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Alla conclusione del 29° Capitolo Generale dei Salesiani abbiamo invitato don Pascual Chávez, Rettor Maggiore emerito e unico salesiano ad aver preso parte agli ultimi nove Capitoli Generali, a tracciare una sintesi del cammino compiuto dalla Congregazione. Con grande disponibilità egli ha accolto l’invito, offrendo una riflessione che prende le mosse dal Concilio Vaticano II, snodo decisivo della nostra storia recente. Sicuramente non tutti saranno d’accordo con questa visione, pero il suo sguardo rappresenta una luce preziosa: illumina la strada percorsa e, al tempo stesso, orienta i passi che ci attendono.


Questo articolo intende illustrare, da un lato, i sessant’anni di riflessione e auto-conoscenza che la Congregazione ha intrapreso all’interno del contesto sociale, culturale ed ecclesiale, sforzandosi di scoprire le sfide dei giovani e del mondo a cui ha voluto rispondere e, dall’altro, offrire una valutazione dei risultati ottenuti e delle sfide ancora irrisolte o emergenti.
Due affermazioni di Don Vecchi sintetizzano efficacemente la necessità di questo cambiamento e l’evoluzione realizzata: “Quello che capita all’interno della Congregazione è collegato a trasformazioni che avvengono nella Chiesa e nella cultura”. E successivamente, confrontando l’immagine dei salesiani prima di questa evoluzione con quella dopo vent’anni di cammino: “Un’evoluzione dunque c’è stata, ed è ancora in corso, riguardo alla maniera pratica di intendere il compito educativo”.[1]


1. Una nuova era nella vita della Chiesa
Il Concilio Vaticano II, definito da Don Viganò “l’avvenimento ecclesiale del secolo, una visita dello Spirito Santo alla Chiesa, la grande profezia per il terzo millennio del cristianesimo”[2], diede avvio a una riforma della Chiesa alla quale tutte le Congregazioni erano chiamate e che i Salesiani accolsero.

Il Vaticano II aveva lanciato una sfida e un richiamo a tutti gli Istituti Religiosi affinché, con fedeltà e audacia, riprogettassero la specifica identità carismatica del Fondatore.
Le ragioni che condussero la Chiesa a richiedere alla Vita Religiosa un profondo rinnovamento possono essere sintetizzate in tre aree:

1.1 Il riferimento alla persona di Gesù
La consacrazione a Dio nella sequela di Gesù si comprende unicamente come risposta a una chiamata personale, che si traduce in un incontro particolare con Gesù mediante la professione dei tre voti (ubbidienza, povertà, castità), e che fa di Gesù e del suo Vangelo “la Regola vivente e suprema”.

1.2 Il posto che occupiamo nella Chiesa
Il fatto che la Vita Religiosa non rappresenti un’alternativa alla Chiesa, ma una forma di vita evangelica all’interno di essa, comporta conseguenze teoriche e, soprattutto, pratiche:
– Il carattere distintivo della Vita Religiosa non implica alcuna superiorità rispetto agli altri cristiani;
– La collocazione della Vita Religiosa all’interno della comunità ecclesiale la pone in un rapporto di complementarità con le altre vocazioni della vita cristiana: laici e sacerdoti;
– La specificità della Vita Religiosa consiste nell’essere essenzialmente e sempre una forma di vita evangelica. Ciò significa che il Vangelo costituisce la norma ultima, per cui il superiore non può mai sostituirsi a Cristo, né la Regola essere superiore al Vangelo, né il ritmo di vita può essere scandito da altro fuorché dai cicli liturgici dell’anno.

1.3 Il rapporto con il mondo
Sebbene per molto tempo il cristianesimo e la Vita Religiosa si siano presentati come negazione del mondo o fuga da esso, il Concilio Vaticano II proclamò la bontà della creazione e del mondo “che Dio tanto amò e per il quale offrì il suo unico Figlio” (cf. Gv 3, 16), e la sua relativa autonomia. Non si può quindi concepire una vita religiosa come fuga dal mondo, ma piuttosto come chiamata a impegnarsi attivamente per continuare la missione di Gesù.[3]

Sia le profonde trasformazioni verificatesi nel mondo dagli anni ‘60 in poi, sia questa rinnovata consapevolezza della Chiesa di essere al servizio del mondo e dell’uomo, conferirono un notevole impulso alla dimensione pastorale.

In effetti, “questa emergenza della “pastorale” come categoria di orientamento e di valutazione per i diversi interventi della Chiesa è conseguenza del Concilio Vaticano II, chiamato appunto (dallo stesso Giovanni XXIII) un “Concilio pastorale” proprio per il taglio e l’impostazione di tutta la sua riflessione”.[4]

Questo impegno presupponeva “muovere la Congregazione verso un’attenta riflessione sul momento storico, la solidarietà con le urgenze del mondo e le necessità dei piccoli e dei poveri, in una crescita omogenea con l’identità del progetto iniziale e dei suoi originali valori, suscitati dallo Spirito e destinati a uno sviluppo vitale al di là dei rivestimenti caduchi”.[5]

Non si trattava quindi semplicemente di rinnovare la nostra prassi salesiana, ma piuttosto il salesiano e la vita salesiana. “La profezia che il mondo giovanile attende da noi Salesiani oggi è, in primo luogo, la novità del cuore infiammato dall’ardore di quella carità pastorale definita da don Bosco nel suo “da mihi animas cetera tolle”.[6]


2. Le grandi tappe del cammino
Nel delicato processo voluto dalla Chiesa, tre Capitoli Generali “straordinari” hanno consentito alla Congregazione di collocarsi nell’orbita storica del Vaticano II, specificando l’identità salesiana nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Mentre il CG19, svoltosi durante il Concilio, “prese coscienza e preparò”, il CGS20 “mise in orbita”, il CG21 “rivide, rettificò, confermò ed approfondì”; il CG22 fu chiamato a “riesaminare, precisare, completare, perfezionare e concludere”.[7]

Seguirono altri tre Capitoli Generali “ordinari” focalizzati su argomenti specifici, di carattere operativo, ritenuti particolarmente urgenti per l’intera Congregazione, ma in certo senso settoriali, poiché non riguardavano la totalità della vita salesiana: l’educazione alla fede dei giovani, il coinvolgimento dei laici nella vita e nella missione salesiana, e la comunità salesiana contemporanea.


2.1 Il Capitolo Generale Speciale 20[8] (1971).
Contesto ecclesiale e sociale
Il CG19 (1965), celebrato quando il Concilio Vaticano II era quasi alla conclusione (sebbene tra i documenti già promulgati, i capitolari utilizzarono soprattutto la costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia, il decreto Inter Mirifica sui mezzi di comunicazione sociale, e la costituzione dogmatica Lumen Gentium sulla Chiesa, mancava ancora l’ultima sessione con la promulgazione di documenti importanti) raccolse i primi impulsi del grande evento conciliare sul senso rinnovato della missione della Chiesa nel mondo, sul dinamismo della Vita Religiosa e la sua dimensione comunitaria ed ecclesiale, sulla revisione della Pastorale e le sue esigenze di pluralismo e di decentramento, costituendo così la migliore preparazione del CGS20.

In effetti, questo fu un Capitolo Generale Speciale, con carattere particolare e straordinario, volto a soddisfare le esigenze della Sacra Congregazione dei Religiosi e degli Istituti Secolari (Motu Proprio Ecclesiae Sanctae) per procedere alla revisione e all’”adeguato rinnovamento” della Congregazione secondo gli obiettivi ampi, essenziali e impegnativi indicati dalla Costituzione Dogmatica Lumen Gentium e dal Decreto Perfectae Caritatis, in armonia con lo spirito del Fondatore.

Altri fattori rilevanti, a livello contestuale, erano tre fenomeni decisivi che in quel periodo modellavano il mondo in cui si realizzava la missione della Chiesa e della Congregazione, e che potevano influire su tutti trattandosi di processi ancora in evoluzione:
– Un mondo in processo di secolarizzazione, che indusse la Chiesa a riposizionarsi e a ridefinire un nuovo tipo di presenza e azione.
– Un mondo caratterizzato da situazioni di ingiustizia, come conseguenza di strutture socioeconomiche, che poneva la Chiesa dinanzi all’imperativo di assumere un atteggiamento decisamente evangelico a favore dei poveri.
– Un mondo in cerca dell’unità nel pluralismo, che richiedeva alla Chiesa di vivere la sua “cattolicità” in un modo più attuale e dinamico.

Come accade frequentemente in questo tipo di trasformazioni, i più vulnerabili erano i giovani che, da una parte, emergevano come fenomeno sociale e, dall’altra, manifestavano comportamenti inquietanti come l’emarginazione volontaria, il mutamento dei costumi, la tossicodipendenza e la delinquenza.

Il Capitolo, nonostante ciò, non intese semplicemente adempiere alle esigenze del Concilio Vaticano II come una mera formalità, ma colse l’opportunità per rispondere meglio a Dio e ai giovani. Infatti, il CGS fu preceduto da una preparazione molto accurata mediante una consultazione rivolta a tutte le Ispettorie con una “radiografia” circa lo stato della Congregazione. In questo modo si venne a conoscenza dei problemi e dei temi più urgenti che occupavano l’interesse e la preoccupazione dei Salesiani in tutto il mondo, e che richiedevano illuminazione, discernimento e decisioni.

Sfide alle quali si volle rispondere: Riformulare un progetto totale
La domanda fondamentale era come rendere visibile ed attuale la testimonianza particolare della vita religiosa nella Chiesa (LG 44).

Affinché la vita religiosa potesse rispondere a questa missione (“appartenere alla vita e santità della Chiesa”), Perfectae Caritatis richiedeva a tutte le famiglie religiose un impegno di rinnovamento che implicava:
a) Fare della “sequela Christi” la regola suprema di vita;
b) Assicurare la propria identità e missione, in fedeltà al Fondatore;
c) Inserirsi più decisamente nella vita della Chiesa;
d) Aiutare i membri della Congregazione a saper interpretare i segni dei tempi, nel loro contesto e come interlocutori della missione;
e) Promuovere soprattutto il rinnovamento spirituale “a cui corrisponde il primo posto anche nelle opere esterne di apostolato” (PC 2).

Così si esprimeva Don Luigi Ricceri nella sua lettera di convocazione del CGS: “Il contributo e la corresponsabilità sono anzitutto indispensabili per promuovere in noi e nelle nostre comunità quel rinnovamento interiore, spirituale, apostolico fondato sulla nostra conformità a Cristo, sulla fedeltà al carisma essenziale di Don Bosco e ai segni dei tempi. Senza questo, ogni opera di rinnovamento e di adattamento si ridurrebbe a formalismo, tecnicismo, corpo senz’anima, illusione di risolvere problemi vivi con formule e articoli.”[9]

Il CGS 20 (1971) articolò l’intera problematica attorno a quattro temi fondamentali:
1. Natura e fini della Congregazione.
2. La consacrazione religiosa e il suo rapporto con la missione.
3. Formazione del Salesiano.
4. Strutture di governo a tutti i livelli.

L’obiettivo era elaborare un testo rinnovato delle Costituzioni e dei Regolamenti in armonia con gli orientamenti conciliari. In sostanza, si trattava di rifondare l’identità della Congregazione.

