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Simone Srugi nacque a Nazareth (Palestina) il 15 aprile 1877 in una famiglia greco-melchita. Avendo persi da ragazzo entrambi i genitori, fu accolto nell’orfanotrofio di Betlemme, dove apprese i mestieri di sarto e panettiere. Dopo 4 anni di aspirantato e noviziato, professò come Coadiutore Salesiano e trascorse tutta la sua vita religiosa a Betgamāl-Caphargamala nella regione di Shephèla (1894–1943). Questa scuola agricola e orfanotrofio per ragazzi arabi e armeni, era aperta al servizio della popolazione locale con una scuoletta elementare, un mulino, un frantoio e un ambulatorio/dispensario.

1) Nella vita della comunità educativa, Srugi fu catechista dei piccoli, presidente delle confraternite del Santissimo Sacramento e di San Giuseppe, formatore dei chierichetti e cerimoniere liturgico, responsabile dell’infermeria. Fu esemplare per castità, povertà, obbedienza, gentilezza verso i confratelli e i collaboratori laici. Dominando il suo temperamento vivace, non si lasciava sopraffare dalla fretta o dall’agitazione, per cui grandi e piccini cercavano la sua amabile compagnia. Ammiravano la sua umiltà e la capacità di perdonare tutti e sempre, dando per scontato che «le persone veramente umili non credono mai di aver subito un torto». Nel santuario di Betgamāl, Simone vedeva ogni giorno le raffigurazioni di Gesù crocifisso che prega “Pater dimitte illis”, e di Santo Stefano che perdona chi lo lapidava. Incoraggiato dal loro esempio, raggiunse uno stato eroico di virtù, perdonando coloro che lo accusavano di aver causato la morte di una donna affetta da cancrena, curando il gruppo di giovinastri che lo avevano aggredito, e curando nell’ambulatorio perfino uno dei presunti assassini del suo direttore, don Mario Rosin.

2) Srugi svolse la sua opera soprattutto in quest’ultimo ambiente, coadiuvato da suor Tersilla Ferrero FMA. Ogni giorno curavano decine di poveri, malnutriti, affetti da varie malattie (malaria, dissenteria, infezioni ai polmoni, agli occhi, ai denti…). I registri delle medicazioni del periodo 1932-1942 contengono decine di migliaia di dati di pazienti provenienti da 70 villaggi vicini e lontani. Simone era animato da una grande carità, e si prendeva cura di questi fratelli e sorelle rozzi e sporchi con delicata compassione, vedendo nelle loro piaghe quelle di Gesù. La gente preferiva rivolgersi a lui piuttosto che ai medici, perché erano convinti che guarisse con la potenza di Dio.

3) Sorgente di questa vita eroicaera la sua abituale unione con Dio, che non si limitava alla celebrazione della Messa o alle lunghe ore di adorazione davanti al Santissimo Sacramento, ma traboccava in tutta la sua vita quotidiana, in una costante atteggiamento liturgico: «Dio abita nella mia anima non meno sfolgorante di luce e di gloria che nella gloria del cielo. Sono sempre alla presenza di Dio. Faccio parte della sua guardia d’onore. Cercherò di essere puro di mente e di cuore… Quanta attenzione dovrò avere a non macchiare mai la mia anima e il mio corpo, augusto tempio della Santissima Trinità!» – Testimoni affermano che Simone camminava sulla terra ma il suo cuore era in cielo. Lavorò e faticò, ma sempre sostenuto dalla speranza della ricompensa e del riposo eterno. “Viveva di fede, fondata su un grande amore di Dio, sull’abbandono totale alla Provvidenza. Il suo aspetto esteriore, sempre calmo, sorridente e sereno, emanava un’aria di paradiso che incantava. L’opinione comune era che vivesse più per il cielo che per la terra. In mezzo a tanta attività e diversi tipi di lavoro, Srugi dimorava abitualmente in un mondo superiore; nei suoi intimi colloqui con Dio, con la Madonna e con i santi, già pregustava qualcosa della patria celeste, alla quale dovette anelare con tutta l’urgenza dell’anima” (Don De Rossi). – “La virtù della speranza è quella che più ho ammirato in Simone. Non ho mai conosciuto nessuno che avesse una tale familiarità con il Cielo quanto lui. È stato il pensiero del Paradiso ad accompagnarlo e guidarlo in tutte le circostanze della vita, siano esse prospere o avverse. E questo pensiero, che per lui era quasi una cosa naturale, lo coltivava con delicatezza in tutti coloro che si avvicinavano a lui, fossero essi confratelli, giovani, malati, operai, e anche musulmani. Quante volte l’ho sentito dire e cantare: “Paradiso, paradiso!” [la nota lode sacra di Pellico-Bosco] A volte sembrava fuori di sé dalla gioia. Poiché eravamo abituati a vederlo raccolto e umile, era strano quando affrontava questi argomenti, così facilmente e in modo informale, allegramente, saltando di gioia. Srugi ha visto il paradiso e ne ha gustato in anticipo le delizie”. (Don Dal Maso)

