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Malta, terra benedetta dall’apostolo Paolo, è un’isola situata nel cuore del Mar Mediterraneo, tra l’Europa e il Nord Africa. Nel corso dei secoli ha accolto l’influsso di numerose culture, che ha arricchito il suo fascino. Questo piccolo Stato, tra i più densamente popolati al mondo, ospita i Salesiani di Don Bosco sin dal 1903, impegnati con passione nell’educazione dei giovani. Abbiamo intervistato, don Eric, nominato di recente alla guida della comunità salesiana maltese.


Puoi presentarti?
Mi chiamo don Eric Cachia, sono nato il 4 agosto 1976 a Malta. Sono il primogenito di tre figli: ho due sorelle più giovani di me e due adorabili nipotine. Ho frequentato le scuole materne nella scuola statale del mio paese, ħaż-Żebbuġ, per sei anni. Durante l’ultimo anno, era necessario sostenere un esame per accedere alla scuola desiderata. Sognavo di entrare nel seminario minore, ma per fare felice mia madre, ho sostenuto anche l’esame per il liceo statale e un altro per il Savio College, la scuola salesiana, di cui allora non sapevo quasi nulla e che inizialmente non desideravo frequentare. Ho affrontato quell’esame controvoglia, ma i disegni di Dio hanno voluto che fossi ammesso dai Salesiani.

Dopo sette anni di studio, ho conseguito il diploma di maturità e intrapreso il Noviziato a Lanuvio, vicino Roma, emettendo i primi voti religiosi nelle mani del neo-eletto Rettor Maggiore, don Juan E. Vecchi, presso il Sacro Cuore di Roma. Ero il più giovane del gruppo: avevo solo 19 anni. Tornato a Malta, ho ottenuto un Baccalaureato in Filosofia e Sociologia e successivamente ho svolto due anni di tirocinio come responsabile dell’Oratorio a Tas-Sliema.

Per gli studi teologici mi sono trasferito a Roma, frequentando l’Università Pontificia Salesiana (UPS) e vivendo presso la comunità del Gerini. Sono stato ordinato diacono nel 2004 e ho proseguito la mia formazione a Dublino, in Irlanda, conseguendo un Master in Holistic Development in Family Pastoral Ministry. Tornato a Malta, il 21 luglio 2005, insieme ad altri nove religiosi e diocesani, sono stato ordinato sacerdote.

La mia prima obbedienza è stata quella di responsabile dell’Oratorio a Tas-Sliema e di economo della comunità. Dopo alcuni mesi, sono stato nominato delegato per la Pastorale Giovanile nel Consiglio della Delegazione di Malta. Ho ricoperto questo incarico per un anno prima di essere nominato economo della Delegazione, ruolo che ho svolto per 10 anni e, successivamente, per altri 6 anni quando, nel 2018, Malta è diventata una Visitatoria.

Nel frattempo, ho ricoperto anche altri incarichi: preside del Savio College, accompagnatore nella formazione al post-noviziato di Malta per sei anni e, per quattro anni, assistente coordinatore dell’Associazione delle Scuole Cattoliche a Malta. Per rispondere alle esigenze pastorali, ho conseguito un Master in Psicoterapia Sistemica e della Famiglia e sono stato eletto segretario del Comitato dell’Associazione Nazionale della Psicoterapia a Malta.
Nel 2017 sono diventato direttore del St. Patrick’s, una realtà che include una scuola, un internato e una chiesa pubblica, oltre al ruolo di preside della scuola. Infine, nel dicembre 2023 sono stato nominato Ispettore, incarico assunto a partire dal luglio 2024.

Che cosa sognavi da piccolo?
A 7 anni sono diventato chierichetto e ancora oggi non riesco a spiegare l’esperienza vissuta durante la mia prima Messa da ministrante. Sentii una presenza d’amore nel cuore che mi invitava a diventare sacerdote. Già a casa giocavo a “fare il prete” e, a scuola, nonostante le tensioni tra Chiesa e Stato dell’epoca, dibattevo spesso su temi religiosi.

Il desiderio di diventare sacerdote includeva in sé quello di dare voce a chi non l’aveva. Mi piaceva scrivere storie, parlare in pubblico e organizzare eventi. A soli 14 anni, ad esempio, già organizzavo passeggiate per i ministranti.

Qual è la storia della tua vocazione?
La mia vocazione è nata dall’incontro con vari sacerdoti che consideravo modelli di vita. Tuttavia, fu nella scuola salesiana che trovai nuova energia: lì scoprii talenti nascosti e vissi esperienze che mi fecero sentire parte di una grande famiglia. In quel contesto gioioso e stimolante, il Signore parlò al mio cuore.