Scelte fatte
Sette mesi di lavoro capitolare produssero 22 documenti contenenti orientamenti dottrinali e operativi, suddivisi in cinque sezioni che avrebbero successivamente plasmato il testo costituzionale:
– La prima sezione rifletteva la principale preoccupazione dei capitolari: “la missione dei Salesiani nella Chiesa”, individuando nell’oratorio il paradigma per il rinnovamento di tutte le opere.
– La seconda sezione si concentrava sulla “dimensione comunitaria della vita religiosa”.
– Nella terza, sotto il termine “consacrazione”, si presentavano i voti nella prospettiva conciliare.
– La quarta delineava i “criteri principali della formazione e alcuni orientamenti pratici”.
– L’ultima formulava come “criteri per l’organizzazione della Congregazione” l’unità e il decentramento, la sussidiarietà, la partecipazione e la corresponsabilità.[10]

Si elaborò una riformulazione più carismatica e meno legalista del “Testo Costituzionale”, adeguando linguaggio e impostazione agli orientamenti del Concilio, e unificando in un unico testo le ricchezze spirituali della vocazione salesiana e le norme fondamentali che regolano la vita: missione, comunione, consacrazione, formazione e organizzazione.

Nei “Regolamenti” si codificò il modo pratico universale di vivere le Costituzioni, delegando alle Ispettorie la responsabilità di stabilire e regolare gli aspetti locali o le esigenze di situazioni particolari, attraverso i Direttorii Ispettoriali.

Per valutare gli effetti dell’accomodata renovatio è significativo osservarne l’influenza su tre dei settori più sensibili della vita salesiana:

– Riguardo alla formazione, Don Ricceri nella sua Relazione generale sullo stato della Congregazione evidenziava che alcune case di formazione, noviziati e studentati avevano dovuto chiudere per mancanza di vocazioni o a causa di difficoltà e tensioni interne. Deplorava particolarmente l’oblio e l’indebolimento del carisma salesiano nella formazione, le deviazioni dottrinali, l’atteggiamento contestatario verso le istituzioni e la mancanza di responsabilità di alcuni formatori.[11]

– Per quanto concerne la comunità, il cambiamento più profondo riguardava la natura dei rapporti tra superiori e confratelli, divenuti più semplici, con la funzione di governo che si avvicinava sempre più a quella dell’animazione. Contemporaneamente si registrava una crescita della partecipazione e della corresponsabilità.

– Le opere, dal canto loro, non conseguivano il “ridimensionamento” auspicato dal CG19 per una più incisiva efficacia apostolica. La diminuzione dei salesiani (da circa 22.000 nel 1965 a 17.000 nel 1977) veniva bilanciata dall’incremento dei collaboratori laici, la cui formazione richiedeva particolare attenzione. Parallelamente, nascevano centri ispettoriali di pastorale giovanile e alcuni salesiani sperimentavano forme d’inserimento in quartieri difficili o di lavoro con ragazzi di strada e giovani tossicodipendenti, nonché nuove modalità di collaborazione con istituzioni civili.[12]


2.2 Il Capitolo Generale 21[13] (1978)
Contesto ecclesiale e sociale
La profondità e la rapidità del cambiamento, conseguenza del Concilio Vaticano II, generarono nella Chiesa e nella Congregazione una situazione di agitazione e confusione che richiedeva chiarezza d’impostazione e saggezza nelle soluzioni.

L’azione profondamente rinnovatrice realizzata nella Congregazione dal CGS (evidente nelle Costituzioni e nei Regolamenti radicalmente rinnovati, pur nella fedeltà allo spirito di Don Bosco, e nelle idee e orientamenti operativi contenuti negli Atti di questo Capitolo) necessitava di revisione, rettifica, approfondimento e riconferma.

Anche il contesto socio-culturale stava subendo trasformazioni rapide e profonde in numerose nazioni, aumentando il confronto tra generazioni giovani e adulte. Secondo l’analisi di Don Vecchi, la seconda metà degli anni ‘70 rappresentò per alcuni la fine dell’epoca del ‘68 e dell’universo della contestazione giovanile, mentre per altri segnò l’aggravare la crisi a livello economico, sociale, politico e culturale.[14]

Tra gli aspetti più significativi di questo periodo, esaminati in controluce, emergevano paradossi e contraddizioni:
– L’esaltazione della persona, e, allo stesso tempo, la sua strumentalizzazione.
– L’aspirazione alla libertà coesistente con l’oppressione di molte libertà.
– La ricerca di valori superiori in contrasto con la ripugnanza di ogni valore.
– Il desiderio di solidarietà contrapposto a una crisi di partecipazione.
– La rapidità degli scambi e delle informazioni a fronte della lentezza delle riforme culturali e sociali.
– L’anelito all’unità e alla pace universali insieme alla persistenza di conflitti politici, sociali, razziali, religiosi ed economici.
– L’esaltazione della gioventù parallela alla frequente emarginazione dei giovani dal lavoro, dall’ambito decisionale e dalle responsabilità.

Sfide da affrontare: verificare il rinnovamento
Si imponeva la necessità di accertare con precisione se, come e in quale misura fosse stato realizzato l’auspicato rinnovamento nell’accettazione e nel vissuto delle Costituzioni. Occorreva individuare eventuali lacune nel progetto di rinnovamento voluto dal CGS. Più concretamente, come mantenere la Congregazione vitalmente giovane e, benché rinnovata, sempre fedele alla visione chiaramente delineata da Don Bosco?

Era necessario correggere possibili deviazioni o interpretazioni false e nocive, superando il rischio di motivazioni, visioni e giudizi “diversi” o, peggio ancora, contrapposti, che avrebbero potuto svuotare l’anima della Congregazione e la sua stessa ragione d’essere nella Chiesa.

Si rendeva necessario approfondire alcuni temi essenziali per la Congregazione: il Sistema Preventivo, la Formazione alla Vita Salesiana, il Salesiano Coadiutore e la ristrutturazione dell’Università Pontificia Salesiana.

Questo processo di chiarificazione dell’identità, rafforzato dall’influenza del IV Sinodo dei Vescovi culminato nella magistrale Enciclica Evangelii Nuntiandi di Paolo VI, contribuì progressivamente ad approfondire la missione specifica salesiana, traducendosi in una delle grandi scelte di questo Capitolo: trasformare i Salesiani in autentici evangelizzatori dei giovani.

Da un lato, il CG21 osservò attentamente i giovani e scoprì – sostenuto forse dall’ottimismo tipicamente salesiano – una felice convergenza tra le loro aspirazioni, la loro voce rivolta ai Salesiani e la nostra missione. Dall’altro, considerò il rinnovato impegno della Chiesa per l’evangelizzazione e riscoprì il tratto fondamentale della nostra identità in questa missione evangelizzatrice verso i giovani, che presupponeva la previa evangelizzazione degli stessi Salesiani.

Scelte fatte: Missionari nell’educazione
Nel suo discorso conclusivo, Don Viganò, appena eletto Rettor Maggiore, sintetizzò i tre obiettivi emersi durante il lavoro capitolare:
1. Il compito prioritario di portare il Vangelo ai giovani, implicante un progetto educativo-pastorale;
2. Lo spirito religioso che dovrebbe animare la vita dei salesiani;
3. Il nuovo ruolo della comunità salesiana come animatrice della comunità educativa pastorale (CEP), conseguenza della consapevolezza che i religiosi non sono gli unici operatori del Vangelo e sono chiamati a diventare formatori e animatori dei laici.
In questo modo si precisava il tema principale del Capitolo: “Essere testimoni e annunciare il Vangelo: due esigenze della vita salesiana tra i giovani”. Contemporaneamente si operavano altre scelte fondamentali:
– Fare della catechesi il terreno naturale e più fecondo per il rinnovamento dell’intera comunità ecclesiale.
– Concedere alla Congregazione un ulteriore sessennio per conoscere, assimilare e sperimentare praticamente il Testo Costituzionale, al quale furono apportati miglioramenti suggeriti dall’esperienza vissuta, specialmente riguardo alla corresponsabilità dei laici, alla funzione del superiore e alle comunità di formazione.

Indubbiamente il CG21 rappresentò un rinnovamento pastorale radicale. La Congregazione si sentì interpellata dalla Chiesa e dalla società e, nella conclusione del primo capitolo del Documento “I Salesiani evangelizzatori dei giovani”, assunse l’impegno di comprendere meglio la nuova realtà giovanile e affrontare le nuove sfide che essa presentava (i fenomeni derivanti dalla crescente secolarizzazione della società, come l’indifferenza religiosa, l’ateismo pratico o le sette, la persistente povertà del Terzo Mondo e l’emergere di nuove forme di povertà, quali la disoccupazione, l’emarginazione, la disgregazione della famiglia, la diffusione dell’erotismo e delle droghe), elaborando il Progetto Educativo Pastorale per non perdere di vista l’essenziale, non invertire la gerarchia degli obiettivi e garantire la qualità dei programmi educativi delle opere.[15]


2.3 Il Capitolo Generale 22[16] (1984)
Contesto ecclesiale e sociale
Il Capitolo Generale 22 si realizzò quasi vent’anni dopo la conclusione del Concilio Vaticano II e dodici anni dopo il CGS, periodi che avevano generato un’intensa fase di sperimentazione e approfondimento dell’identità salesiana nel nuovo orizzonte conciliare.

Il trascorrere del tempo aveva contribuito a rasserenare gli animi e ad affrontare con maggiore lucidità e minor impulsività l’improrogabile necessità del rinnovamento.

Possiamo affermare – pur con la consapevolezza che più ci si avvicina al presente, maggiore è il rischio di interpretazioni soggettive – che in quegli anni avvenne una trasformazione qualitativa nell’esperienza dei religiosi, sia a livello individuale che istituzionale. La situazione instabile e caotica dei decenni precedenti cedette il passo a una determinazione più serena, ma non meno incisiva, di perseverare nell’impegno per una Chiesa rinnovata e un mondo più giusto, nella consapevolezza che tali cambiamenti non sarebbero avvenuti rapidamente. Iniziò così una seconda fase di rinnovamento della Congregazione. Il consistente flusso di uscite si stava già attenuando. Vennero abbandonate alcune delle esperienze apostoliche particolari, certi stili di vita e modalità personali di organizzazione, mentre si consolidò ciò che stava funzionando e si riorientarono le energie.

Risulta difficile individuare uno specifico avvenimento che abbia accelerato questo cambiamento quasi impercettibile. La realtà è che improvvisamente emerse una nuova ‘leadership’, in alcuni casi con personalità straordinarie. I capitoli e le assemblee ispettoriali iniziarono ad essere più propositivi, l’entusiasmo ritornò in molti confratelli, e la vita religiosa tornò ad essere percepita come un’alternativa valida e significativa.

Sfide alle quali si volle rispondere: Concludere il progetto di rinnovamento.
– Definire le linee-forza che avrebbero guidato il futuro della Congregazione nell’orbita conciliare.
– Elaborare un progetto vocazionale chiaro, aggiornato e impegnativo, capace di salvaguardare l’identità salesiana nell’affrontare le complesse sfide dei tempi. Da qui l’importanza che le Nuove Costituzioni esprimessero l’esperienza di santità apostolica già vissuta a Valdocco, attraverso la continuità sostanziale e la fedeltà dinamica tra il testo voluto da Don Bosco e il frutto del CG22.

