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Alexandre Planas Saurì, nato a Mataró (Barcellona) nel 31 di dicembre 1878, è stato un laico collaboratore dei salesiani fino alla sua gloriosa morte come martire a Garraf (Barcellona) il 19 novembre 1936. La sua beatificazione avvenne insieme con altri salesiani e membri della famiglia salesiana, l’11 marzo del 2001, da parte di papa san Giovanni Paolo II.


            Nell’elenco dei martiri spagnoli beatificati da Giovanni Paolo II l’11 marzo 2001, c’è il laico Alexandre PLANAS SAURÌ. Il suo nome fa parte dei martiri salesiani dell’Ispettoria Tarraconense, sottogruppo di Barcellona. Le testimonianze sulla sua vita usano anche la parola “della famiglia” o “cooperatore”, ma tutte lo definiscono come “un autentico salesiano”. Il villaggio di Sant Vicenç dels Horts, dove visse per 35 anni, lo conobbe con il soprannome di “El Sord”, “El Sord dels Frares (Il Sordo dei frati)”. E questa è l’espressione che compare sulla bella lapide della Chiesa Parrocchiale, posta proprio su un lato della parte posteriore, nel punto preciso in cui si trovava Alexandre quando andava a pregare.
            La sua vita fu interrotta nella notte tra il 18 e il 19 novembre 1936 insieme a quella di un salesiano coadiutore, Eliseo García, che rimase con lui per non lasciarlo solo, poiché Alexandre non voleva abbandonare il villaggio e cercare un posto più sicuro. In poche ore entrambi furono arrestati, condannati dal comitato anarchico del comune, e portati sulle rive del Garraf, sul Mediterraneo, dove furono fucilati. I loro corpi non furono ricuperati. Alexandre aveva 58 anni.
            Questa è una nota che avrebbe potuto far parte della pagina degli eventi di qualsiasi giornale e cadere nel più assoluto oblio. Ma non è stato così. La Chiesa ha proclamato entrambi beati. Per la Famiglia Salesiana sono stati e saranno sempre “segni di fede e di riconciliazione”. In queste pagine si farà riferimento al sig. Alexandre. Chi era quest’uomo che la gente soprannominava “el Sord dels Frares”?

Le circostanze della sua vita
            Alexandre Planas Saurì nacque a Mataró (provincia di Barcellona) nel 1878, sei anni prima che il treno che portava don Bosco a Barcellona (per visitare e incontrarsi con i salesiani e i giovani della casa di Sarriá) si fermasse alla stazione di questa città, per prelevare la signora Dorotea de Chopitea e i Martí Codolar che desideravano accompagnarlo nell’ultimo tratto del viaggio verso Barcellona.
            Della sua infanzia e adolescenza si sa molto poco. Ricevette il battesimo nella parrocchia più popolare della città, San Giuseppe e San Giovanni. Era, senza dubbio, un ragazzo assiduo nelle celebrazioni domenicali, nelle attività e nelle feste della parrocchia. A giudicare dalla traiettoria della sua vita successiva, fu un giovane che seppe sviluppare una solida vita spirituale.
            Alexandre aveva una notevole menomazione fisica: era totalmente sordo e aveva un corpo sgraziato (basso di statura, con il corpo curvo). È sconosciuta la circostanza che lo ha portato a Sant Vicenç dels Horts, una città a circa 50 km dalla sua città natale. La verità è che nel 1900 era tra i salesiani della piccola città di Sant Vicenç come impiegato nelle attività quotidiane della casa salesiana: il giardino, le pulizie, l’agricoltura, le commissioni… Un giovane uomo di ingegno e laborioso. E, soprattutto, “buono e molto pio”.
            La casa di Sant Vicenç dels Horts fu acquistata da don Filippo Rinaldi, già ispettore di Spagna, nel 1895, per ospitare il noviziato e gli studi di filosofia che dovevano essere fatti in seguito. Fu il primo centro di formazione dei salesiani in Spagna. Alexandre vi arrivò nel 1900 come dipendente, guadagnandosi subito la stima di tutti. Si sentiva molto a suo agio, pienamente integrato nello spirito e nella missione di quella casa.
            Alla fine dell’anno scolastico 1902-1903, la casa subì un forte cambiamento di orientamento. Il Rettor Maggiore, don Michele Rua, aveva creato le tre province della Spagna. Quelle di Madrid e di Siviglia decisero di organizzare la formazione nelle rispettive province. Anche quella di Barcellona trasferì il noviziato e la filosofia a Girona. La casa di Sant Vicenç dels Horts restò praticamente vuota in pochi mesi, abitata solo dal signor Alexandre.
            Da quell’anno, fino al 1931 (28 anni!), divenne il guardiano di quella casa: non solo della proprietà, ma soprattutto delle tradizioni salesiane che in pochi anni si erano radicate fortemente nella popolazione. Una presenza e un lavoro benevoli, vivendo come un anacoreta, ma per nulla estraneo agli amici della casa che lo proteggevano, ai malati del paese che visitava, alla vita parrocchiale che frequentava, ai parrocchiani che edificava con l’esempio della sua pietà, e ai bambini della catechesi parrocchiale e dell’oratorio festivo che animava insieme a un giovane del paese, Joan Juncadella, con il quale strinse una forte amicizia. Distante e vicino allo stesso tempo, con non poca influenza sulle persone. Un personaggio singolare. Il referente dello spirito salesiano nel villaggio. “El sord dels frares”.

