«Il mio spirito accompagna sempre il vostro», scriveva un giorno Francesco di Sales a Giovanna di Chantal, in un periodo in cui questa si sentiva assalita da tenebre e tentazioni. E aggiungeva: «Camminate dunque, cara Figlia, e avanzate nel cattivo tempo e durante la notte. Siate coraggiosa, mia cara Figlia; con l’aiuto di Dio, faremo molto». Accompagnamento, direzione spirituale, guida delle anime, direzione di coscienza, assistenza spirituale: sono altrettante formule pressappoco sinonime, in quanto designano questa forma particolare di educazione e formazione esercitata nell’ambito spirituale della coscienza individuale.
Formazione di un futuro accompagnatore
La formazione ricevuta da giovane aveva preparato Francesco di Sales a diventare, a sua volta, direttore spirituale. Come studente presso i gesuiti di Parigi molto probabilmente ebbe un padre spirituale di cui ignoriamo il nome. A Padova era stato suo direttore Antonio Possevino; con questo famoso gesuita Francesco si feliciterà in seguito di esserne stato uno dei «figli spirituali». In occasione del suo tormentato cammino verso lo stato clericale, fu suo confidente e sostegno Amé Bouvard, un prete amico di famiglia, il quale lo preparò poi alle ordinazioni.
All’inizio del suo episcopato affidò la cura della sua vita spirituale al padre Fourier, rettore dei gesuiti di Chambéry, «grande, erudito e devoto religioso», col quale stabilì «una particolarissima amicizia» e che gli fu molto vicino «col suo consiglio e avvertimenti». Durante parecchi anni si confessò regolarmente dal penitenziere della cattedrale, che chiamava «signor confratello carissimo e perfetto amico».
Il soggiorno a Parigi del 1602 influì profondamente sullo sviluppo dei suoi doni di direttore d’anime. Inviato dal vescovo a trattare a corte alcuni affari della diocesi, ebbe poco successo sul piano diplomatico, ma questa prolungata visita nella capitale francese gli consentì di allacciare contatti con l’élite spirituale che si riuniva presso la dama Acarie, una donna eccezionale, mistica e padrona di casa allo stesso tempo. Divenuto suo confessore, ne osservava le estasi e l’ascoltava senza farle domande. «Oh! che sbaglio ho fatto – dirà più tardi –, per non aver approfittato abbastanza della sua santissima compagnia! Ella infatti mi aprì liberamente il suo animo; ma l’estremo rispetto che avevo per lei faceva sì che non osassi informarmi di una minima cosa».
Un’attività assillante «che rasserena e rincuora»
Aiutare ogni singolo individuo, accompagnarlo personalmente, consigliarlo, correggerne eventualmente gli errori, incoraggiarlo, tutto ciò esige tempo, pazienza e un costante sforzo di discernimento. L’autore della Filotea parla per esperienza quando afferma nella prefazione:
È una fatica, lo confesso, guidare anime singole, ma una fatica che fa sentir leggeri, come quella dei mietitori e dei vendemmiatori, i quali non sono mai tanto contenti come quando hanno molto lavoro e molto da portare. È un lavoro che rasserena e rincuora, per la soavità che arreca a chi lo intraprende.
Conosciamo questo settore importante della sua azione formativa specialmente dalla sua corrispondenza, ma va precisato che si fa direzione spirituale non soltanto per iscritto. Incontri personali e confessioni individuali ne fanno parte, anche se occorre distinguerli adeguatamente. Nel 1603, incontrò il duca di Bellegarde, grande personaggio del regno e grande peccatore, il quale, alcuni anni più tardi gli chiederà di guidarlo sul cammino della conversione. Il quaresimale che predicò a Digione l’anno seguente costituì una svolta nella sua «carriera» di direttore spirituale, perché incontrò Jeanne Frémyot, vedova del barone di Chantal.