Scelte fatte: Approvazione definitiva della nuova Regola di Vita.
Il risultato finale del lavoro capitolare rappresentò – secondo le parole del Rettor Maggiore – “un testo organico, profondo, migliorato, permeato di Vangelo, ricco della genuinità delle origini, aperto all’universalità e proteso al futuro, sobrio e dignitoso, denso di equilibrato realismo e di assimilazione dei principi conciliari. È un testo ripensato comunitariamente in fedeltà a Don Bosco e in risposta alle sfide dei tempi”.[17]

In effetti, il nuovo testo costituzionale collocò nella prima parte, dedicata all’identità e al ruolo dei salesiani nella Chiesa, due capitoli fondamentali sullo spirito salesiano e sulla professione religiosa. Nella seconda parte vennero articolati i tre elementi inscindibili della vocazione salesiana: la missione, la vita di comunione e la pratica dei consigli evangelici. In questo modo si superava definitivamente la tendenza a enfatizzare il primato di uno dei tre aspetti a discapito degli altri. Questa parte si concludeva con il capitolo sulla vita di preghiera. La terza parte, dedicata alla formazione, e la quarta, relativa al servizio dell’autorità, mantennero la loro struttura originaria.[18]

Si riuscì così a delineare fedelmente una tipologia di vita concreta, l’esperienza di Don Bosco e dei primi salesiani, capace di ispirare e guidare il nostro progetto di “sequela Christi” per i giovani. In questo rinnovato testo costituzionale si condensano la dottrina spirituale, i criteri pastorali, le tradizioni originali e le norme di vita, ossia l’indole propria e il nostro specifico itinerario di santità. Come sottolineava Don Viganò nell’Introduzione degli Orientamenti Operativi, “i veri documenti del Capitolo Generale XXII sono i testi delle Costituzioni e dei Regolamenti Generali”.

La redazione definitiva della Regola di Vita comportò, tra l’altro, il rinnovamento della Ratio, che doveva integrare il nuovo Codice di Diritto Canonico e le nuove Costituzioni, incorporando al contempo il contributo delle scienze umane. L’idea centrale era che l’intera formazione dei salesiani fosse coerente con la natura della loro vocazione e della specifica missione di educatori e pastori dei giovani.

La Congregazione poteva così inaugurare una nuova fase della sua storia: compiere il passaggio “dalla carta alla vita”.


2.4 Il Capitolo Generale 23[19] (1990)
Contesto ecclesiale e sociale
Conclusosi il lungo e fecondo periodo postconciliare, dedicato all’ampia ridefinizione dell’identità salesiana nella Chiesa e alla sua conseguente applicazione pratica, la Congregazione venne chiamata a verificare l’efficacia dell’educazione salesiana nella formazione alla fede dei giovani con cui operava, e ad attualizzare i progetti educativo-pastorali delle Ispettorie e delle case.

Nel panorama mondiale, l’umanità assisteva al crollo del comunismo e alla configurazione di un nuovo ordine politico caratterizzato dall’emergere di un’unica superpotenza che avrebbe elevato l’economia a valore assoluto. Con la scomparsa del bipolarismo politico, economico e sociale, iniziò a manifestarsi anche una nuova sensibilità culturale. Durante il Capitolo Generale, tuttavia, l’analisi della realtà sociale ebbe rilevanza limitata, emergendo principalmente attraverso la sua ripercussione sui giovani.

“In questi anni si è consumata la crisi delle ideologie e delle idee forti e trainanti. Al loro posto è apparso il pensiero debole della postmodernità, caratterizzato sia dal rispetto e dall’apertura a tutte le correnti delle culture, sia dal relativismo etico, dal soggettivismo e dalla frammen-tazione sociale… Per i giovani diventavano più preoccupanti la disoccupazione, la disgregazione di molte famiglie, il fenomeno diffuso del secolarismo, dell’indifferenza religiosa, come anche quello di una nuova religiosità alla moda del new age.”[20]

La realtà giovanile si presentava dunque assai complessa, variegata e provocatoria. Emerse pertanto la necessità di conoscere e comprendere a fondo i contesti in cui i giovani vivevano – o faticavano a vivere – e nei quali erano chiamati a realizzare la loro crescita umana e religiosa, contesti dove i Salesiani dovevano accompagnarli:
– Contesti caratterizzati dall’abbondanza di beni materiali.
– Contesti segnati da impoverimento economico, politico e culturale.
– Contesti influenzati dalla presenza di antiche e grandi religioni.
– Contesti in cui era avviato un processo irreversibile di indipendenza dal colonialismo.
– Contesti in esodo da regimi autoritari verso sistemi di vita sociale e politica differenti.
– Contesti di comunità autoctone e minoranze etniche.

Sfide alle quali si volle rispondere: l’educazione dei giovani alla fede
Il tema scaturì dall’esperienza vissuta negli anni precedenti, dalle difficoltà riscontrate tanto dai giovani quanto dalla comunità salesiana, ma anche dalla promessa di fedeltà a Don Bosco, rinnovata il 14 maggio 1988 nella celebrazione del centenario della sua morte.

Si constatava che l’educazione dei giovani alla fede stava diventando una missione sempre più complessa in tutti gli ambienti di presenza salesiana, conseguenza di una cultura emergente che esigeva un ripensamento sia della metodologia sia dei contenuti dell’educazione alla fede.

Questo impegno richiedeva di non perdere mai di vista la funzione “unificatrice e illuminante” della fede e, quindi, di recuperarla, proporla e saperla rendere significativa per i giovani come elemento vitale per la maturazione integrale della persona.

Significava assumere il compito di educare i giovani ai valori della dignità umana, del superamento dell’egoismo, della riconciliazione, della grandezza cristiana del saper perdonare e sentirsi perdonati.

Si trattava di far crescere l’amore formando la mente e il cuore dei giovani affinché potessero percepire chiaramente la centralità suprema dell’Eucaristia nella vita cristiana.

Infine, comportava saper interpretare e presentare il senso della vita come vocazione, nella consapevolezza che ogni giovane rappresenta un progetto-uomo da scoprire e costruire alla luce della coscienza di essere “immagine di Dio”.

Scelte fatte: Proposta di spiritualità giovanile
Partendo dalle sfide poste dalla realtà giovanile nei suoi diversi contesti, i capitolari delinearono un cammino di educazione alla fede per i giovani, offrendo loro una proposta di vita cristiana significativa e di spiritualità giovanile salesiana.

Il CG23 scelse di considerare il destinatario della missione salesiana come frutto maturo del proprio impegno educativo, prospettandolo come un giovane educato nella fede, che sceglie la vita, che va incontro a Gesù, che si inserisce attivamente nella comunità ecclesiale e che scopre il proprio posto nel Regno, con un’attenzione particolare alla “formazione della coscienza, l’educazione all’amore e la dimensione sociale della fede” (CG23, 182-214).

Non si trattava quindi di ridimensionare le opere (sebbene fosse un compito importante), ma di ripensare e rinnovare la missione, ovvero la qualità della proposta educativo-pastorale. L’obiettivo era meno quello di creare nuove presenze e più quello di far nascere una presenza nuova, un modo innovativo di essere presenti là dove già si operava.

Ancora una volta la Congregazione si sentiva chiamata a rilanciare con tutte le proprie energie l’atteggiamento del “da mihi animas”, testimoniato da Don Bosco con originalità pastorale, trasformando le comunità in “segno di fede, scuola di fede e centro di comunione” (CG23, 215-218).


2.5 Il Capitolo Generale 24[21] (1996)
Contesto ecclesiale e sociale
Il Capitolo Generale 24 si è svolto all’interno di tre significativi eventi ecclesiali che ne hanno profondamente influenzato lo sviluppo: in primo luogo, la sfida della Nuova Evangelizzazione, avviata dal Concilio Vaticano II e successivamente ripresa da Giovanni Paolo II come programma pastorale; in secondo luogo, il Sinodo per i Laici, che li esortava a vivere con maggiore impegno la propria vocazione battesimale sia in ambito ecclesiale che sociale, principi poi codificati nell’Esortazione Apostolica Christifideles Laici; infine, il Sinodo sulla “Vita Consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo”, che ha aggiornato la dottrina conciliare sulla vita religiosa adattandola alle nuove esigenze culturali, il tutto espresso nell’illuminante documento Vita consecrata, ricco di conseguenze positive.

A livello mondiale, la storia assisteva all’emergere di un nuovo scenario economico, politico, sociale e culturale, in seguito agli eventi che segnarono la fine del conflitto Est-Ovest. Diverse tendenze esercitavano già un notevole influsso sulla vita e sull’azione salesiana:
– Il primato dell’economia, sostenuto dal neoliberalismo, con il conseguente impoverimento di gran parte del mondo.
– L’ambivalenza della comunicazione che, da un lato, favoriva l’integrazione tra i paesi e, dall’altro, provocava profondi cambiamenti culturali.
– La perdita del ruolo privilegiato della famiglia e dell’educazione nella formazione della persona, di fronte al potere crescente di altri agenti educativi e altri modi di organizzazione familiare.
– La crescente rilevanza della donna nella società e l’esigenza di una maggiore attenzione allo specifico femminile.
– Il risorgere di un volto multiplo del fenomeno religioso, che richiedeva una spiritualità più profonda e un’attenzione particolare al dialogo ecumenico e interreligioso.

Sfide alle quali si volle rispondere: creare sinergia fra SDB e collaboratori
Si aspirava a moltiplicare le persone disposte a vivere il proprio battesimo nell’ambito dell’educazione e della cultura, rivalorizzando la stessa realtà secolare come autentico luogo teologico.

Era necessario verificare e rilanciare il “progetto laici” secondo le esigenze di Lumen Gentium (cap. IV), Gaudium et Spes, il decreto Apostolicam Actuositatem e l’Esortazione apostolica Christifideles laici, in sintonia con Don Bosco, che aveva intuito l’importanza fondamentale di condividere la sua missione giovanile e popolare con un vasto movimento di persone.

Si voleva far convergere Salesiani e laici in un nuovo paradigma di relazioni, all’interno di un’ecclesiologia di comunione, non tanto per compensare la diminuzione numerica dei salesiani, quanto per raggiungere una maggiore complementarità nella missione comune.

Era essenziale orientare i salesiani verso il loro compito prioritario: privilegiare l’animazione pastorale e pedagogica, e dedicarsi con maggiore impegno alla formazione dei collaboratori e corresponsabili, al di là di qualsiasi altro impegno.

Si intendeva avviare un cammino formativo comune tra Salesiani e laici centrato sullo spirito e sulla missione di Don Bosco, per favorire un autentico scambio di doni.

Era fondamentale rivalorizzare la dimensione secolare della Congregazione, espressa nella scelta per il campo della cultura, dell’educazione e della promozione umana della gioventù bisognosa, con una speciale sensibilità culturale per le classi popolari. Risultava vitale e promettente poter condividere gli impegni in ambito culturale ed educativo con persone che coltivavano ‘dall’internò i valori secolari.