4) Nei propositi personali, insiste sulla radicalità della sua consacrazione religiosa: «Mi sono donato, mi sono consacrato, mi sono venduto interamente al mio Dio. Quindi non devo essere né di me stesso, né del mondo, né dei giovani; i miei pensieri, i miei affetti, i miei desideri devono essere per Lui… Facendomi religioso mi sono donato tutto al mio Dio, corpo e anima, e Lui mi ha accettato volentieri come suo. … Mi sono consacrato al servizio di Dio con amore, e voglio mantenere i miei santi voti per lui e per piacergli… Essere religiosi non è altro che legarsi a Dio mediante una continua mortificazione di noi stessi, e vivere solo per Dio”. Un verso in rima riassume bellamente: “Pregare, soffrire, vivere secondo l’amor divino: questo, o religioso, è tutto il tuo destino”.
Insisteva che tutto dovesse essere sostenuto dalla “retta intenzione”, cioè dall’intenzione di servire e piacere solo a Dio, di fare tutto per la sua gloria, per suo amore. «Dio, nella sua immensa bontà, merita che tutto sia fatto in suo onore, anche se non ci fossero né paradiso né inferno… In ogni luogo e in ogni mia azione guarderò sempre il mio Dio, come Lui guarda me e farò di tutto per compiacerlo”. In questo Simone ha voluto imitare Gesù (“Io faccio sempre ciò che piace al Padre”: Gv 8,29), e seguire l’insegnamento di Francesco di Sales sul “beneplacito” di Dio.
Oltre all’Imitazione di Cristo, il libro di sant’Alfonso dei Liguori La pratica di amare Gesù Cristo è stato uno dei libri più letti da Simone. Amore significa imitazione che porta all’identificazione: Gesù crocifisso è il modello più perfetto che il religioso è chiamato a copiare, per diventare uno con Lui, «fino a poter dire con l’Apostolo: «non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). Questo è il significato più profondo del saluto abituale di Srugi: “Viva Gesù!” rivolto sia a cristiani che a musulmani, che per lui abbracciava tutto: “Che Gesù viva nei nostri cuori, nella nostra mente, nelle nostre opere, nella nostra vita e nella nostra morte”.
Questo atteggiamento abituale dava origine alla pace e alla tranquillità inalterabili che Simone irradiava: «L’assoluto abbandono alla volontà divina è il segreto della gioia dei santi… Dove c’è perfetta uniformità alla volontà di Dio, né la tristezza né la malinconia potranno mai regnare. […] La felicità di compiacere Dio facendo bene ogni cosa è un anticipo di paradiso.».

5) Simone è un testimone della primitiva tradizione salesiana e un modello attuale. La sua teologia della perfezione religiosa è quella contenuta negli scritti di Don Bosco, attualizzati dai suoi successori (D. Rua, D. Albera, D. Ricaldone – che egli conobbe personalmente durante le loro visite in Terra Santa – e D. Rinaldi); le loro lettere e “strenne” venivano regolarmente lette e commentate nella comunità di Betgamāl. Il suo “lessico” apparteneva quindi al “modo comune di sentire e di agire” in voga tra i salesiani di quell’epoca, espresso in termini familiari.
Srugi ha beneficiato soprattutto del ministero di don Eugenio Bianchi (1853-1931) che fu a Betgamāl dal 1913-1931, continuando a trasmettere l’originario carisma salesiano che aveva appreso dallo stesso Don Bosco e poi, dal 1886 al 1911, aveva “innestato” nella vita di più di mille novizi, tra cui molti futuri santi, già canonizzati o in cammino: Andrea Beltrami, Luigi Versiglia, Luigi Variara, Vincenzo Cimatti, Augusto Hlond… Simone Srugi non si è limitato a copiare un modello o a seguire genericamente le orme degli altri: ha elaborato, invece, un programma personalizzato di santificazione, al quale è rimasto fedele non solo a intermittenza ma costantemente, non solo in alcuni ambiti ma in tutti, pensando non solo a se stesso ma anche ai confratelli e ai ragazzi con cui ha vissuto, non nel chiuso di un ambiente esclusivamente cristiano ma in un contesto musulmano, non in tempi di pace ma in un periodo segnato da guerre ed eventi tragici. Per questi motivi incarnò un tipo di santità salesiana che all’epoca non aveva precedenti, fondendo armonicamente spiritualità bizantina e “latina”, contemplazione e azione.

6) Il 27 novembre 1943, logorato dalla fatica e dalle malattie, Simone terminava la sua vita terrena, che aveva speso nel servizio gioioso e sacrificato a Dio e agli altri. La sua fama di santità crebbe con il passare degli anni; giunsero notizie di grazie ottenute per sua intercessione. Nel clima del Concilio Vaticano II, presero risalto le dimensioni ecumenica e laicale della sua testimonianza, con risonanze in Oriente e Occidente. Dal 1964-66, e dal 1981-83, si celebrarono a Gerusalemme il processo diocesano e apostolico. In seguito, avendo la Congregazione per le Cause dei Santi espresso parere positivo, il 2 aprile 1993 Papa Giovanni Paolo II autorizzò il decreto sull’eroicità delle virtù, conferendo così a Simone il titolo di Venerabile, e proponendolo alla Chiesa universale come modello imitabile e come efficace intercessore.


don Giovanni Caputa, Vice-Postulatore