L’uomo

            Alexandre, una persona disabile e sorda, ma che capiva i suoi interlocutori grazie al suo sguardo penetrante, dal movimento delle labbra, rispondeva sempre con lucidità, anche se a bassa voce. Un uomo dal cuore buono e luminoso: “Un tesoro posto in un brutto vaso di terracotta, ma noi, i bambini, siamo stati in grado di percepire perfettamente la sua dignità umana”.
            Si vestiva poveramente, sempre con la borsa a tracolla sulla spalla, a volte accompagnato da un cane. I salesiani lo lasciarono stare in casa. Poteva vivere con ciò che l’orto produceva e l’aiuto che riceveva da alcune persone. La sua povertà era esemplare, più che evangelica. E se aveva qualcosa di troppo, lo dava ai poveri. Con queste abitudini di vita, svolgeva il compito di custode della casa con assoluta fedeltà.
           Accanto all’uomo fedele e responsabile, appare l’uomo buono, umile, sacrificato, di una amabilità invincibile, anche se ferma. “Non permetteva che si parlasse male di nessuno”. Fino a questo giungeva la delicatezza del suo cuore. “Il consolatore di tutte le famiglie”. Un uomo dal cuore trasparente, di retta intenzione. Un uomo che si faceva amare e rispettare. La gente era con lui.

L’artista
            Alexandre aveva anche un’anima d’artista. Di artista e di mistico. Isolato dai rumori esterni, viveva assorto in una costante contemplazione mistica. E riusciva a cogliere nella materia i sentimenti più intimi della sua esperienza religiosa, che quasi sempre ruotava attorno alla passione di Gesù Cristo.
            Eresse nel cortile della casa tre monumenti ben visibili: Cristo inchiodato alla croce, la deposizione nelle mani di Maria e il santo sepolcro. Tra i tre, spiccava la croce che presiedeva il cortile. I passeggeri del treno che correva accanto alla fattoria potevano vederlo perfettamente. D’altra parte, allestì un piccolo laboratorio in una delle dipendenze della casa dove eseguiva gli ordini che riceveva o piccole immagini con cui soddisfaceva i gusti della pietà popolare e che distribuiva gratuitamente tra i vicini.