Scelte fatte: Implicare e formare i collaboratori laici
Un elemento caratterizzante del Capitolo Generale 24 fu la presenza attiva, per la prima volta in un evento di tale natura, di 21 laici. Si radicava sempre più la convinzione che la nuova evangelizzazione e la nuova educazione non potessero realizzarsi senza una collaborazione organica e qualificata dei laici. Le comunità salesiane dovevano ormai attrezzarsi per diventare “nucleo animatore” di una comunità educativo-pastorale e centro dinamizzatore della Famiglia Salesiana, dove salesiani, laici e membri di questa potessero condividere pienamente lo spirito e la missione di Don Bosco. Da ciò derivavano importanti conseguenze:
– Qualificare la formazione dei laici, aiutandoli a crescere nella grazia dell’unità, elemento centrale dello spirito di Don Bosco, che mantiene una tensione armonica tra fede e mondo, Dio e uomo, mistero e storia. Solo così si potevano superare orizzontalismo e verticalismo, secolarismo e spiritualismo (Cf. Christifideles laici 59).
– Estendere il coinvolgimento dei laici nelle opere, con un atteggiamento personale e comunitario che testimoniasse la fraternità battesimale e la responsabilità apostolica comune, nutrendo fiducia negli impegni loro affidati.
– A livello di Famiglia Salesiana, promuovere la corresponsabilità, creando spazi di partecipazione e rafforzando la comunicazione.


2.6 Il Capitolo Generale 25[22] (2002)
Contesto ecclesiale e sociale
Il fenomeno sociale e culturale più rilevante di quegli anni fu, senza dubbio, l’individualismo, che si manifestava non solo sul piano economico – nella sua veste neoliberale – o politico, ma soprattutto nella vita quotidiana: “Essere sé stessi, vivere liberamente senza repressioni, scegliere il proprio modo di vivere, sono le aspirazioni ed il diritto che i nostri contemporanei stimano essere i più legittimi.”[23]

Questa cultura della soggettività, fortemente incentrata sulla libertà e sulla responsabilità personale, rendeva più arduo il passaggio verso una cultura della comunione. Ciò valeva tanto per l’ambito ecclesiale, dove molti fedeli intendevano la fede come fatto privato, quanto per la vita religiosa, nella quale cresceva la dicotomia fra il desiderio di comunione – intesa come accoglienza della persona e relazioni interpersonali profonde – e la “sazietà” di vita comunitaria, che relativizzava le pratiche comuni.

Si registrava, al tempo stesso, un diffuso senso di solitudine e un forte bisogno di incontro e condivisione, evidente soprattutto nel mondo giovanile e in quello ecclesiale; in tale contesto la fraternità poteva porsi come segno di speranza e profezia.

Sfide alle quali si vuole rispondere: creare un modello di comunità umanamente significativo, pastoralmente profetico, vocazionalmente attraente e propositivo.

Il nuovo modello pastorale, che vedeva una presenza sempre più consistente dei laici nei compiti di animazione e di governo delle opere, richiese uno stile comunitario capace di suscitare interrogativi: in che modo impostare la comunità perché risultasse visibilmente evangelica, autenticamente fraterna, animatrice e vocazionalmente convocante?

Da qui scaturì l’esigenza di ravvivare in ciascuno la coscienza di essere chiamato a vivere con maggiore significatività, gioia e trasparenza la fraternità in Cristo come risposta alle aspirazioni profonde del nostro cuore, affinché, in mezzo ai giovani, potessimo davvero testimoniare l’amore di Dio e divenire centri di animazione spirituale per la CEP e per la Famiglia Salesiana.

Parallelamente emerse uno squilibrio fra la quantità – e complessità – delle opere e le risorse di personale: la diminuzione e l’invecchiamento dei salesiani si contrapponevano alla crescita delle opere e alla moltiplicazione delle strutture. Ne derivavano stanchezza fisica, stress psicologico e superficialità spirituale sul piano personale, nonché divisione e frammentazione del progetto comunitario, che rendevano sterili molti sforzi educativo‑pastorali.

La Congregazione si trovò dunque a discernere nuove modalità di vita comunitaria capaci di rispondere alle esigenze della sequela Christi e della missione. L’obiettivo fu determinare condizioni concrete che consentissero di vivere con dinamismo ed efficacia la fraternità consacrata apostolica.

Scelte fatte
Le decisioni assunte miravano a realizzare quanto don Vecchi indicava come “traguardo principale e terminale” del CG 25: “trovare vie efficaci per rimotivare le comunità a manifestare con semplicità e chiarezza l’identità religiosa nelle nuove situazioni; determinarre le condizioni o criteri essenziali che permettano, anzi stimolino, a vivere in modo gioioso, umanamente significativo, la nostra professata fraternità al seguito di Cristo”.[24]


2.7 Il Capitolo Generale 26 (2008)
Il CG 26 si incentrò sul tema “Da mihi animas, coetera tolle”: Identità carismatica e passione apostolica.

L’obiettivo fondamentale del Capitolo generale 26 fu rafforzare la nostra identità carismatica attraverso un ritorno a don Bosco, risvegliando nel cuore di ogni confratello la passione del “Da mihi animas, cetera tolle”.

La determinazione e l’impegno di ripartire dal fondatore non sono indice di crisi, bensì criterio di autenticità e fedeltà, radicati nella convinzione che nel suo carisma e nella sua vita risiedano non solo gli elementi che hanno ispirato il passato, ma anche quelli che si rivelano come profezia per il futuro.

Per raggiungere un tale obiettivo era innanzitutto necessaria una conoscenza più approfondita di don Bosco. Si correva il grave rischio di spezzare i legami vitali che ci tenevano uniti a lui: più di un secolo era già trascorso dalla sua morte e si erano spenti i salesiani delle prime generazioni che lo avevano incontrato di persona. Il distacco cronologico, geografico e culturale dal fondatore andava ampliandosi, privandoci di quel clima spirituale e di quella vicinanza psicologica che consentivano un riferimento spontaneo a don Bosco e al suo spirito. Se non avessimo ravvivato le nostre radici, avremmo rischiato di non avere futuro né diritto di cittadinanza. Per questo fu necessario studiarlo, amarlo, imitarlo e invocarlo: conoscerlo come maestro di vita, alla cui spiritualità attingevamo come figli e discepoli; come fondatore, che ci indicava il cammino della fedeltà vocazionale; come educatore, che ci lasciò in preziosa eredità il “sistema preventivo”; e come legislatore, perché le Costituzioni, da lui direttamente e poi dalla storia salesiana elaborate, ci offrivano una lettura carismatica del Vangelo e della sequela di Cristo.

La chiamata a tornare ai giovani — nostra missione, la nostra ragione, la nostra patria — rimase sempre urgente, affinché potessimo essere tra loro con maggiore competenza. È vero che, già allora, facevamo fatica a tenere il passo dei giovani, a comprenderne la cultura e ad amare il loro mondo; tuttavia il vero salesiano non disertava il campo giovanile. Salesiano era colui che dei giovani possedeva una conoscenza vitale: il suo cuore pulsava là dove pulsava quello dei giovani. Egli viveva per loro, esisteva per i loro problemi, le loro attese, i loro sogni.

Le sfide alle quali si voleva rispondere
A livello di tendenze fondamentali, era necessario riconoscere l’esistenza di due “dinamiche trasversali” caratterizzanti il cambio epocale che stiamo vivendo: da un lato, una tendenza all’omogeneità culturale, che cerca di replicare il modello occidentale eliminando le differenze; dall’altro, contrapposizioni culturali di matrice religiosa che conducono a una crescente differenziazione, ad esempio, tra l’islam e l’occidente, tra la società secolarizzata e il cristianesimo.

Dal punto di vista economico, si assiste alla diffusione universale del modello neoliberale, fondato sul sistema di mercato, che tende a prevalere sugli altri valori umani delle persone e dei popoli. Dal punto di vista culturale, si impone un processo di omologazione delle culture verso il modello occidentale, con il graduale dissolversi delle peculiarità culturali e politiche dei popoli.

L’impatto dei mezzi di comunicazione sociale e la rivoluzione informatica generano profondi mutamenti nel costume, nella distribuzione della ricchezza, nell’organizzazione del lavoro, attraverso una cultura mediatica e una società dell’informazione.

A livello sociale e culturale, emerge una forte tendenza alla “mobilità umana”, manifestata da masse che migrano verso i Paesi della ricchezza e del benessere. Persiste la “sfida della povertà”, della fame, delle malattie e del sottosviluppo, insieme alle problematiche derivanti dallo sfruttamento dei bambini e dei minori nelle tragiche forme dell’emarginazione, del lavoro minorile, del turismo sessuale, della mendicità, dei ragazzi di strada, della delinquenza minorile, dei bambini-soldato, della mortalità infantile. Si propaga ovunque una “mentalità consumista”, tanto nei Paesi ricchi quanto in quelli in via di sviluppo.

Naturalmente, sfide sorgono anche dall’interno della stessa Congregazione e sono di natura diversa: l’invecchiamento dei confratelli in alcune zone, la disparità di condizioni di vita dei salesiani rispetto ai contesti di povertà e miseria. Si osservano inoltre un differente impatto della cultura giovanile, con i suoi atteggiamenti e modelli di vita, sulla vita personale e comunitaria dei confratelli; la difficoltà a confrontarsi con un mondo giovanile estremamente variegato dal punto di vista delle idee e dei comportamenti; le diverse accentuazioni nel rapporto tra educazione ed evangelizzazione; le differenti sensibilità riguardo all’impatto sociale della nostra missione di promozione umana. Persistono in alcuni luoghi la superficialità spirituale, il genericismo pastorale, la lontananza dal mondo giovanile, le problematiche relative all’inculturazione del carisma, la scarsa conoscenza di don Bosco e della sua opera.

Scelte fatte
– Urgenza di evangelizzare, di pro-vocare e con-vocare i giovani alla sequela di Cristo sulle orme di Don Bosco.
– Orientamento deciso verso nuove frontiere: impegno a favore dei “giovani poveri”, della “famiglia”, e presenza come interlocutori critici della comunicazione sociale.
– Avvio di “nuovi modelli” gestionali capaci di sostenere con flessibilità e agilità la missione salesiana.
– Infine, un’attenzione premurosa e solerte per la rivitalizzazione della “presenza salesiana in Europa”.