All’ultimo anno scolastico, capii che la mia strada sarebbe stata quella salesiana. Dopo un anno di discernimento e confronto con la mia famiglia e un sacerdote, trovai pace nel decidere: “Mi dono per i ragazzi del futuro. Sarò salesiano per portare avanti ciò che ho ricevuto”.

Un aneddoto curioso mi fu raccontato dalla nonna paterna quando ero ormai prossimo al diaconato. Mio padre era uno dei 18 figli di una famiglia numerosa e modesta. Un salesiano inglese, don Patrick McLoughlin, noto per la sua fama di santità, era solito, dopo la messa, passare dalle suore per portare una fetta di torta alla nonna. La sera, tornava con pasti avanzati per aiutare a sfamare la famiglia in difficoltà. Un giorno, la nonna gli chiese: “Come posso ripagare tanta gentilezza e provvidenza?”. Lui rispose: “Tu prega soltanto: chissà, magari uno dei tuoi figli diventerà salesiano”. Tra 51 cugini, sono stato il primo – e uno dei due – a scegliere la vita religiosa… e salesiana.

Come ha reagito la tua famiglia?
La mia famiglia è sempre stata di grande supporto. I miei genitori non hanno mai imposto le loro idee, ma hanno sempre cercato di sostenere le mie decisioni. Mio padre era un muratore e mia madre una casalinga. La semplicità e l’unione familiare erano tra i valori più forti che ci contraddistinguevano. Si facevano sacrifici che solo da adulto ho compreso come espressione di un amore vissuto in modo concreto. Non è stato facile lasciare il paese e iniziare il mio cammino a soli 18 anni, ma oggi i miei genitori sono orgogliosi e, in qualche modo, anche loro fanno parte della Famiglia Salesiana. Da oltre 30 anni preparano pasti per i ragazzi durante i campi estivi. Chissà quante volte mio padre, nonostante sia rimasto analfabeta, ha parlato con la saggezza del cuore a qualche giovane o genitore. E quante volte hanno spedito dépliant a livello ispettoriale per sostenere le nostre opere salesiane!

La gioia più bella e la fatica più grande
Ci sono tante gioie che si custodiscono nel cuore, ma una delle più grandi è quando incontro un exallievo e mi dice: “In te ho ritrovato il padre che non ho mai avuto”. Vivere in pienezza la propria vocazione significa anche offrire ciò che avrebbe potuto essere altrettanto bello, come costruire una famiglia. Questo comporta, talvolta, il dover soffrire in silenzio per questa scelta offerta.
La fatica più grande, invece, è vedere i bambini che soffrono a causa di guerre, violenze e abusi… vederli privati della capacità di sognare un mondo pieno di speranza e di possibilità. È altrettanto difficile restare credibili e ottimisti in un contesto di secolarismo feroce che spesso consuma le energie e tenta di spegnere l’entusiasmo.

Le necessità locali e dei giovani
Malta vive una realtà molto particolare. Culturalmente rimane profondamente cattolica, ma nella pratica quotidiana non lo è altrettanto. Negli ultimi anni, scelte politiche orientate principalmente al potenziamento dell’economia hanno generato una crisi profonda all’interno delle famiglie. Molti ragazzi crescono segnati dalla mancanza di figure di riferimento e di modelli che li accompagnino con amore. Mancano punti stabili di orientamento, e allo stesso tempo, molti giovani sono alla ricerca di un nuovo significato per la propria vita.
La fede, sempre più relegata alla sfera privata, può tuttavia risvegliare interesse quando riesce a parlare un linguaggio che sfida e invita a puntare in alto. In questi casi, i giovani sono felici di unirsi per vivere esperienze che chiedono di essere accompagnati. Circa il 20% della popolazione, ormai, non è più maltese. L’economia, che ha attratto persone da tutto il mondo, sta trasformando il volto dell’isola. Molti giovani non-maltesi si sentono soli, mentre altri iniziano o riprendono un cammino di fede. Si tratta di nuove frontiere e forme emergenti di povertà, segnate da sfide psico-affettive e problemi di salute mentale. Queste situazioni mettono in evidenza l’urgenza di affrontare l’isolamento, la precarietà e le carenze relazionali che caratterizzano questa complessa realtà.

