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            Per l’educazione dei suoi giovani Don Bosco si servì molto della musica. Sin da ragazzo amava il canto. Avendo egli una bella voce, il Sig. Giovanni Roberto, capo-cantore della parrocchia, gli insegnò il canto fermo. In pochi mesi Giovanni poté salire sull’orchestra ed eseguire parti musicali con ottimo risultato. Nello stesso tempo incominciò ad esercitarsi a suonare una “spinetta”, che era lo strumento a corde pizzicate a mezzo di tastiera, ed anche il violino (MB I, 232).
            Sacerdote a Torino, fece da maestro di musica ai suoi primi oratoriani, formando a poco a poco dei veri cori che attiravano, con il loro canto, la simpatia degli ascoltatori.
            Dopo l’apertura dell’ospizio, avendo ormai ragazzi interni, iniziò la scuola di canto gregoriano e, con il tempo, portò pure i suoi piccoli cantori nelle chiese della città e fuori Torino ad eseguire il loro repertorio.
            Egli stesso compose lodi sacre come quella a Gesù Bambino, “Ah, si canti in suon di giubilo…”. Avviò pure allo studio della musica alcuni suoi discepoli, tra i quali si distinse don Giovanni Cagliero, che poi si rese celebre per le sue creazioni musicali guadagnandosi la stima degli esperti. Nel 1855 Don Bosco organizzò la prima banda strumentale dell’Oratorio.
            Non andava, tuttavia, avanti alla buona Don Bosco! Già negli anni ’60 incluse in un suo Regolamento un capitolo sulle scuole serali di musica, nel quale diceva, fra l’altro:
“Da ogni allievo musico si esige formale promessa di non andare a cantare né a suonare nei pubblici teatri, né in altro trattenimento in cui possa essere compromessa la Religione ed il buon costume” (MB VII, 855).

La musica dei ragazzi
            Ad un religioso francese che aveva fondato un Oratorio festivo e gli chiedeva se conveniva insegnare la musica ai ragazzi, rispose: “Un Oratorio senza musica è come un corpo senz’anima!” (MB V, 347).
            Don Bosco parlava il francese abbastanza bene sia pure con una certa libertà di grammatica e di espressione. In proposito riuscì celebre una sua risposta sulla musica dei ragazzi. L’Abate L. Mendre di Marsiglia, Curato della parrocchia di San Giuseppe, gli portava grande affetto. Un giorno gli sedeva a fianco durante un trattenimento nell’Oratorio di San Leone. I piccoli musici facevano ogni tanto qualche stecca. L’abate, che di musica se ne intendeva assai, friggeva e scattava ad ogni stonatura. Don Bosco gli sussurrò all’orecchio nel suo francese: “Monsieur Mendre, la musique de les enfants elle s’écoute avec le coeur et non avec les oreilles” (Signor abate Mendre, la musica dei ragazzi si ascolta con il cuore e non con le orecchie). L’abate ricordò poi infinite volte quella risposta, che rivelava la saggezza e la bontà di Don Bosco (MB XV, 76 n.2).
            Tutto questo non significa, però, che Don Bosco anteponesse la musica alla disciplina nell’Oratorio. Era sempre amabile ma non passava facilmente sopra alle mancanze di obbedienza. Per alcuni anni aveva permesso ai giovani bandisti che nella festa di Santa Cecilia andassero in luogo da lui designato a fare una passeggiata ed un pranzetto campestre. Ma nel 1859, a causa di accaduti inconvenienti, cominciò a proibire tale svago. I giovani non protestarono apertamente, ma una metà di essi, sobillati da un capo che aveva loro promesso di ottenerne licenza da Don Bosco, e sperando impunità, si decisero di uscire ugualmente dall’Oratorio ed organizzare di loro iniziativa un pranzo fuori casa prima della Festa di Santa Cecilia. Avevano preso questa decisione pensando che Don Bosco non se ne sarebbe accorto e non avrebbe preso provvedimenti. Si recarono, quindi, negli ultimi giorni di ottobre, a pranzare in una vicina trattoria. Dopo il pranzo andarono ancora a girovagare in città ed alla sera ritornarono a cenare nello stesso posto, rientrando poi a Valdocco mezzo brilli a notte tarda. Solo il sig. Buzzetti, invitato all’ultimo momento, si era rifiutato di unirsi a quei disubbidienti e ne avvertì Don Bosco. Questi, con tutta calma, dichiarò sciolta la banda musicale e ordinò al Buzzetti di ritirare e chiudere a chiave tutti gli strumenti e pensare a nuovi allievi da avviare alla musica strumentale. All’indomani mattina, poi, mandò a chiamare ad uno ad uno tutti i musici riottosi rammaricandosi con ciascuno di loro che lo costringevano ad essere molto severo. Poi li rimandò dai loro parenti o tutori raccomandandone qualcuno più bisognoso in opifici cittadini. Solo uno di quei birichini fu poi riaccettato perché Don Rua aveva assicurato Don Bosco trattarsi di un ragazzo inesperto che si era lasciato ingannare dai compagni. E Don Bosco lo tenne ancora qualche tempo in prova!
            Ma con i dispiaceri non bisogna dimenticare le consolazioni. Il 9 giugno 1868 fu una data memorabile nella vita di Don Bosco e nella storia della Congregazione. La nuova Chiesa di Maria Ausiliatrice, da lui fatta costruire con immensi sacrifici, veniva finalmente consacrata. Chi fu presente ai solennissimi festeggiamenti ne rimase profondamente commosso. Una folla strabocchevole stipava la bella chiesa di Don Bosco. L’Arcivescovo di Torino, Mons. Riccardi, compì il solenne rito della consacrazione. Alla funzione serale del giorno seguente, durante i Vespri solenni, il coro di Valdocco intonò la grandiosa antifona musicata da don Cagliero: Sancta Maria succurre miseris. La folla dei fedeli ne rimase elettrizzata. Tre cori poderosi l’avevano eseguita in modo perfetto. Centocinquanta tenori e bassi cantavano nella navata presso l’altare di San Giuseppe, duecento soprani e contralti stavano in alto lungo la ringhiera sotto la cupola, un terzo coro, composto di altri cento tenori e bassi, erano collocati sull’orchestra che allora sovrastava il fondo della chiesa. I tre cori, collegati da un congegno elettrico, mantenevano la sincronia ai comandi del Maestro. Il biografo, presente all’esecuzione, ebbe poi a scrivere:
            “Nel momento in cui tutti i cori riuscirono a fare una sola armonia, si provò una specie di incantesimo. Le voci si collegavano insieme e l’eco le rimandava per tutte le direzioni in modo che l’uditorio si sentiva immerso in un mare di voci, senza che potesse discernere come e donde veniva. Le esclamazioni, che si udirono poi, indicavano come tutti si fossero sentiti soggiogati da così alta maestrìa. Don Bosco stesso non poté trattenere l’intensa commozione. Ed egli che mai in chiesa, durante la preghiera, si permetteva di dire una parola, rivolse gli occhi umidi di pianto ad un canonico suo amico e a bassa voce gli disse: “Caro Anfossi, non ti pare di essere in Paradiso?” (MB IX, 247-248).

P. Natale CERRATO
Salesiano di don Bosco, missionario in Cina dal 1948 al 1975, studioso di don Bosco e di salesianità, ha scritto vari libri e articoli, svolgendo un prezioso lavoro di divulgazione della vita e delle opere del Santo dei giovani. Entrato nell'eternità dal 2019.