2.8 Il Capitolo Generale 27 (2014)
Il CG 27 adottò come tema “Testimoni della radicalità evangelica”

Intendeva guidarci verso una più profonda comprensione della nostra identità carismatica, facendoci prendere coscienza della nostra vocazione a vivere con fedeltà il progetto apostolico di Don Bosco. La radicalità di vita la nervatura interiore di Don Bosco; essa ha alimentato la sua instancabile dedizione alla salvezza dei giovani e ha permesso alla Congregazione di fiorire.[25]

Radicale è quel discepolo che si lascia affascinare da Cristo e, conseguentemente, è disposto ad abbandonare tutto (cfr. Mt 19,21-22) per identificarsi con Lui, “assumendo i suoi sentimenti e la sua forma di vita”. Radicale è quell’apostolo che, come Paolo, “ha lasciato perdere tutte queste cose e le considera spazzatura, per guadagnare Cristo” (Fil 3,8). In effetti, solo una piena conversione in Cristo[26], ovvero una completa identificazione con la persona e la missione di Gesù, garantisce “il modo più radicale di vivere il vangelo su questa terra”.[27] Questo, a sua volta, genera una rinnovata spinta all’evangelizzazione: chi, come Gesù, ha unicamente Dio e il suo regno come causa, lo rappresenta (‘ri-presenta’) in modo affidabile e credibile.[28]

Come Rettor Maggiore avevo sottolineato che per noi Salesiani, “la testimonianza personale e comunitaria della radicalità evangelica non è semplicemente un aspetto che si affianca agli altri, quanto piuttosto una dimensione fondamentale della nostra vita”. “Non può essere ridotta alla sola pratica dei consigli evangelici. Essa coinvolge tutto il nostro essere, abbracciando le sue componenti essenziali: la sequela di Cristo, la vita fraterna in comunità, la missione”.[29] E concretamente, “per affrontare le sfide presenti e future della vita consacrata salesiana e della missione in tutta la Congregazione, emerge la necessità di delineare il profilo del nuovo salesiano[30], chiamato ad essere: mistico, riconoscendo il primato assoluto di Dio; profeta, vivendo della fraternità evangelica e per essa; servo, dedicandosi interamente all’accompagnamento e alla cura dei giovani più poveri e bisognosi.

Ecco le scelte, siamo chiamati oggi ad essere:

Mistici: in un mondo che si sente sempre più chiaramente sfidato dal secolarismo, dobbiamo “trovare una risposta nel riconoscimento del primato assoluto di Dio” attraverso “il dono totale di sé” e nella “conversione permanente ad una vita offerta come vero culto spirituale”.[31]

Profeti: “Nel contesto multiculturale e multireligioso, emerge una richiesta di testimonianza di fraternità evangelica.” Le nostre comunità religiose sono chiamate a vivere con coraggio il vangelo come forma alternativa di vita e “uno stimolo per purificare e integrare valori differenti attraverso la riconciliazione di divisioni.”[32]

Servi: “La presenza di nuove forme di povertà e marginalizzazione deve suscitare quella creatività nella cura dei più bisognosi”[33], che ha caratterizzato la nascita della nostra Congregazione e segnerà anche la rinascita delle nostre Ispettorie, a beneficio dei giovani più poveri e delle persone emarginate per motivi economici, sessuali, razziali o religiosi.


2.9 Il Capitolo Generale 28 (2020)
Il CG 28 aveva come tema “Quale Salesiano per i giovani di oggi?”

Conosciamo assai bene come il Covid-19 abbia profondamente condizionato questo Capitolo Generale, rimasto, per la prima volta nella storia, incompiuto e privo di un documento capitolare ufficiale, a causa dell’urgenza di concludere anticipatamente i lavori.

Il Rettore Maggiore, don Àngel Fernández Artime, presentando le Riflessioni Capitolari che si aprono con le linee programmatiche, scrisse con intensità: “Ritengo che il documento che ora avete tra le mani ci permetterà di approfondire le motivazioni ecclesiali, carismatiche e identitarie che ci aiuteranno a continuare il cammino di fedeltà che, come Congregazione e in modo personale, vogliamo continuare. Oggi il nostro mondo, la Chiesa e i giovani insieme alle loro famiglie, hanno bisogno di noi come ieri, per continuare a vivere un cammino di fedeltà al Signore Gesù. Hanno bisogno di noi come persone significative e coraggiosamente profetiche. Che il Signore ci conceda questo dono. Con la mediocrità e la paura, potremo offrire ai giovani poche cose, che non potranno trasformare la loro vita e riempirla di significato” (presentazione del RM, p.10, sottolineatura originale).

Ciò che il Rettore Maggiore ha realizzato, insieme al suo Consiglio, è stato raccogliere con cura quanto elaborato durante i giorni del Capitolo, integrando sia il lavoro avviato ma non concluso, sia quanto preparato dalla Commissione di redazione, sia il prezioso lavoro pre-capitolare delle Ispettorie.

L’obiettivo, nelle parole del Rettore Maggiore stesso, era quello “di diventare un programma di azione per il prossimo sessennio, in assoluta continuità con il cammino precedentemente percorso dalla Congregazione e che, anche per questo motivo, ci infonde forza e coraggio” (Linee programmatiche… p. 15, sottolineatura personale).

Alla luce di quanto ci presenta il Rettor Maggiore nelle sue “Riflessioni capitolari” a conclusione del CG28, il salesiano per i giovani di oggi è chiamato a:

1. Riaffermare la centralità della missione (C.3), che non consiste semplicemente in opere o attività ma nell’essere autentici “testimoni e portatori dell’amore di Dio per i giovani, soprattutto i più poveri e abbandonati” (C.2). Questa vocazione deve manifestarsi visibilmente, come aveva già indicato il CG23 che aveva delineato il salesiano come “pastore educatore dei giovani”.

2. Recuperare pienamente la consapevolezza che la missione si vive in comunità, vero soggetto della missione (C. 49), e va quindi vissuta con profondo senso di appartenenza e partecipazione, poiché è la comunità stessa che invia ogni confratello e gli affida ruoli e compiti specifici, in linea con quanto richiesto dal CG25, che mirava a rinnovare la Congregazione attraverso il rinnovamento della Comunità.

3. Riconoscere che la missione oggi si svolge in corresponsabilità con i laici, dando vita a un autentico ‘nuovo soggetto pastorale’, come aveva già sollecitato il CG24, che esortava a un cambio di mentalità nel salesiano affinché condividesse con i laici non solo il lavoro, ma anche lo spirito e la missione.

Tutto questo richiedeva di collocarsi in uno “stato di formazione permanente”, al fine di:
a. Crescere in identità carismatica, come richiesto dal CG26;
b. Garantire l’interiorità apostolica;
c. Raggiungere la grazia dell’unità, come aveva auspicato il CG27, tracciando un profilo del salesiano come “mistico nello spirito”, “profeta di comunione”, “servo dei giovani”.

Ecco le Linee Programmatiche che definiscono, a modo di ‘vera tabella di marcia’, il cammino della Congregazione per gli anni successivi:

1. Salesiano da don Bosco per sempre. Un sessennio per crescere nell’identità salesiana (tornare a Cristo da consacrati: assumendo il modo di vivere obbediente, povero e casto di Gesù – tornare a Don Bosco da salesiani: identificazione col Progetto apostolico di Don Bosco, le Costituzioni).

2. In una Congregazione dove siamo invitati dal “da mihi animas, coetera tolle” (tradotto in un rinnovato impegno per l’evangelizzazione – priorità del primo annuncio in sintonia con l’“Evangelii Gaudium”).

3. Vivere il “sacramento salesiano della presenza” (rinnovata assistenza caratterizzata da presenza – ascolto – accompagnamento [Lettera da Roma e Christus Vivit]).

4. Formazione per essere pastori salesiani oggi (formazione per e nella missione: verso una sempre più crescente coscienza della formazione permanente e del fatto che la comunità è il luogo privilegiato, garantendo qualità all’intero processo).

5. Priorità assoluta per i giovani, i più poveri, i più abbandonati e indifesi (imperativo ancor più necessario nel contesto dell’attuale crisi economica e sociale. È una scelta che non ammette eccezioni, perché non è ideologica ma carismatica).

6. Insieme ai laici nella missione e nella formazione. La forza carismatica offerta dai laici e dalla Famiglia Salesiana (comunione o senso di appartenenza e partecipazione o senso di corresponsabilità di carisma e missione).

7. È tempo di una maggiore generosità nella congregazione. Una Congregazione universale e missionaria (essa richiede concretamente totale disponibilità per i suoi bisogni di servizio o missione)
8. Accompagnare i giovani verso un futuro sostenibile (‘green alliance’; non si tratta di una semplice difesa degli ‘ecosistemi’, ma della promozione di una ‘ecologia integrale’ nella prospettiva della Laudato si).

Elemento ispirante e unificante in tutta questa articolazione è stato il Messaggio di Papa Francesco ai membri del CG28 e il suo pressante invito a ravvivare il carisma di Don Bosco.

In una parola, si tratta di tornare a partire da Valdocco:
– l’“opzione Valdocco” e il dono dei giovani;
– l’“opzione Valdocco” e il carisma della presenza;
– l’“opzione Valdocco” nella pluralità delle lingue (multiculturalismo);
– l’“opzione Valdocco” e la capacità di sognare.

Ciò significa, in definitiva, ravvivare il carisma di Don Bosco, “per essere altri Don Bosco oggi”, così da poter rispondere con fedeltà creativa e dinamica alle nuove sfide della missione e dei giovani del nostro tempo.


2.10 Il Capitolo Generale 29 (2025)
Il CG29 ha adottato come tema “Appassionati per Cristo – dediti ai Giovani” per un vissuto fedele e profetico della nostra vocazione salesiana.

Questo Capitolo è stato influenzato non poco dalla nomina del Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime come Cardinale della Santa Chiesa, avvenuta a metà sessennio, con conseguenze rilevanti tra cui l’anticipazione di un anno della convocazione del CG29.

Come previsto dalle Costituzioni, il Capitolo è stato inizialmente presieduto dal Vicario don Stefano Martoglio, fino all’elezione del nuovo Rettor Maggiore nella persona di don Fabio Attard. Quest’ultimo, pur non essendo originariamente capitolare, ha guidato con saggezza i lavori fino alla loro conclusione.

Nonostante queste circostanze particolari, il Capitolo ha approfondito i tre nuclei tematici ritenuti di fondamentale importanza dal Rettor Maggiore:
– “Animazione e cura della vita vera di ciascun salesiano”;
– “Insieme Salesiani, Famiglia Salesiana e Laici ‘con’ e ‘per’ i giovani”;
– “Una coraggiosa verifica e riprogettazione del governo della Congregazione a tutti i livelli”.

Il contesto storico in cui si è svolto il Capitolo ha rappresentato una pagina drammatica della storia contemporanea, caratterizzata da una situazione geopolitica tesa, con numerosi conflitti in corso e il crescente pericolo di una guerra nucleare. Parallelamente, la Chiesa era dopo il “Sinodo per un percorso sinodale” e del Giubileo della Speranza. Per la Congregazione, questo periodo coincideva con la celebrazione del 150º anniversario della prima spedizione missionaria e con un cambiamento profondo anche nel volto della Congregazione, sempre più multiculturale.

Le deliberazioni adottate dall’Assemblea Capitolare, in sintonia con il tema generale e i tre nuclei tematici, sono state articolate nel documento finale:

Salesiani appassionati di Gesù Cristo e consegnati ai Giovani
Il tema scelto dal Rettor Maggiore don Ángel Fernández per il nostro Capitolo tocca l’essenza stessa della vita cristiana e religiosa: essere conquistati dall’amore di Cristo fino a ricollocare Dio al centro della nostra esistenza. La vita consacrata è, nella sua interezza, contrassegnata dall’amore e va vissuta all’insegna di questo amore. Non può essere autenticamente abbracciata se non nella letizia, persino nei momenti di prova e difficoltà, con la convinzione e l’entusiasmo di chi ha l’amore come forza propulsiva della propria vita. Da questa radice scaturiscono la serenità, la luminosità e la fecondità della vita consacrata, qualità che la rendono affascinante e attraente per i giovani ai quali siamo inviati e ai quali, per vocazione, siamo interamente dedicati.