A partire dal 1605, la visita sistematica della sua vasta diocesi lo metterà in contatto con un numero infinito di persone di tutte le condizioni, soprattutto contadini e montanari, perlopiù analfabeti, i quali non ci hanno lasciato della corrispondenza. Predicando il quaresimale ad Annecy nel 1607, trovò nelle sue «sacre reti» una signora di ventun anni, «ma tutta d’oro», di nome Louise Du Chastel, la quale aveva sposato il cugino del vescovo, Henri de Charmoisy. Le lettere di direzione spirituale che Francesco invierà alla signora di Charmoisy serviranno come materiale di base per la redazione della sua futura opera, la Filotea.
La predicazione di Grenoble del 1616, 1617 e 1618 gli procurò un considerevole numero di figlie e figli spirituali che, avendolo ascoltato sulla cattedra, cercheranno di contattarlo da vicino. Nuove Filotee lo seguiranno durante il suo ultimo viaggio a Parigi nel 1618-1619, dove faceva parte della delegazione di Savoia che stava negoziando il matrimonio del principe del Piemonte Vittorio Amedeo, con Cristina di Francia, sorella di Luigi XIII. Concluso il principesco matrimonio, Cristina lo sceglierà come suo confessore e «grande cappellano».
Il direttore è padre, fratello, amico
Quando si rivolge alle persone da lui dirette, Francesco di Sales fa un uso abbondante, per non dire eccessivo, secondo il costume dell’epoca, di titoli e di appellativi tratti dalla vita familiare e sociale, come padre, madre, fratello, sorella, figlio, figlia, zio, zia, nipote, padrino, madrina, o servitore. Il titolo di padre significava autorità e allo stesso tempo amore e confidenza. Il padre «assiste» mediante consigli il figlio e la figlia usando saggezza, prudenza e carità. In quanto padre spirituale, il direttore è colui che in certi casi dice: Lo voglio! Francesco di Sales sapeva usare tale linguaggio, ma solo in circostanze del tutto speciali, come quando ordina alla baronessa di non evitare l’incontro con l’assassino del marito:
Mi avete chiesto come volevo che vi comportaste nell’incontro con colui che uccise il vostro signor marito. Rispondo per ordine. Non è necessario che ne cerchiate voi stessa la data e l’occasione. Però, se questa si presenta, voglio che l’accogliate con un cuore dolce, gentile e compassionevole.
Una volta scrisse a una donna angosciata: «Ve lo ordino a nome di Dio», ma era per toglierle gli scrupoli. La sua autorità resta sempre umile, buona, anche tenera; il suo ruolo nei confronti delle persone da lui dirette, precisava nella prefazione della Filotea, consisteva in una particolare «assistenza», termine che appare due volte in tale contesto. L’intimità che si stabilirà tra lui e il duca di Bellegarde sarà tale da consentire a Francesco di Sales di rispondere alla richiesta del duca, usando non senza esitazione gli appellativi di «figlio mio» o di «monsignore figlio mio», ben sapendo che il duca era più vecchio di lui. Il risvolto pedagogico della direzione spirituale è sottolineato da un’altra immagine significativa. Dopo aver ricordato la veloce corsa della tigre per salvare il suo piccolo, mossa dalla forza dell’amore naturale, continua dicendo:
E quanto più volentieri un cuore paterno s’occuperà di un’anima che avrà trovato piena di desiderio della santa perfezione, portandola sul suo seno, come una madre il suo bambino, senza sentire il peso del caro fardello.
Nei riguardi delle persone da lui dirette, donne e uomini, Francesco di Sales si comporta anche come un fratello, ed è in tale veste che sovente si presenta alle persone che ricorrono a lui. Antoine Favre è chiamato costantemente «mio fratello». In un primo momento si rivolge alla baronessa di Chantal usando l’appellativo «signora» (madame), successivamente passa a quello di «sorella», «questo nome, che è quello con cui gli apostoli e i primi cristiani usavano esprimere il loro amore vicendevole». Un fratello non comanda, dà consigli e pratica la correzione fraterna.
