, i gesuiti giunti a Thonon iniziarono con una «piccola scuola», che l’anno successivo conterà centoventi allievi. A seguito delle turbolenze sopravvenute nel 1600, furono dispersi per vari mesi, dopo di che incominciarono di nuovo le scuole con circa trecento allievi.
Ma a che cosa serviranno le scuole di grammatica se, per le umanità gli allievi saranno obbligati a frequentare i collegi protestanti? Urgeva creare classi secondarie e classi superiori di filosofia, teologia, sacra Scrittura e diritto. All’inizio del mese di dicembre 1602 tutto sembrava pronto per l’apertura del collegio e futura università di Thonon. Ora, alcuni giorni più tardi, il fallito tentativo del duca di Savoia di riprendere Ginevra provocò nuovamente l’allontanamento dei gesuiti. Ben presto saranno costretti a ritirarsi definitivamente.
Dopo la partenza dei gesuiti, la scuola riprese vita con il concorso del personale locale. Il collegio di Thonon non vedrà un vero sviluppo se non verso la fine del 1615, quando il vescovo farà appello alla congregazione dei barnabiti, già impiantati nel collegio d’Annecy.
Mentre si provvedeva agli studi letterari, un altro progetto mobilitava le energie del prevosto e dei suoi collaboratori. Nel 1599, Francesco di Sales preconizzava la fondazione di un «albergo di tutte le scienze e arti», cioè una sorte di scuola professionale con una stampa, una fabbrica di carta, un laboratorio di meccanica, una passamaneria e un’armeria.
L’idea di un’istituzione per la formazione nelle «arti e mestieri» va sottolineata, perché l’apprendimento avveniva normalmente a casa, accanto al padre che insegnava il suo mestiere al figlio destinato a succedergli, oppure presso un artigiano. D’altra parte, si può costatare che Francesco di Sales e i suoi collaboratori si interessavano di mestieri manuali ritenute vili, che la maggioranza degli umanisti sembrava ignorare. Promuovere le «arti meccaniche», significava anche valorizzare gli artigiani che le élites tendevano a disprezzare.
Le piccole scuole della diocesi
Nel 1606, esistevano in diocesi quindici scuole di ragazzi, dove si insegnavano la grammatica, le lettere e il catechismo. All’apparenza era poco. In realtà, nelle parrocchie veniva realizzata un’alfabetizzazione abbastanza diffusa; brevi corsi erano organizzati in certi periodi dell’anno, soprattutto nella stagione invernale, grazie a temporanei accordi con gli insegnanti e specialmente grazie alla buona volontà dei parroci e dei viceparroci.
L’insegnamento era elementare e consisteva prima di tutto nell’imparare a leggere tramite un abbecedario. Il maestro non disponeva in genere di un proprio locale, ma utilizzava un ambiente qualunque, una scuderia o una stalla. Talvolta «le sue lezioni, tenute a cielo aperto, perfino a 1500 o a 2000 metri di altezza, con scolari seduti su una pietra, un carretto, un tronco d’abete o sulle braccia dell’aratro, non erano privi di fascino e di pittoresco».
Come si intuisce, i maestri erano reclutati in linea di massima tra il clero diocesano e tra i religiosi. Nel testamento di un certo Nicolas Clerc è stabilito che il servizio parrocchiale «sarà svolto da un rettore capace di istruire la gioventù fino alla grammatica inclusa»; nel caso in cui «dovesse divagare e trascurare l’ufficio divino o l’istruzione della gioventù, dopo essere stato ammonito per tre volte» e «deferito al vescovo», sarà privato della rendita e sostituito da un altro ecclesiastico.
Nel 1616 il vescovo accolse la richiesta dei principali della città di Bonne, che lo supplicavano di voler procurare loro un religioso di un convento vicino, incaricandolo «di istruire la gioventù nelle lettere e nella pietà», «atteso il grande frutto e l’utilità che ne può derivare in vista della buona istruzione che ha incominciato a impartire alla gioventù di detta città e vicinanze, le quali intendono inviare in tal luogo i propri fanciulli».