Nel suo messaggio ai membri del CG29, Papa Francesco ha commentato il tema: “È un bel programma: essere ‘appassionati’ e ‘consegnati’, lasciarsi coinvolgere pienamente dall’amore del Signore e servire gli altri senza tenere nulla per sé, proprio come ha fatto, a suo tempo, il vostro Fondatore. Anche se oggi, rispetto ad allora, le sfide da affrontare sono in parte cambiate, la fede e l’entusiasmo rimangono gli stessi, arricchiti di nuovi doni, come quello dell’interculturalità.”

Questa riflessione ci conduce inevitabilmente alla ‘passione di Dio’ manifestata nel Cristo Crocifisso – espressione che racchiude sia l’amore infinito e incommensurabile di Cristo (‘passione’ come espressione di un grande amore), sia la sua immensa sofferenza, frutto del tradimento di uno dei suoi, dell’abbandono di tutti i discepoli, del rinnegamento del capo dei ‘dodici’, del rifiuto del popolo, della condanna dei capi religiosi, della crocifissione per mano dei romani e dell’apparente silenzio di Dio (‘passione’ come espressione della sofferenza per amore). Non sorprende, quindi, che non vi sia simbolo più eloquente della ‘passione’– intesa sia come amore sia come sofferenza – del Cristo Crocifisso.

La ragione è molto chiara: solo riconoscendoci e sentendoci amati infinitamente dal Padre in Cristo potremo essere conquistati da Lui e divenire capaci di amare autenticamente gli altri – i confratelli, i giovani, tutte le persone che collaborano con noi nella missione.

È precisamente questo ‘pathos’ divino che indusse Paolo a confessare: “Sono crocifisso con Cristo. Non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me. E la vita che vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi amò e si consegnò per me.” (Gal 2,19-20)

Soltanto quando siamo conquistati dalla passione (amore e sofferenza) di Cristo possiamo diventare genuinamente appassionati, capaci di amore e di donazione totale con il suo stesso amore.

Primo nucleo: “Animazione e cura della vita vera di ciascun salesiano”
– Rinnovare con decisione la centralità di Gesù Cristo, riscoprendo la grazia di unità e rifuggendo dalla superficialità spirituale.
– Rivitalizzare la vita fraterna nelle comunità e potenziare il servizio ai giovani più poveri come espressione autentica del carisma salesiano.
– Rinnovare i processi formativi curando l’accompagnamento e la formazione nella missione.

Secondo nucleo: “Insieme salesiani, Famiglia Salesiana e laici ‘con’ e ‘per’ i giovani”
– Condividere in ogni comunità educativa pastorale spiritualità, missione e formazione con i laici e i membri della Famiglia Salesiana.
– Offrire itinerari graduali e sistematici di educazione alla fede e rinnovare la pratica del Sistema Preventivo, garantendo ovunque ambienti sicuri.
– Essere presenti nelle nuove frontiere della missione: l’ambiente digitale, l’ecologia integrale, le nuove espressioni del carisma.

Il terzo nucleoraccoglie le Delibere approvate dal Capitolo. Alcune di esse modificano articoli delle Costituzioni o dei Regolamenti, altre richiedono al Rettor Maggiore con il suo Consiglio particolare attenzione verso questioni di particolare rilevanza. Queste delibere rappresentano il frutto di una riflessione ampia e articolata, che ha abbracciato anche tematiche rimaste in sospeso dal Capitolo Generale 28° a causa della sua conclusione anticipata. Non tutti i temi esaminati sono stati tradotti in delibere o hanno ottenuto il consenso necessario per generare cambiamenti istituzionali, ma hanno comunque contribuito alla “coraggiosa verifica e riprogettazione del governo della Congregazione a tutti i livelli” richiesta nella lettera di indizione.


3. Valutazione e prospettive di futuro

3.1 Valutazione
Il Concilio Vaticano II ha indubbiamente esercitato un’influenza sulla vita e sulla missione salesiana. Non è questa la sede per presentare un’analisi esaustiva di tutte le trasformazioni avvenute all’interno della Congregazione durante questi sessant’anni, né sono certo che tale lavoro sia già stato compiuto. Mi limiterò, pertanto, a evidenziare alcune trasformazioni che ritengo particolarmente significative.

La missione ha conosciuto un cambiamento notevole, descritto con particolare efficacia da Don Vecchi che, negli anni trascorsi come Consigliere per la Pastorale Giovanile, ha vissuto questo processo in prima persona: “L’immagine dei salesiani all’inizio di questa evoluzione è quella di una Congregazione saldamente attestata nel campo giovanile con strutture educative ben definite: scuole, centri professionali, convitti, oratori; che sviluppa all’interno di queste strutture diverse “linee” pedagogiche secondo una prassi sicura: pedagogia religiosa, pedagogia scolastica, pedagogia associativa, pedagogia del lavoro, pedagogia del tempo libero. La preparazione del personale e i ruoli di orientamento e governo corrispondevano ai campi di lavoro. Vi corrispondevano anche obiettivi generali, organizzazione dei contenuti, scelta dei destinatari e persino un’interpretazione del contesto sociale e del ruolo che il compito educativo doveva avere in esso. L’immagine, dopo venti anni di cammino (1970-1990), è di una Congregazione aperta a molteplici campi di lavoro, in ambienti in cui appaiono in continuità nuove domande educative e pastorali all’insegna della ‘complessità’; che progetta interventi variegati e alle volte inediti; che si trova di fronte alla urgenza di adeguare, equilibrare e far interagire le competenze dei membri, di riformulare i suoi programmi e dare consistenza ad alcune intuizioni.”[34]

Di conseguenza, anche le strutture di animazione e governo hanno subito cambiamenti, non solo per rispondere meglio alle esigenze della nuova pastorale, ma per garantire l’identità del carisma e la sua inculturazione, l’unità e il decentramento, l’autonomia e la sussidiarietà.

La vita di comunione è cresciuta nella dimensione della fraternità, del rispetto per la persona, dell’esercizio dell’autorità, della profondità dei rapporti interpersonali e della corresponsabilità nei processi decisionali.

Sollecitata da stimoli interni ed esterni, la formazione ha delineato con maggiore precisione il profilo del salesiano che intende formare, le condizioni e la metodologia che rendono possibile la sua progressiva identificazione con Don Bosco, riferimento ultimo della formazione salesiana.

Da questa prospettiva si può affermare che la Congregazione è stata fedele alle richieste della Chiesa, del mondo e della cultura, nonché ai bisogni sempre nuovi dei giovani, cercando di rispondere con fedeltà e creatività.

Tuttavia, per evitare di cadere in un facile ottimismo e per verificare se il rinnovamento auspicato dal Concilio Vaticano II non si sia limitato a una semplice “accomodata renovatio” formale, ma abbia realmente raggiunto in profondità la mente e il cuore delle persone, ritengo opportuno proporre una valutazione più ampia del fenomeno postconciliare nella vita religiosa. In questo modo potremo completare il quadro generale, evidenziando i compiti ancora incompleti, e delineare le prospettive future.

È opinione diffusa che nel periodo precedente al Concilio Vaticano II fosse relativamente semplice “identificare” i religiosi, la loro forma di vita e il loro posto nella Chiesa. La vita religiosa era caratterizzata dalla professione perpetua dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza, secondo le Costituzioni di una Congregazione approvate dall’autorità ecclesiastica. I religiosi risiedevano in case religiose, conventi o monasteri, e si distinguevano, dentro e fuori dai loro istituti, per l’abito indossato. Lo stile di vita e la chiara riconoscibilità dei membri li separavano concretamente dal ‘mondo’ e li differenziavano dai ‘laici’ all’interno della stessa Chiesa.[35]

Come abbiamo già osservato, il Concilio ha avviato un cambiamento di portata copernicana, coinvolgendo e modificando tutte le istituzioni, invitate a ricollocarsi all’interno della Chiesa ‘nel’ mondo (GS), secondo una nuova ecclesiologia di comunione (LG) in cui tutti i battezzati costituiscono un unico popolo di Dio con diversità di vocazioni, ruoli e carismi.

Dopo l’intero processo di rinnovamento, la vita religiosa ha subito trasformazioni così forti che oggi risulta difficile ‘identificarla’ e persino giustificarla come forma di vita. La difficoltà non deriva principalmente dall’abbandono dell’abito religioso in favore di un abbigliamento più secolare, ma da una serie di fattori esterni ed interni che hanno offuscato i tratti caratteristici della sua identità. Ciò spiega l’odierna insistenza nel recuperare la sua “visibilità” e, di conseguenza, la sua significatività, credibilità e attrattiva.

Possiamo affermare che la vita religiosa sia stata messa in crisi esternamente dalla secolarizzazione e, internamente, dalla perdita di identità.

3.1.1 Crisi esterna
È innegabile che il segno più evidente del nostro tempo sia la secolarizzazione della società, che ha raggiunto livelli di secolarismo tanto accentuati da generare una cultura della non-credenza, a-religiosa e sostanzialmente atea.

“Finora molte espressioni sociali e culturali erano permeate da una dimensione religiosa. È andata crescendo, invece, l’irrilevanza sociale di ciò che è religioso, che rende più difficili e lunghi i ritmi della maturazione della fede, come conoscenza dei suoi contenuti e, ancor più, come pratica di vita. E questo sia per i giovani delle nostre opere che per i giovani salesiani in formazione.

Essere cristiani – ossia, vivere l’opzione battesimale – in una società pluralista, diviene una modalità sociale tra tante altre, con lo stesso diritto di cittadinanza. Può affiorare così un clima di relativismo, di offuscamento degli ideali tradizionali, di perdita del senso della vita: molti giovani sembra che galleggino alla deriva su un’imbarcazione senza bussola. Perdono la prospettiva del trascendente, che è il traguardo della fede, e si chiudono in piccole risposte sul senso della vita, assolutamente insufficienti per le grandi ansie del cuore umano. Le stesse risposte che la scienza intende offrire loro risultano carenti nell’ottica della ricerca di significato, perché non si riferiscono alla finalità ultima della vita e al senso globale della storia.”[36]

Questa secolarizzazione si manifesta nella vita religiosa con un triplice volto. Infatti, può assumere la forma di:

a) Perdita di trascendenza: quando viene meno la fede come orizzonte della vita e della vocazione, che si riduce a mero progetto umano, e svanisce la consacrazione dell’uomo centrato in Dio.[37]

b) Antropocentrismo: si mettono in discussione le forme di comunità interumana, le tipologie di amore, l’esistenza di un’amicizia feconda che non sia in funzione del sesso e della vita umana.

c) Prassi socioeconomica: che porta a vivere con passione l’idea che l’uomo si realizzi nel lavoro creativo volto a dominare il mondo e produrre i beni necessari alla vita, riducendo la missione a semplice impegno sociale.

A mio avviso, su questa visione secolarizzata della vita religiosa ha influito anche una lettura teologica del principio dell’incarnazione piuttosto riduttiva, che ha enfatizzato il primo termine, quello del “quod non assumptum” di Ireneo, al punto da relegare in secondo piano o trascurare completamente la novità che ci proviene da Dio attraverso l’Incarnazione.