Ma ciò che caratterizza meglio lo stile salesiano, è il clima amichevole e reciproco che unisce il direttore e la persona diretta. Come dice bene André Ravier, «non c’è, per lui, vera direzione spirituale se non c’è amicizia, cioè scambio, comunicazione, influsso reciproco». Non stupisce che Francesco di Sales ami i suoi referenti di un amore che testimonia loro in mille modi; meraviglia invece che desideri di essere da loro parimenti amato. Con Giovanna di Chantal, la reciprocità divenne tanto intensa da trasformare talvolta il «mio» e il «tuo» in un «nostro»: «Non mi è possibile distinguere il mio e il tuo in quello che ci riguarda, è nostro».
Obbedienza al direttore, ma in un clima di confidenza e di libertà
L’obbedienza al direttore spirituale è una garanzia contro gli eccessi, le illusioni e i passi falsi compiuti il più delle volte per amor proprio; essa mantiene in un atteggiamento prudente e saggio. L’autore della Filotea la considera necessaria e benefica, senza ricalcarla; «l’umile obbedienza, tanto raccomandata e tanto praticata da tutti gli antichi devoti», fa parte di una tradizione. Francesco di Sales la raccomanda alla baronessa di Chantal nei confronti del suo primo direttore, ma indicandone il modo di viverla:
Lodo moltissimo il rispetto religioso che sentite per il vostro direttore, e vi esorto a conservarlo con molta cura; ma bisogna pure che vi dica ancora una parola. Questo rispetto vi deve indurre senza dubbio a perseverare nella santa condotta alla quale vi siete adattata così felicemente, ma non deve assolutamente impedire o soffocare la giusta libertà che lo Spirito di Dio dà a chiunque egli possiede.
Ad ogni modo, è necessario che il direttore possegga tre qualità indispensabili: «Occorre che sia pieno di carità, di scienza e di prudenza: se una di queste tre gli manca, c’è del pericolo» (I I 4). Non pare proprio questo il caso del primo direttore della signora di Chantal. A detta del suo biografo, la madre de Chaugy, costui «la vincolò alla sua direzione» intimandole di non pensare mai a cambiarlo; erano «legami inopportuni che ne tenevano l’anima in trappola, coartata e senza libertà». Quando, dopo aver incontrato Francesco di Sales, volle cambiare di direttore, piombò in un mare di scrupoli. Questi, per rasserenarla le indicò un’altra via:
Eccovi qui la regola generale della nostra obbedienza, scritta in lettere molto grosse: OCCORRE FAR TUTTO PER AMORE, E NULLA PER FORZA; OCCORRE AMARE L’OBBEDIENZA PIÙ DI QUANTO SI TEME LA DISOBBEDIENZA. Vi lascio lo spirito di libertà: non quello che esclude l’obbedienza, ché, allora, si dovrebbe parlare della libertà della carne, ma quello che esclude la costrizione, lo scrupolo e la fretta.
La modalità salesiana è fondata sul rispetto e sull’obbedienza dovuta al direttore, senza alcun dubbio, ma soprattutto sulla confidenza: «Abbiate in lui la massima confidenza, unita a una sacra riverenza, in modo che la riverenza non diminuisca la confidenza e la confidenza non impedisca la riverenza; fidatevi di lui con il rispetto di una figlia verso il proprio padre, rispettatelo con la confidenza di una figlia con la propria madre». La confidenza ispira semplicità e libertà, le quali favoriscono la comunicazione fra due persone, specialmente quando quella diretta è una giovane novizia timorosa:
Vi dirò, in primo luogo, che non dovete usare, nei miei riguardi, parole di cerimonia o di scusa, poiché, per volontà di Dio, sento per voi tutto l’affetto che potreste desiderare, e non saprei proibirmi di sentirlo. Amo il vostro spirito profondamente, perché penso che Dio lo vuole, e lo amo teneramente, perché vi vedo ancora debole e troppo giovane. Scrivetemi, dunque, con tutta confidenza e libertà, e chiedete tutto quello che vi parrà utile per il vostro bene. E questo sia detto una volta per sempre.