Le grandi sfide dell’evangelizzazione
Tutto può essere riassunto in una parola: credibilità. I giovani, oggi più che mai, non hanno bisogno di semplici trasmettitori di contenuti, ma di persone con cuori autentici e orecchie capaci di ascoltare il battito di cuori in cerca di un senso per la propria vita. Hanno bisogno di educatori che sappiano creare processi, accompagnatori che non temano di mostrare la propria fragilità e i propri limiti, ma che siano guide autentiche. Guide che propongano ciò che loro stessi hanno vissuto: l’incontro con Gesù come meta e chiamata per ogni persona. Una guida che conduca a riscoprirsi parte di una Chiesa in cammino verso le periferie, pronta ad abbracciare e curare le ferite, ancor prima di indicare cosa si deve fare.
La vera sfida, almeno per l’Europa, è trovare giovani che abbiano il coraggio di scommettere la propria vita su Gesù. Come emerso durante il Sinodo, alcune strutture, contesti e linguaggi della Chiesa non sono più incisivi. A questo si aggiunge una Chiesa che, in alcuni casi, appare stanca e distratta, troppo concentrata sull’auto-preservazione. Questa situazione rispecchia anche quella delle famiglie, che devono essere rimesse al centro delle priorità in ogni nazione: sono il futuro dello Stato e della Chiesa.
Ecco perché gli ambienti salesiani, con il loro umanesimo che valorizza il bello presente in ogni persona, devono proporsi non solo come risposte immediate ma anche come modelli per altri gruppi e realtà. Forse solo oggi comprendiamo che la gioia e la speranza di don Bosco vanno ben oltre semplici emozioni: sono le fondamenta su cui costruire il rilancio di un’umanità rinnovata e redenta da Cristo.

Come vedi il futuro?
Guardo al futuro con speranza. Il presente che viviamo, secondo me, è segnato da numerose crisi su vari fronti: direi che non potrebbe andare peggio di così. È quindi un periodo di rinnovamento; ci si affida a Cristo in questo tempo di purificazione e trasformazione. Sì, ci sono sfide che sicuramente plasmeranno il futuro.

Quale posto occupa Maria Ausiliatrice nella tua vita?
Da bambino, pregavamo quotidianamente il Rosario in famiglia. Tuttavia, per me, era forse solo una pratica di pietà popolare. Col passare del tempo, soprattutto durante gli anni da Salesiano, ho potuto rendermi conto di quanto questa mamma celeste mi sia vicina. Ricordo numerosi momenti in cui, preso dalle difficoltà pratiche e dalle preoccupazioni legate alla pastorale, stavo per arrendermi. Ma Lei interveniva sempre al momento giusto. Ogni giorno mi rendo conto di come veramente “sia stata Lei a fare tutto”. Nutro un profondo affetto per la benedizione di Maria Ausiliatrice. Ogni mattina affido a Lei tutti i giovani e i laici collaboratori, ma in particolare quelli che si trovano nelle periferie della società. Un anno fa, in occasione della festa della Madonna di Guadalupe, ho condiviso sui social una frase che Maria disse a Juan Diego: “Non temere nulla. Non sono forse io, che sono tua Madre? Non sei sotto la mia ombra e protezione? Non sono io la fonte della tua gioia? Non sei nel cavo del mio mantello, nell’incrocio delle mie braccia? Hai bisogno di altro? Non lasciare che nient’altro ti preoccupi o ti turbi”. Due ore dopo, ricevo la chiamata del Rettor Maggiore e la richiesta di accettare o meno la nomina a Ispettore.

Che cosa diresti ai giovani?
Di non arrendersi! Riprenderei le parole di Papa Francesco rivolte ai giovani nell’aprile del 2024: “Alzarsi per stare in piedi di fronte alla vita, non seduti sul divano. Ci sono divani diversi che ci attirano e non ci permettono di alzarci.” Se solo i giovani comprendessero che sono la speranza di oggi e di domani, che sono come semi delicati e fragili, ma al contempo ricchi di infinite possibilità! Li esorterei a sfidare Cristo, ma anche a permettere a Cristo di sfidarli: solo così si comprende che con Lui si costruisce una relazione intima con un Dio vivo, non con un’immagine plasmata da paure o ansie. Sfiderei quei giovani che hanno già fatto esperienza di Don Bosco: è straordinario gettarsi nel Cuore di Cristo, donando la propria vita per i giovani che verranno. “Chi manderò?”, chiese Cristo ai suoi discepoli. Magari tanti altri avessero la stessa determinazione: “Mandi me!”


don Eric CACHIA, sdb
superiore di Malta