3.1.2 Crisi interna
Naturalmente, la crisi della vita religiosa non scaturisce esclusivamente da fattori esterni, sebbene dobbiamo riconoscere che questi la condizionino in modo significativo, ma emerge dall’interno della stessa, sollevando le seguenti problematiche:

a) Il problema del fondamento biblico: sembrerebbe che la vita religiosa non abbia un fondamento diretto nel Vangelo, poiché ciò che Gesù ha chiesto è valido per tutti coloro che credono in Lui.

b) La rivalorizzazione del matrimonio: il valore santificante che si riconosce sempre più all’amore umano potrebbe indurre a ritenere che la vita religiosa abbia perso il suo significato, considerando che ogni persona è chiamata alla santità, non solamente il religioso.

c) Il superamento delle strutture antiche: la vita religiosa ha corso il rischio di confinare i suoi membri in una rete di precetti e norme assolute che non sempre favoriscono la maturazione e una vita ispirata alla libertà dei figli di Dio.[38]

3.1.3 Identità della vita religiosa
Di fronte alla situazione attuale, dobbiamo chiederci con sincerità quale sia il nostro compito. Invece di proclamare ovunque la fine o l’insensatezza della vita religiosa nel mondo contemporaneo, è giunto il momento di creare o ricreare quelle strutture che rispondono meglio al Vangelo, che ci permettono di approfondire le esigenze dell’amore fraterno, della testimonianza apostolica, della semplicità e della donazione di Gesù. In sintesi, è tempo di recuperare la specificità della vita religiosa, ciò che può renderla credibile, efficace e significativa: la sequela Christi.

Risulta dunque indispensabile ridefinire l’identità della vita religiosa, che non si fonda sui voti, né sulle Costituzioni, né sull’abito, e neppure sulla missione, bensì sul religioso stesso e sul suo peculiare rapporto con Cristo. Si tratta di comprendere ciò che un religioso è, poiché i religiosi hanno ‘qualcosa di speciale’ da offrire al mondo e alla Chiesa, e proprio in quel “qualcosa di speciale’ risiede la loro significatività.[39]

Per un certo periodo abbiamo ritenuto che la nostra identità si trovasse nei voti di povertà, castità e obbedienza. Tuttavia, sappiamo che “la vita evangelica” non è esclusiva dei religiosi.

L’abito e l’osservanza di determinate regole di vita offrivano in passato un tipo di identità riconoscibile, e la perdita di questi elementi negli ultimi anni è stata dolorosa per molti. Eppure, al di là della propria posizione personale – liberale, conservatrice o moderata – è evidente che i religiosi non devono cercare la propria identità nei segni esteriori.

Molti ritengono che l’identità della vita religiosa scaturisca dall’apostolato che una comunità svolge nel mondo e nella Chiesa. Tuttavia, anche in questo caso dobbiamo essere realisti: il lavoro che facciamo può essere svolto dai laici. Anzi, spesso i laici sono più professionali dei religiosi, i quali scoprono che nemmeno qui si trova quel “qualcosa di speciale” che la vita religiosa è chiamata ad offrire alla Chiesa e alla società.

Per definire l’identità della vita religiosa occorre rivolgersi a Dio che ci ha chiamati: il Dio di Gesù, il Dio del Nuovo Testamento, il Dio-Amore. Gesù Parola (Logos), vale a dire tutta la sua vita, e le sue parole costituiscono la rivelazione di Dio e fondano la vita religiosa. Più che cercare nella Scrittura alcuni testi che giustifichino la vita religiosa, è necessario guardare e contemplare Gesù, che ha inaugurato un nuovo modo di essere uomo. Il Vangelo di Giovanni lo esprime magistralmente con una serie di testi che formano un ‘continuum’:

– Abbiamo conosciuto l’amore del Padre nell’invio che ci ha fatto del suo Figlio, proprio perché ama il mondo e non vuole la sua morte ma la sua vita (cfr. Gv 3,16).

Gesù di Nazaret è il figlio che amò i suoi fino all’estremo (cfr. Gv 13,1) e offrì sé stesso nel più grande atto di amore per loro: dare la propria vita affinché essi la potessero avere in abbondanza (cfr. Gv 15,13).

– I discepoli di Gesù devono amarsi gli uni gli altri per mostrare al mondo che sono suoi discepoli (cfr. Gv 13,35).

– I cristiani, a loro volta, che sentiranno parlare di questo Dio-Amore attraverso la predicazione dei discepoli, devono essere uno nell’amore “affinché il mondo conosca che tu mi hai inviato e li hai amati come hai amato me” (cfr. Gv 17,27).

– In sintesi, la vita cristiana deve necessariamente distinguersi per la qualità dell’amore, così da manifestare ed essere testimone del Dio che è Amore (cfr. 1Gv 4,7-12).

La perfezione nell’amore è dunque la vocazione di ogni cristiano e di ogni essere umano. Ed è anche questa la missione dei religiosi nel contesto della chiamata universale alla santità.

Il compito della comunità religiosa, nel cuore della Chiesa, non è acquisire un surplus di santità o di perfezione rispetto ai non religiosi, ma assicurare che questa buona novella del Dio-Amore predicata diventi realtà concreta. A ciò si obbligano pubblicamente con voto, e questa missione – con la responsabilità di incarnarla nella vita – viene accolta dalla comunità cristiana.

Pertanto, solo una vita caratterizzata dall’amore avrà la forza di rivelarsi e diventare credibile, come dimostrano i sommari della vita della comunità di Gerusalemme (Atti 2,42-48; 4,32-35; 5,12-16), e susciterà negli altri l’interrogativo sul perché di questa nostra vita. Allora l’unica risposta possibile e valida sarà: “a causa del Dio in cui crediamo”.[40]

3.2 Prospettive di futuro
Ripercorrendo il cammino della Congregazione, abbiamo già osservato che il cambiamento non è stato sempre lineare né pacifico, ma sottoposto, com’è naturale, a verifiche, correzioni e perfezionamenti. La resistenza più forte non è stata mai verso il rinnovamento delle Costituzioni o delle strutture di governo, e neppure delle pratiche pastorali, bensì verso il rinnovamento spirituale che comportava, e continua a comportare oggi più di ieri, una profonda conversione.

I sessant’anni di trasformazioni hanno configurato una nuova forma di vita religiosa salesiana e disponiamo già degli otri nuovi (abbiamo una nuova evangelizzazione, una nuova scuola, una nuova educazione, un nuovo modello pastorale, una nuova formazione). Gradualmente si è venuto producendo anche il vino nuovo (il nuovo evangelizzatore, il nuovo educatore, il nuovo agente pastorale, il nuovo salesiano).

Forse talvolta ci sentiamo a disagio di fronte all’uso dell’aggettivo “nuovo/a” per qualificare realtà che credevamo conosciute, soprattutto per le conseguenze pratiche che ciò comporta: la necessità di rinnovarci spiritualmente, aggiornarci professionalmente e qualificarci pedagogicamente. Tuttavia, la novità non è, almeno in questo caso, una ricerca di snobismo, bensì un rispetto verso la novità dei contesti, delle realtà e dell’essere umano. È evidente che oggi ci confrontiamo con un uomo culturalmente nuovo. Ciò significa che la novità ci viene imposta dall’esterno e ci sfida.

Oggi la preoccupazione della vita religiosa in generale, e della Congregazione in particolare, non può essere quella di sopravvivere, ma di creare una presenza significativa ed efficace. Non si tratta quindi di sopravvivenza, ma di profezia. Dobbiamo essere segni di un Dio che non è nemico ma promotore dell’uomo, che è origine di una nuova umanità fondata sull’amore (cfr. C. 62). “Ciò comporta di dare vita ad una presenza che sollevi interrogativi, dia ragioni di speranza, convochi persone, susciti collaborazione, attivi una comunione sempre più feconda, per realizzare insieme un progetto di vita e di azione secondo il Vangelo.”[41]

In breve, ciò che si desidera è una forma di vita che dia priorità alla dimensione profetica, che privilegi le persone più delle strutture, che risulti affascinante e attraente.

Parafrasando P. Karl Rahner nel suo testamento spirituale, possiamo affermare che il futuro della vita religiosa passa attraverso la sua forza mistica, la sua nitida e salda esperienza e testimonianza di Dio, superando ogni forma di imborghesimento, apatia e mediocrità. La vita religiosa è sorta e ha senso solo come segno della ricerca di Dio e come testimonianza di averlo trovato. Altrimenti si perverte e, invece di essere un progetto di vita, si riduce a uno stato di vita, privo di dinamismo e rilevanza.

La sua missione è quella di essere metafora e simbolo (segni e portatori dell’amore di Dio, specialmente in favore dei più bisognosi di fare esperienza che Dio esiste, che li ama, e che Dio è Amore), coniugando l’apertura a tutto ciò che è buono, amabile, nobile e gratuito, alla contemplazione, con l’impegno di avvicinarsi agli esclusi e a coloro che lottano per la dignità della persona umana.

Quando i Superiori Generali hanno deciso di affrontare il tema della rifondazione della vita religiosa[42], erano mossi dalla consapevolezza che c’è bisogno del ‘vino nuovo’ per gli ‘otri nuovi’. Sembrerebbe quasi un’eco dell’appello lanciato dal Concilio Vaticano II, con la differenza che adesso la richiesta è più pressante e risuona dall’interno come chiamata urgente a ritornare alle origini della Congregazione e a recuperare la sua ‘originalità’; ad andare incontro all’essenziale, dove la ‘missione’ non si riduce alle opere né si identifica con l’attività che, talvolta, invece di rivelare, vela e occulta significati e motivazioni profonde.

Le immagini della ‘luce’, del ‘sale’ e del ‘lievito’, utilizzate da Gesù nel Vangelo per definire la natura e la missione dei discepoli, sono rivelatrici e impegnative. Semplicemente bisogna ‘essere’ per avere significato e rilevanza. Ma se il sale perde il suo sapore, o se si mette la luce sotto il moggio, o se il lievito non ha forza per fermentare, non servono a nulla. Hanno perso la ragione del loro essere.

La forza della vita religiosa si radica nel suo carattere contro-culturale, sovversivo rispetto all’imborghesimento e allo sviluppo illimitato ma privo di trascendenza. Ancora una volta, il problema è quello dell’identità e dell’identificazione, non più dipendente dall’abito o dalle strutture, ma da una forte esperienza di Dio che trasformi profondamente la nostra vita e la rivoluzioni, e da una comunità dove si cominci a vivere con novità di vita e con modelli alternativi alla cultura dominante.

“Non conformatevi alla mentalità di questo secolo – scrisse Paolo ai Romani – ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (12,2).

In questa stessa linea, desidero concludere delineando cinque prospettive di futuro, già oggetto di profonda riflessione e studio da parte degli ultimi Rettori Maggiori nelle loro lettere. Questi ambiti necessitano ancora di rinnovamento per avviarci verso questa nuova fase storica, ricca di sfide significative ma anche di straordinarie opportunità, con energia rinnovata e chiarezza progettuale:

1. Il rinnovamento spirituale di ogni salesiano: implica un ritorno all’essenza della nostra vocazione: Dio e il suo Regno. Dio deve rappresentare la nostra primaria ‘occupazione’. È Lui che ci invia e ci affida i giovani affinché li aiutiamo a maturare fino a raggiungere la statura di Cristo, l’uomo perfetto. Per noi, il recupero della spiritualità non può essere separato dalla missione, se vogliamo evitare il rischio dell’evasione. Dio ci attende nei giovani per donarci la grazia di un incontro con Lui (cf. C. 95; CG23). Diventa quindi inconcepibile e ingiustificabile che la ‘missione’ possa costituire un ostacolo all’incontro con Dio e alla coltivazione dell’intimità con Lui.