Come si deve scrivere al vescovo di Ginevra? «Scrivetemi liberamente, sinceramente, semplicemente – diceva a una delle anime da lui dirette –. Su questo punto, non ho altro da dire, se non che non dovete mettere sulla lettera Monsignore né solo né accompagnato da altre parole: basta che mettiate Signore, e sapete perché. Io sono un uomo senza cerimonie, e vi amo e vi onoro con tutto il cuore». Questo ritornello ritorna di frequente all’inizio di una nuova relazione epistolare. L’affetto, quando è sincero e soprattutto quando ha la fortuna di essere corrisposto, autorizza la libertà e la massima franchezza. «Scrivetemi ogni volta che ne avete voglia – diceva a un’altra donna –, con piena confidenza e senza cerimonie; perché così occorre comportarsi in questa specie di amicizia». A un suo corrispondente chiedeva: «Non chiedetemi di scusarvi per il fatto che scrivete bene o male, perché non mi dovete altra cerimonia se non quella di amarmi». Questo vuol dire parlare «cuore a cuore». L’amore di Dio come l’amore del prossimo ci fa andare avanti «alla buona, senza tante moine» perché, così si esprimeva, «il vero amore non ha bisogno di un metodo». La chiave di tutto ciò è l’amore, per il fatto che «l’amore rende uguali gli amanti», l’amore cioè opera una trasformazione nelle persone che si amano, rendendole uguali, simili e allo stesso livello.
«Ogni fiore richiede una cura particolare»
Mentre il fine della direzione spirituale è uguale per tutti, e cioè la perfezione della vita cristiana, le persone invece non sono tutte uguali, e appartiene all’arte del direttore saper indicare il cammino appropriato a ciascuno per raggiungere il comune scopo. Uomo del suo tempo, consapevole che le stratificazioni sociali erano una realtà, Francesco di Sales conosceva bene la differenza che c’era tra il gentiluomo, l’artigiano, il valletto, il principe, la vedova, la ragazza e la donna sposata. Ciascuno, infatti, dovrà produrre frutti «secondo la sua qualifica e professione». Ma il senso di appartenenza a un determinato gruppo sociale si coniugava bene, in lui, con la considerazione delle peculiarità del singolo individuo: occorre «adattare la pratica della devozione alle forze, attività e doveri di ognuno in particolare». Riteneva d’altronde che «i mezzi per raggiungere la perfezione sono diversi secondo la diversità delle vocazioni».
La diversità dei temperamenti è un dato di fatto, di cui occorre tener conto. È rilevabile in Francesco di Sales un «fiuto psicologico» anteriore alle scoperte moderne. La percezione delle caratteristiche uniche di ogni persona è assai accentuata in lui ed è il motivo per cui ogni soggetto merita un’attenzione particolare da parte del padre spirituale: «In un giardino, ogni erba e ogni fiore richiede una cura particolare». Come un padre o una madre con i propri figli, egli si adatta all’individualità, al temperamento, alle situazioni particolari di ogni individuo. A questa persona, impaziente con sé stessa, delusa perché non progredisce come vorrebbe, raccomanda di amare sé stessa; a quest’altra, attirata dalla vita religiosa ma dotata di una forte individualità, consiglia uno stile di vita che tiene conto di queste due tendenze; a una terza che oscilla tra l’esaltazione e la depressione, suggerisce la pace del cuore tramite la lotta contro immaginazioni angoscianti. A una donna disperata a causa del carattere «spendaccione e frivolo» del marito, il direttore dovrà consigliare «il giusto mezzo e la moderazione» e i mezzi per superare la propria insofferenza. Un’altra, donna con la testa sul collo, con un carattere tutto d’un pezzo, piena di affanni e di processi, avrà bisogno di «santa dolcezza e tranquillità». Un’altra ancora è angustiata dal pensiero della morte e sovente depressa: il suo direttore le ispira coraggio. Ci sono anime che hanno mille desideri di perfezione; occorre calmarne l’impazienza, frutto del loro amor proprio. La famosa Angélique Arnauld, badessa di Port-Royal, vuol riformare il proprio monastero con la rigidità: occorre raccomandarle flessibilità e umiltà.