I collegi
L’insegnamento secondario impartito nei collegi in Savoia è nato per lo più tramite lo sviluppo delle scuole primarie, le quali, grazie a donazioni, erano in grado di aggiungere classi di latino, di grammatica e di belle lettere.
Monsignore intervenne per salvare il collegio di La Roche, dove egli aveva compiuto i suoi primi studi di grammatica. Il collegio non godette sempre di giorni tranquilli. Nel 1605, Francesco di Sales scrisse ai canonici della collegiata per far tacere «l’opinione personale» di alcuni, pregandoli di «assicurarsi un’altra volta il consenso generale»: «voi potete e dovete contribuire – scriveva loro – non solo con le vostre voci, ma anche con gli avvertimenti e l’opera di convinzione, poiché l’erezione e la conservazione di questo collegio servirà alla gloria di Dio e della Chiesa», e procurerà inoltre «il bene di cotesta città». La finalità spirituale figurava, sì, al primo posto, ma il bene temporale non era dimenticato.
Ad Annecy, il vescovo seguiva da vicino la vita del collegio fondato da Eustache Chappuis, nel quale egli stesso aveva studiato dal 1575 al 1578. Le difficoltà che stava attraversando lo spinsero probabilmente a visitare di frequente questo istituto. D’altronde, la presenza del vescovo era un onore ricercato, soprattutto in occasione di dispute filosofiche, alle quali era invitato «monsignore, il reverendissimo vescovo di Ginevra».
I registri delle decisioni del collegio segnalano la sua presenza in occasione di discussioni come pure di interventi diretti ad appoggiare le richieste o alla stesura di contratti con i professori. Secondo un testimone il vescovo vi si recava di buon mattino per assistere a «manifestazioni pubbliche, dispute, rappresentazioni di vicende storiche e altri esercitazioni, per incoraggiare la gioventù, e, in particolare, alle dispute pubbliche di filosofia al termine dei corsi». Il medesimo testimone aggiunge: «Lo vidi sovente partecipare personalmente alle dispute filosofiche».
In realtà, a detta di uno dei professori dell’epoca, «le belle lettere come pure i sani costumi avevano perso parecchio del loro splendore» e gli introiti erano diminuiti. L’amministrazione conosceva degli urti. Il vescovo sognava una direzione nuova e stabile per il collegio, che gli appariva «quasi come un terreno incolto».
Nel 1613 di passaggio a Torino, gli fu suggerito il nome di una nuova congregazione che navigava col vento in poppa: i barnabiti. A Milano incontrò il loro superiore generale e l’affare venne concluso. Nel dicembre 1614, firmò il contratto di ingresso dei barnabiti al collegio Chappuis.
Francesco di Sales era talmente soddisfatto dei barnabiti che, come abbiamo detto, li chiamerà senza tardare a Thonon. Nell’aprile 1615, poteva scrivere a un suo amico: «Certo, i nostri buoni barnabiti sono davvero ottime persone: dolci più di quanto si possa dire, accondiscendenti, umili e gentili assai più di quanto sia di moda nel loro paese». Di conseguenza suggeriva la loro venuta anche in Francia:
Per me, penso che, un giorno, saranno di grande servizio per la Francia, perché non fanno del bene solo con l’istruzione della gioventù (cosa che non è eccessivamente necessaria in un paese in cui la fanno in modo così eccellente i padri gesuiti), ma cantano in coro, confessano, fanno il catechismo anche nei villaggi in cui vengono mandati, predicano; in una parola, fanno tutto quello che si può desiderare, lo fanno molto cordialmente, e non chiedono molto per il loro sostentamento.
Nel 1619 fu implicato in trattative volte a far sì che i barnabiti si incaricassero del collegio di Beaune, nella Borgogna. Non essendo andato in porto questo affare, essi poterono stabilirsi a Montargis l’anno successivo.