2. La consistenza delle comunità: la qualità della vita comunitaria e dell’azione educativo-pastorale richiedono una solida consistenza sia quantitativa che qualitativa della comunità salesiana. Tutte le proposte volte a rendere formativo il quotidiano e a migliorare metodologie, attività o contenuti si scontrano inevitabilmente con le possibilità reali della comunità. Per noi, la comunità rappresenta un elemento fondamentale di professione, insieme ai voti e alla missione. Più profondamente, costituisce l’ambito in cui dobbiamo vivere la spiritualità, la missione e i voti. Non possiamo quindi persistere nella pretesa di risolvere ogni problema a discapito del carisma.

3. La risignificazionedella presenza: rappresenta un’esigenza sia della comunità che della missione, mirando alla qualità di entrambe. In passato, quando si parlava di “ridimensionamento”, l’accento veniva posto sulla chiusura di opere o sul loro affidamento ad altri membri della Famiglia Salesiana. Oggi, invece, mentre si ribadisce che il “ridisegno” costituisce un compito inevitabile se non vogliamo indebolire le comunità e sovraccaricare i confratelli, l’enfasi ricade sulla “significatività” e sul ridisegno della presenza salesiana nel territorio. Questa non si limita all’opera, ma rappresenta piuttosto un modo di essere, lavorare e organizzarsi che mira non solo all’efficacia (rispondere ai bisogni dei destinatari), ma anche a generare senso, aprire prospettive, coinvolgere persone e promuovere risposte innovative. In altre parole, come Gesù, creare ‘segni’ che suscitino partecipazione – e nulla è più potente dell’essere Salesiani appassionati per Gesù Cristo e dedicati ai giovani. È un invito a ricollocare l’Ispettoria dove i bisogni dei giovani sono più urgenti e dove la nostra presenza diventa più feconda. Dobbiamo quindi essere consapevoli che la nostra vita consacrata non sarà onnipresente, e in molti contesti neppure socialmente rilevante, ma continuerà ad essere necessaria per la comunità cristiana nella misura in cui sia segno autentico del Regno venturo.

4. La qualità della proposta educativo-pastorale: il percorso finora intrapreso è stato, almeno in molte realtà, caratterizzato dall’espansione e moltiplicazione delle opere, compromettendo talvolta la qualità della nostra attività, poiché si è finito per privilegiare l’aspetto amministrativo su quello pastorale, o il mantenimento e la costruzione di strutture più che la chiarezza e serietà del progetto educativo-pastorale. Oggi siamo chiamati a sviluppare forme più intense di evangelizzazione, a concentrarci sulla maturazione umana e sull’educazione alla fede, a formare adeguatamente i nostri collaboratori, a integrare la comunità educativo-pastorale e, insieme ad essa, elaborare e realizzare un progetto condiviso. Questo è parte essenziale della significatività.

5. La formazione del salesiano: la complessità delle situazioni contemporanee, le sfide poste dai giovani, l’esigenza della nuova evangelizzazione e il compito dell’inculturazione richiedono naturalmente una formazione adeguata a questa vita rinnovata, capace di abilitare il salesiano a vivere con dinamismo e solidità la propria vocazione, a svolgere con professionalità e competenza la missione, ad assimilare personalmente l’identità carismatica, che non è altro che appropriarsi del dono ricevuto da Dio nella chiamata. Il documento sulla formazione nella Vita Consacrata afferma con chiarezza: “Il rinnovamento degli istituti religiosi dipende principalmente dalla formazione dei loro membri.”[43] Questa rappresenta, a mio avviso, la sfida più grande che la Congregazione deve affrontare oggi, alla quale ha inteso rispondere con l’elaborazione della nuova Ratio.[44]

Non ritengo si debba riproporre l’interrogativo degli anni ‘70, emerso dopo il Concilio: “Vita Religiosa ancora?”. Una simile domanda, anche dal punto di vista antropologico, appare priva di senso. La Chiesa e il Mondo necessitano di persone che facciano professione di incarnare l’interesse per l’Assoluto, per l’essenziale, e che costituiscano una riserva di umanesimo, un segno potente, eloquente e radicale della “sequela Christi”. Questo è quanto il Concilio Vaticano II auspicava e si attendeva dalla vita religiosa. Questo è stato l’obiettivo della Congregazione durante questi ultimi 60 anni: essere fedeli a Cristo e a Don Bosco con una fedeltà dinamica e vitale.

Roma, Maggio 2025
Pascual Chávez V., SDB


[1] VECCHI J. E., “Pastorale, Educazione, Pedagogia nella Prassi Salesiana”, in Il Cammino e la Prospettiva 2000, dal Dicastero per la Pastorale Giovanile – SDB. Roma, 1991, Pp. 8.9. L’articolo è molto interessante, anche se prende in considerazione soltanto l’evoluzione postconciliare nella realizzazione della missione salesiana.

[2] ACG 319 (1986), p. 4.

[3] Cf. SCHNEIDERS Sandra M., Finding the Treasure. Religious Life in a New Millennium. Mahwa, N.J. 2000. Pp. 13-17.

[4] VECCHI, “Pastorale…”, 9.

[5] VIGANÒ Egidio, Il Capitolo Generale XXII, ACS 305 p. 7.

[6] Ibidem.

[7] VIGANÒ Egidio, ACS 305 p. 9.

[8] Cf. RICCERI Luigi, Lettera del Rettore Maggiore (ACS, 25. Pp. 3-9); Relazione Generale sullo Stato della Congregazione. Capitolo Generale Speciale. Roma, 1971. CGS Documenti. Vol. I Orientamenti. Roma, 1971.

[9] RICCERI Luigi, Lettera del Rettor Maggiore, ACS 254 p. 6.

[10] Cf. WIRTH Morand, Da Don Bosco ai nostri giorni. Tra storia e nuove sfide (1815-2000). Roma, 2000. P. 452.

[11] Cf. Relazione, pp. 5-6, 19-21, 33-42.

[12] Cf. WIRTH, Da Don Bosco, 452-454.

[13] Cf. RICCERI Luigi, Convocazione del Capitolo Generale 21 (ACS, 283 pp. 3-11); Relazione Generale sullo Stato della Congregazione al CG21. Roma, 1977; Documenti Capitolari. Roma, 1978.

[14] VECCHI Juan E., “Verso una nuova tappa di pastorale giovanile salesiana” in Il Cammino e la Prospettiva 2000. A cura del Dicastero per la Pastorale Giovanile – SDB. Roma, 1991 pp. 46-47.

[15] VECCHI, “Verso…”, pp. 70-71.82; WIRTH, Da Don Bosco, 471.

[16] Cf. VIGANÒ E., Il Capitolo Generale XXII (ACS, 305 pp. 5-20); La Società di San Francesco di Sales nel sessennio 1978-1983. Relazione del Rettor Maggiore al CG22. Roma, 1983; Documenti del CG22 (Orientamenti Operativi). Roma, 1984.

[17] Capitolo Generale 22 della Società di San Francesco di Sales. Documenti. Roma, 1984 p. 19.

[18] Cf. WIRTH, Da Don Bosco, 468.

[19] Cf. VIGANO Egidio, Convocazione del Capitolo Generale 23 (ACG, 327 pp. 3-25); La Società di San Francesco di Sales nel sessennio 1984-1990. Relazione del Rettor Maggiore. Roma, 1990. Educare i Giovani alla Fede. Documenti Capitolari. Roma, 1990.

[20] WIRTH, Da Don Bosco, 483-484.

[21] Cf. VIGANÒ Egidio, Convocazione del Capitolo Generale 24 (ACG, 350 pp. 3-33). VECCHI Juan E., La Società di San Francesco di Sales nel sessennio 1990-95. Relazione del Vicario del Rettor Maggiore. Roma, 1996. Salesiani e Laici: comunione e partecipazione nello spirito e nella missione di Don Bosco. Documento Capitolare. Roma, 1996.

[22] Cf. VECCHI Juan E., Verso il Capitolo Generale 25 (ACG, 372 pp. 3-39).

[23] LIPOVETSKY G., La era del vacío, Barcelona, 41990, citado por Albuquerque E., Cuadernos de Formación Permanente, CCS. Madrid, 2001 p. 97.

[24] VECCHI, Verso…, 14.

[25] P. Chávez, “Testimoni della radicalità evangelica”. Chiamati a vivere in fedeltà il progetto apostólico di Don Bosco. “Lavoro e Temperanza”, ACG 413 (2012) 5. La corsiva è mia

[26] “Solo attraverso la conversione si arriva ad essere cristiano; ciò è valido tanto per tutta l’esistenza dell’individuo quanto per la vita della Chiesa” (Benedetto XVI, “Warum ich noch in der Kirche bin”, en Id., Grundsatzreden aus fünf Jahrzehten, Regensburg 2005, 105-107).

[27] Giovanni Paolo II,Vita Consecrata, 18.

[28] “Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più.” (Benedetto XVI,  Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall’arcivescovo Lefebvre, Vaticano, 20 marzo 2009. Cfr. http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/letters/2009/documents/hf_ben-xvi_let_20090310_remissione-scomunica_it.html

[29] Chávez, “Testimoni”, 8.22.

[30] Chávez, “Testimoni”, 19.

[31] Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, N. 38

[32] Ibidem.

[33] Ibidem.

[34] VECCHI, “Pastorale”, 8.

[35] SCHNEIDERS, Finding. xxiii.

[36] VIGANÒ E., ACG 339 pp. 12-13.

[37] Cf. BARTOLOMÉ Juan José, “Malestar de la fe, ¿en la vida consagrada? Una cuestión previa a la evangelización”, Salesianum 62 (2000), 147-164.

[38] Cf. PIKAZA X., Esquema teológico de la Vida Religiosa. Ediciones Sígueme, Salamanca 1978, pp. 29-44.

[39] Cf. CENCINI A., “Identidad y Misión de la Vida Consagrada”, Confer 154 (2001), 251-268.

[40] Cf. MOLONEY Francis J., Disciples and Prophets: A Biblical Model for the Religious Life. Edited by Darton, Longman and Todd in London, 1980.

[41] VECCHI Juan E., Esperti, testimoni e artefici di comunione. ACG 363, 21. Non è indifferente che lo stesso Don Vecchi citi questo testo nella sua lettera di convocazione del CG25, ACG 372, 30.

[42] Cf. AA.VV., Per una fedeltà creativa. Rifondare: ricollocare i carismi, ridisegnare la presenza. Il Calamo. Roma, 1999, che raccoglie il 54° Convenius Semestralis della USG, ad Ariccia nel mese di novembre 1998.

[43] Potissimum Institutioni, 1.

[44] La Formazione dei Salesiani di Don Bosco. Principi e Norme. Ratio Institutionis et Studiorum. Quinta Edizione. Roma, 13 gennaio 2025.