Quanto al duca de Bellegarde, che si era immischiato in tutti gli intrighi politici e amorosi della corte, il vescovo lo incoraggia ad acquisire «una devozione maschia, coraggiosa, valorosa, invariabile per servire da specchio a molti, esaltando la verità dell’amore celeste, degna riparazione delle colpe passate». Nel 1613 stenderà per lui un Promemoria per far bene la confessione, contenente otto «avvisi» generali, una descrizione dettagliata «dei peccati contro i dieci comandamenti», un «esame riguardante i peccati capitali», i «peccati che si commettono contro i precetti della Chiesa», un «mezzo per discernere il peccato mortale da quello veniale», e infine «i mezzi per distogliere i grandi dal peccato della carne».
Metodo «regressivo»
L’arte della direzione di coscienza richiede assai sovente al direttore di fare un passo indietro e di lasciare l’iniziativa al destinatario, o a Dio, soprattutto quando si tratta di fare delle scelte che esigono una decisione impegnativa. «Non prendete le mie parole troppo alla lettera – scrisse alla baronessa di Chantal –; non voglio che esse siano per voi un’imposizione, ma che conserviate la libertà di fare quello che stimate meglio». Scriverà ad esempio a una donna molto attaccata alle «vanità»:
Quando partiste, mi venne in mente di dirvi che dovevate rinunziare al muschio e ai profumi, ma mi contenni, per seguire il mio sistema, che è soave e cerca di attendere quei movimenti che, a poco a poco, gli esercizi di pietà sogliono suscitare nelle anime che si consacrano interamente alla divina Bontà. Il mio spirito, infatti, è estremamente amico della semplicità; e la roncola con la quale si usa tagliare i polloni inutili, la lascio abitualmente in mano a Dio.
Il direttore non è un despota, ma uno che «guida le nostre azioni con i suoi avvisi e consigli», come dice all’inizio della Filotea. Si astiene dal comandare quando scrive alla signora di Chantal: «Sono consigli buoni e indicati per voi, ma non comandi». Costei d’altronde dirà, al processo di canonizzazione, che si rammaricava a volte perché non era guidata abbastanza con comandi. In effetti, il ruolo del direttore è definito dalla seguente risposta di Socrate a un discepolo: «Io avrò dunque cura di restituirti a te stesso migliore rispetto a ciò che sei». Come dichiarava sempre alla signora di Chantal, Francesco si era «votato», messo al «servizio» della «santissima libertà cristiana». Egli combatte per la libertà:
Vedrete che dico la verità e che combatto per una buona causa quando difendo la santa e amabile libertà dello spirito che, come sapete, onoro in modo tutto particolare, a condizione che sia vera e libera dalla dissipazione e dal libertinaggio, che non sono altro che una maschera di libertà.
Nel 1616, durante un ritiro spirituale, Francesco di Sales fece fare alla stessa madre di Chantal un esercizio di «spogliazione», per ridurla «all’amabile e santa purezza e nudità dei bimbi». Era giunto il momento di farle fare il passo verso l’«autonomia» della persona diretta. Egli la invita, tra l’altro, a non «prendere nessuna nutrice» e a non continuare a dirgli – precisava – «che sarò sempre io a farle da nutrice», e, insomma, a essere disposta a rinunciare alla direzione spirituale di Francesco. Dio solo basta: «Non abbiate altre braccia che vi portano se non quelle di Dio, né altri seni su cui riposare se non il suo e la Provvidenza. […] Non pensate più all’amicizia né all’unità che Dio ha stabilito fra noi». Per la signora di Chantal la lezione è dura: «Dio mio! mio vero Padre, che avete inciso profondamente col vostro rasoio! potrò io rimanere a lungo in questo stato d’animo»? Ella si vede ormai «spogliata e nuda di tutto ciò che le era più prezioso». Francesco confessa pure lui: «E sì, anch’io mi trovo nudo, grazie a Colui che è morto nudo per insegnarci a vivere nudi». La direzione spirituale raggiunge qui il suo apice. Dopo una tale esperienza, le lettere spirituali diventeranno più rare e l’affetto sarà più contenuto a vantaggio di un’unità tutta spirituale.
San Francesco di Sales, accompagnatore personale
🕙: 11 min.