Gli studi superiori
Il ducato di Savoia, non potendo contare su grandi città e vedendo sovente minacciata la sua stabilità, non possedeva una propria università. Gli studenti che ne avevano le possibilità andavano a studiare all’estero. Il fratello di Francesco di Sales, Louis, fu inviato a Roma per compiervi gli studi di diritto. In Francia si trovavano studenti savoiardi a Montpellier, dove andavano a studiare medicina e a Tolosa, dove ci si recava per gli studi di diritto.
Ad Avignone, il cardinale savoiardo di Brogny aveva fondato nel suo palazzo un collegio destinato ad accogliere gratuitamente ventiquattro studenti di diritto, di cui sedici della Savoia. Purtroppo i Savoiardi persero i posti loro riservati. Nell’ottobre del 1616 Francesco di Sales compì vari tentativi presso il duca di Savoia e anche a Roma per trovare «qualche rimedio efficace contro i disordini che, nello stesso collegio, si sono verificati» e perché i posti del collegio fossero restituiti ai «sudditi di Vostra Altezza». In occasione del suo ultimo viaggio che lo portò ad Avignone nel novembre del 1621 e prima di terminarlo definitivamente a Lione, parlerà a lungo con il vice-legato del papa per difendere ancora una volta gli interessi savoiardi di detto collegio.
Si trovavano studenti savoiardi perfino a Lovanio, dove Eustache Chappuis aveva fondato un collegio destinato ai Savoiardi che frequentavano l’università. Il vescovo di Ginevra era in costante e amichevole relazione con Jacques de Bay, presidente del collegio; a più riprese Francesco di Sales gli scriveva per raccomandargli coloro che si recavano colà per porsi, come diceva, «sotto le vostre ali». Nei casi in cui i genitori incontrassero delle difficoltà nel sostenerne le spese, si diceva pronto a rimborsarle. Seguiva i suoi studenti: «Studiate sempre più – scriveva a uno di loro – con spirito di diligenza e d’umiltà». Possediamo anche una lettera del 1616 al nuovo presidente del collegio, Jean Massen, in favore di uno studente di teologia, proprio parente, del quale auspicava «il progresso nelle lettere e nella virtù».
Scuole per ragazze?
Tutto quello che è stato fin qui esposto riguarda unicamente l’istruzione dei ragazzi. Solo per loro infatti esistevano le scuole. E per le ragazze? All’epoca di Francesco di Sales, le uniche istituzioni che, a questo riguardo, potevano offrire un aiuto alle famiglie erano i monasteri femminili, i quali però erano interessati prima di tutto al reclutamento. Jeanne de Sales, ultima figlia della signora di Boisy, fu inviata al monastero nel 1605, «per farle cambiare aria e farle prendere il gusto della divozione». Vi entrò a dodici anni, ma siccome non provava nessuna attrattiva per la vita religiosa, non è ragionevole, asseriva Francesco di Sales, «lasciare per tanto tempo in un monastero una giovane che non intende restarvi per sempre». Venne ritirata già al secondo anno.
Ma che fare se il monastero era loro precluso? C’era la soluzione delle orsoline, che incominciavano ad essere conosciute, in quanto congregazione destinata all’istruzione della gioventù femminile. Erano presenti nella capitale francese dal 1608. Il vescovo incoraggiò la loro venuta a Chambéry, scrivendo nel 1612 che «sarebbe un gran bene che, a Chambéry, vi fossero le orsoline, e io vorrei contribuire facendo qualche cosa per questo»; basterebbero, aggiungeva, «tre figlie o donne coraggiose per cominciare». La fondazione avverrà nell’antica capitale della Savoia solo nel 1625.
Nel 1614 poté rallegrarsi del recente arrivo delle orsoline a Lione, «una delle congregazioni – diceva – che il mio spirito ama maggiormente». Le voleva altresì nella sua diocesi, in particolare a Thonon. Nel gennaio 1621, scrisse alla superiora delle orsoline di Besançon perché cercasse di favorire questo progetto, perché – scriveva – «ho sempre amato, stimato e onorato quelle opere di grandissima carità che usa praticare la vostra congregazione, e quindi, ho sempre desiderato profondamente la sua diffusione anche in questa provincia della Savoia». Il progetto, però, poté essere attuato soltanto nel 1634.