Il credente
            Ma ciò che dominava la sua personalità era la sua fede cristiana. La professava nell’intimo del suo essere e la manifestava con totale chiarezza, a volte anche ostentatamente, professandola in pubblico. “Un vero santo”, un “uomo di Dio”, diceva la gente. “Quando arrivavamo alla cappella al mattino o al pomeriggio trovavamo sempre, immancabilmente, Alexandre che pregava, in ginocchio, facendo le sue pratiche di pietà”. “La sua pietà era profondissima”. Un uomo totalmente aperto alla voce dello Spirito, con la sensibilità che possiedono i santi. La cosa più ammirevole di quest’uomo era la sua sete e fame di Dio, “cercando sempre più spiritualità”.
            La fede di Alexandre si apriva anzitutto al mistero di Dio, davanti alla cui grandezza cadeva in ginocchio in profonda adorazione: “Piegato col corpo, con gli occhi abbassati, pieno di vita interiore… posto in un lato della chiesa, con il capo piegato, inginocchiato, assorto nel mistero di Dio, immerso pienamente nella meditazione della santa compiacenza, sfogava i suoi affetti e le sue emozioni…”.
            “Trascorreva ore davanti al tabernacolo, inginocchiato, con il corpo piegato quasi orizzontalmente a terra, dopo la comunione”. Dalla contemplazione di Dio e dalla sua grandezza salvifica, Alexandre traeva una grande fiducia nella Divina Provvidenza, ma anche una radicale avversione alle colpe contro la gloria di Dio e al suo santo nome. Non poteva tollerare che si bestemmiasse. “Percependo una bestemmia, o diventava teso guardando intensamente colui che l’aveva pronunciata, o sussurrava con compassione, in modo che la persona potesse sentire: ‘La Madonna piange, Nostro Signore piange’”.
            La sua fede si esprimeva nelle devozioni tradizionali dell’Eucaristia, come abbiamo visto, e nel rosario mariano. Ma dove il suo impulso religioso trovava il canale più adatto alle sue esigenze era senza dubbio nella meditazione della passione di Cristo. “Del Sordo, ricordo l’impressione che avevamo nel sentirlo parlare della Passione di Cristo”.
            Egli portava il mistero della croce nella sua carne e nella sua anima. In suo onore aveva eretto i monumenti della croce, della deposizione e della sepoltura di Cristo. Tutte le testimonianze ricordano anche il crocifisso di ferro che portava appeso al petto, e la cui catena era conficcata nella pelle. E dormiva sempre con un grande crocifisso accanto a sé. Non volle spogliarsi del crocifisso nemmeno nei mesi di persecuzione religiosa che culminarono nel martirio. “Faccio del male? – diceva – e se mi uccidono, tanto meglio, così ho già il cielo aperto”.
            Ogni giorno faceva l’esercizio della Via Crucis: “Quando saliva nella sala studio, il signor Planas entrava nella cappella, e quando dopo un’ora scendevamo, stava finendo la Via Crucis, che faceva totalmente inclinato, fino a toccare terra con la testa”.
            Fondata su questa esperienza della croce alla quale si aggiungeva la sua profonda devozione al Sacro Cuore, la spiritualità del Sordo fu proiettata verso l’ascesi e la solidarietà. Viveva da penitente, in povertà evangelica e spirito di mortificazione. Dormiva su assi senza materasso o cuscino, avendo accanto a sé un teschio che gli ricordava la morte e “alcuni strumenti di penitenza”. Questo non lo apprese dai salesiani. Lo aveva appreso precedentemente e lo spiegava ricordando la spiritualità del padre gesuita, sant’Alfonso Rodríguez, il cui manuale era solito leggere nella casa del noviziato e che talvolta meditava in quegli anni.
            Ma l’amore per la croce lo spingeva anche alla solidarietà. La sua austerità era impressionante. Si vestiva come i poveri e mangiava frugalmente. Dava tutto quello che poteva dare: non soldi, perché non ne aveva, ma sempre il suo aiuto fraterno: “Quando c’era da fare qualcosa per qualcuno, lasciava tutto e andava dove c’era bisogno”. Quelli che più ne hanno beneficiato sono stati i bambini della catechesi e i malati. “Non mancava mai al capezzale di una persona gravemente malata: vegliava su di lui mentre la famiglia riposava. E se non c’era nessuno in famiglia che potesse preparare il defunto, era pronto per questo servizio. I preferiti erano i malati poveri che, se poteva, aiutava con le elemosine che raccoglieva o con il frutto del suo lavoro”.

(continua)

don Joan Lluís Playà, sdb