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I sogni missionari di don Bosco, pur senza anticipare il corso degli eventi futuri, hanno avuto per l’ambiente salesiano il sapore delle previsioni.


            A richiamare l’attenzione di don Bosco al problema missionario contribuirono non poco pure il sogno missionario del 1870-1871 e soprattutto quelli degli anni Ottanta. Se nel 1885 invitava monsignor Giovanni Cagliero alla prudenza: “non si dia gran retta ai sogni” ma “solo se servono moralmente”, lo stesso Cagliero partito alla testa della prima spedizione missionaria (1875) e futuro cardinale, li giudicava come semplici ideali da perseguire. Altri salesiani invece e soprattutto don Giacomo Costamagna, missionario della terza spedizione (1877) e futuro ispettore e vescovo, li intendeva come un itinerario da seguire quasi obbligatoriamente, tanto da chiedere al segretario di don Bosco, don Giovanni Battista Lemoyne, di mandargli i “necessari” aggiornamenti. A sua volta don Giuseppe Fagnano, sempre missionario della prima ora e futuro Prefetto apostolico, li considerava come espressione di un desiderio di tutta la Congregazione, che doveva sentirsi responsabile di realizzarli cercando i mezzi ed il personale. Don Luigi Lasagna infine, missionario partito con la seconda spedizione nel 1876, e pure futuro vescovo, li considerava come una chiave per conoscere il futuro salesiano in missione. Don Alberto Maria De Agostini poi nella prima metà del secolo xx si sarebbe lanciato personalmente in pericolose e innumerevoli escursioni in America australe sulla scia dei sogni di don Bosco.
            Comunque si possano intendere oggigiorno, resta il fatto che i sogni missionari di don Bosco, pur senza anticipare il corso degli eventi futuri, hanno avuto per l’ambiente salesiano il sapore delle previsioni. Visto poi che erano privi di significati simbolici e allegorici ed invece erano ricchi di riferimenti antropologici, geografici, economici, ambientali (si parla di tunnel, di treno, di aereo…) hanno costituito un incentivo per i missionari salesiani ad agire, tanto più che si sarebbe potuto verificarne l’effettiva realizzazione. In altre parole i sogni missionari hanno orientato la storia e tracciato un programma di lavoro missionario per la società salesiana.

La chiamata (1875): un progetto immediatamente rielaborato
            Negli anni Settanta in America Latina era in corso un notevole tentativo di evangelizzazione, grazie soprattutto ai religiosi, nonostante le forti tensioni presenti fra la Chiesa e i singoli Stati liberali. Attraverso contatti con il console argentino in Savona, Giovanni Battista Gazzolo, don Bosco nel dicembre 1874 si offrì di provvedere preti per la Chiesa della misericordia (la chiesa degli italiani) in Buenos Aires, come richiesto dal Vicario generale di Buenos Aires monsignor Mariano Antonio Espinosa ed accettò l’invito di una Commissione interessata ad un collegio a San Nicolás de los Arroyos, a 240 km a nord ovest della Capitale argentina. In effetti la società salesiana – che all’epoca comprendeva pure il ramo femminile delle Figlie di Maria Ausiliatrice – aveva come suo primo obiettivo la cura della gioventù povera (con catechismi, scuole, collegi, ospizi, oratori festivi), ma non escludeva di estendere i suoi servizi a ogni tipo di sacro ministero. Dunque in quel fine 1874 don Bosco non offriva altro di quello che già si faceva in Italia. Del resto le Costituzioni salesiane, approvate definitivamente nell’aprile precedente, proprio mentre da anni erano in corso trattative per fondazioni salesiane in “terre di missione” extraeuropee, non contenevano alcun accenno ad eventuali missiones ad gentes.
            Le cose cambiarono nel volgere di pochi mesi. Il 28 gennaio 1875 in un discorso ai direttori, e il giorno dopo a tutta la comunità salesiana, ragazzi compresi, don Bosco annunciò che erano state accolte le due suddette domande in Argentina, dopo che erano state rifiutate richieste in altri continenti. Riferì anche che “le Missioni in Sud America” (cosa che in questi termini invero nessuno aveva offerto) erano state accettate alle condizioni richieste, con la sola riserva dell’approvazione del papa. Don Bosco con un colpo da maestro presentava così a Salesiani e giovani un entusiasmante “progetto missionario” approvato da Pio IX.
            Iniziava subito una febbrile preparazione della spedizione missionaria. Il 5 febbraio una sua circolare invitava i Salesiani ad offrirsi liberamente per tali missioni, dove, a parte alcune aree civilizzate, essi avrebbero esercitato il loro ministero fra
“popoli selvaggi sparsi in immensi territori”. Se anche aveva individuato nella Patagonia la terra del suo primo sogno missionario – dove selvaggi crudeli di zone sconosciute uccidevano missionari ed invece accoglievano benevolmente quelli salesiani – tale piano di evangelizzazione di “selvaggi” andava ben oltre le richieste pervenute dall’America. Di certo non ne era consapevole, almeno in quel momento, l’arcivescovo di Buenos Aires, monsignor Federico Aneiros.
            Don Bosco procedette con determinazione ad organizzare la spedizione. Il 31 agosto al Prefetto di Propaganda Fide, cardinale Alessandro Franchi, comunicava di avere accettato la gestione del collegio di S. Nicolás come “base per le missioni” e dunque chiedeva le facoltà spirituali solitamente concesse in tali casi. Ne ebbe alcune, ma non ricevette alcun sussidio economico pur sperato perché l’Argentina non dipendeva dalla Congregazione di Propaganda Fide, in quanto con un arcivescovo e quattro vescovi non era considerata “terra di missione”. E la Patagonia? E la terra del Fuoco? E le decine e decine di migliaia di indios viventi laggiù, a due, tremila chilometri di distanza, “alla fine del mondo”, senza alcuna presenza missionaria?
            A Valdocco, nella chiesa di Maria Ausiliatrice, nel corso della famosa cerimonia di addio ai missionari dell’11 novembre, don Bosco si soffermò sulla missione universale di salvezza data dal Signore agli apostoli e dunque alla Chiesa. Parlò della carenza di sacerdoti in Argentina, delle famiglie di emigranti abbonate e del lavoro missionario fra le “grandi orde di selvaggi” della Pampa e nella Patagonia, regioni “che circondano la parte civilizzata” dove “non penetrò ancora né la religione di Gesù Cristo, né la civiltà, né il commercio, dove piede europeo non poté finora lasciare alcun vestigio”.
            Lavoro pastorale per gli emigrati italiani e poi plantatio ecclesiae nella Patagonia: ecco il duplice obiettivo, originale, che don Bosco lasciava alla prima spedizione. (Stranamente non fece però alcun accenno alle due precise sedi di lavoro concordato con l’altra sponda dell’Atlantico). Pochi mesi dopo, nell’aprile 1876, avrebbe insistito con don Cagliero che “lo scopo nostro è di tentare una scorsa nella Patagonia […] ritenendo sempre per nostra base l’impianto di collegi e di ospizi […] in vicinanze delle tribù selvagge”. Glielo avrebbe ripetuto il 1° agosto: “In generale ricordati sempre che Dio vuole i nostri sforzi verso i Pampas e verso i Patagonici, e verso ai ragazzi poveri e abbandonati”.
            A Genova, all’imbarco a ciascuno dei dieci missionari – fra cui cinque sacerdoti – diede venti particolari ricordi. Li riproponiamo:


RICORDI AI MISSIONARI

1. Cercate anime, ma non danari né onori, né dignità.
2. Usate carità e somma cortesia con tutti, ma fuggite la conversazione e la famigliarità colle persone di altro sesso o di sospetta condotta.
3. Non fate visite se non per motivi di carità e di necessità.
4. Non accettate mai inviti di pranzo se non per gravissime ragioni. In questi casi procurate di essere in due.
5. Prendete cura speciale degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri, e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini.
6. Rendete ossequio a tutte le autorità civili, religiose, municipali e governative.
7. Incontrando persona autorevole per via, datevi premura di salutarla ossequiosamente.
8. Fate lo stesso verso le persone ecclesiastiche o aggregate ad Istituti religiosi.
9. Fuggite l’ozio e le questioni. Gran sobrietà nei cibi, nelle bevande e nel riposo.
10. Amate, temete, rispettate gli altri ordini religiosi e parlatene sempre bene. È questo il mezzo di farvi stimare da tutti e promuovere il bene della congregazione.
11. Abbiatevi cura della sanità. Lavorate, ma solo quanto le proprie forze comportano.
12. Fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni, e voi sarete ricchi in faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini.
13. Fra di voi amatevi, consigliatevi, correggetevi, ma non portatevi mai né invidia, né rancore, anzi il bene di uno, sia il bene di tutti; le pene e le sofferenze di uno siano considerate come pene e sofferenze di tutti, e ciascuno studi di allontanarle o almeno mitigarle.
14. Osservate le vostre Regole, né mai dimenticate l’esercizio mensile della buona morte.
15. Ogni mattino raccomandate a Dio le occupazioni della giornata nominatamente le confessioni, le scuole, i catechismi, e le prediche.
16. Raccomandate costantemente la divozione a M.A. ed a Gesù Sacramentato.
17. Ai giovanetti raccomandate la frequente confessione e comunione
18. Per coltivare la vocazione ecclesiastica insinuate 1. amore alla castità, 2. orrore al vizio opposto, 3. separazione dai discoli, 4. comunione frequente, 5. carità con segni di amorevolezza e benevolenza speciale.
19. Nelle cose contenziose prima di giudicare si ascolti ambe le parti.
20. Nelle fatiche e nei patimenti non si dimentichi che abbiamo un gran premio preparato in cielo.
Amen.

P. Francesco MOTTO
Salesiano di Don Bosco, esperto di san Giovanni Bosco, autore di vari libri. Dottore in storia e Teologia, Docente invitato presso l’Università Pontificia Salesiana. Cofondatore e direttore per 20 anni dell’Istituto Storico Salesiano (ISS) e della rivista “Ricerche Storiche salesiane” (1992-2012), è fra i fondatori dell’Associazione Cultori di Storia salesiana (ACSSA), di cui è attuale Presidente (2015-2023). È stato consultore della Congregazione delle cause dei santi (2009-2014).