L’educazione delle giovani nei monasteri della Visitazione
Quando, a partire dal 1610, Francesco di Sales fondò con Giovanna di Chantal quello che diventerà l’ordine della Visitazione, ben presto si pose la questione dell’ammissione ed educazione delle giovani destinate o meno alla vita religiosa. Si conosce il caso della figlia della signora di Chantal, l’allegra e civettuola Franceschetta, che era solo undicenne quando sua madre, volendola religiosa, la prese con sé nella casa che sarebbe diventata la dimora delle prime visitandine. Ma la fanciulla doveva prendere un’altra strada. Le ragazze mandate nei monasteri controvoglia non avevano altra scelta se non quella di rendersi insopportabili.
Nel 1614, una bambina di nove anni, figlia del custode del castello d’Annecy, fu accolta al primo monastero della Visitazione. A quattordici anni, a forza di insistere, ottenne di vestire l’abito religioso, ma senza avere i requisiti per essere novizia; ammalatasi ai polmoni, suscitò l’ammirazione del fondatore, che provò «un’incredibile consolazione, trovandola indifferente alla morte e alla vita, in un atteggiamento soave di pazienza e con un volto sorridente, a dispetto della febbre altissima e dei molti dolori che soffriva. Per sua unica consolazione, mi chiese di poter fare la professione prima di morire». Molto differente, invece, era un’altra compagna, una giovane di Lione, figlia del capo dei mercanti e grande benefattore, la quale si rese insopportabile nella comunità al punto che la madre di Chantal dovette correggerla.
Alla Visitazione di Grenoble, una ragazza di dodici anni chiese di vivere con le religiose. Alla superiora che esitava ad accogliere questa «rosa» che poteva recare qualche spina, il fondatore consigliava sorridendo e con una punta di furbizia:
È vero che queste giovanette danno dei grattacapi; ma che cosa si dovrebbe fare? In questo mondo, non ho mai trovato un bene che non costasse qualcosa. Dobbiamo disporre le nostre volontà in modo che non cerchino le comodità, o, se le cercano e le desiderano, sappiano però adattarsi serenamente alle difficoltà che sono sempre inseparabili dalle comodità. In questo mondo, non abbiamo vino senza fondaccio. Dobbiamo dunque calcolar bene. È meglio che, nel nostro giardino, vi siano spine perché possiamo aver rose, oppure che non abbiamo rose per non avere spine? Se cotesta figliola porta più bene che male, sarà bene ammetterla; se porta più male che bene, non bisogna ammetterla.
In fin dei conti, il fondatore si mostrerà assai circospetto nell’ammettere le giovani nei monasteri della Visitazione, a motivo dell’incompatibilità con la maniera di vivere delle religiose.
In effetti, la Visitazione non era stata concepita e voluta per tale opera: «Dio – scriveva il fondatore alla superiora di Nevers – non ha eletto il vostro istituto per l’educazione delle figliolette, ma per la perfezione delle donne e delle giovani che a esso sono chiamate in quell’età in cui sono già in grado di rispondere di quello che fanno». Sapeva bene che la vita di un monastero poteva difficilmente fornire un ambiente adatto allo sviluppo delle ragazze: «Non solo l’esperienza, ma anche la ragione ci insegna che ragazze così giovani, messe sotto la disciplina d’un monastero, generalmente sproporzionata per la loro età, prendono a detestarla e odiarla».
Nonostante qualche rincrescimento, Francesco di Sales non divenne il fondatore di un istituto dedito all’educazione. Tuttavia, sta di fatto che gli sforzi da lui profusi a favore dell’istruzione e dell’educazione dei ragazzi e delle ragazze, in tutte le sue forme, furono numerosi e gravosi. Il motivo dominante che lo guidava era di ordine spirituale, soprattutto quando si trattava di tener lontana la gioventù dal «veleno dell’eresia», e al riguardo ci riusciva piuttosto bene, perché la riforma cattolica guadagnava terreno; tuttavia egli non trascurava il bene temporale costituito dalla formazione della gioventù a beneficio della società.
San Francesco di Sales a servizio dell’educazione
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