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Nella biografia di un famoso abate, l’emozione dell’incontro con don Bosco.


Oggi è abbastanza facile conoscere un santo da altare, è successo più volte anche a me. Ne ho incontrati vari: il cardinale di Milano Ildefonso Schuster (che mi ha cresimato) ed i papi Giovanni XXIII e Paolo VI; con madre Teresa ho conversato, con papa Giovanni Paolo II ho pure pranzato. Ma un secolo fa non era così facile, per cui aver avvicinato personalmente un santo da altare era un’esperienza che rimaneva impressa nella mente e nel cuore del fortunato. Così è avvenuto per l’abate trappista francese dom Edmond Obrecht (1852­1935). Nel lontano 1934, allorché fu canonizzato don Bosco, tre giorni dopo la solenne cerimonia, confidò al direttore del settimanale cattolico statunitense Louisville Record la sua grande soddisfazione di aver conosciuto personalmente il nuovo santo, di avergli stretto la mano, anzi di aver pranzato con lui.
Che cosa era successo? L’episodio è raccontato nella sua biografia.

Quattro ore con don Bosco
Nato in Alsazia nel 1852, Edmond Obrecht a 23 anni si era fatto frate trappista. Appena fatto prete nel 1879, padre Edmond fu mandato a Roma come segretario del Procuratore generale delle tre Osservanze Trappiste che nel 1892 sarebbero state riunite in un solo Ordine con la casa generalizia la Trappa delle Tre Fontane nella capitale italiana.
Nel soggiorno romano aveva la giornata di domenica libera e ne approfittava per andare a celebrare dai confratelli cistercensi nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Titolare era il Vicario di Roma, cardinale Lucido Maria Parocchi, per cui padre Edmond ebbe modo di servirlo varie volte nei solenni pontificali e entrare in confidenza con lui.
Ora il 14 maggio 1887 era prevista la consacrazione della Chiesa del S. Cuore di Roma, accanto all’attuale stazione Termini: una magnifica chiesa che a don Bosco era costata un patrimonio e per la quale aveva dato “corpo e anima” pur di riuscire a portarla a termine. Vi riuscì e nonostante la salute ormai decisamente compromessa (sarebbe morto otto mesi dopo) volle presenziare alla solenne cerimonia di consacrazione.
Per tale lunghissima celebrazione (cinque ore a porte chiuse) il card. Parocchi si fece accompagnare da padre Edmond. Un’esperienza decisamente indimenticabile per lui. Scriverà 50 anni dopo: “Durante quella lunga cerimonia ebbi il piacere e l’onore di sedermi accanto a don Bosco nel presbiterio della chiesa e dopo la consacrazione fui ammesso allo stesso tavolo suo e del cardinale. È stata l’unica volta nella mia vita in cui sono venuto a stretto contatto con un santo canonizzato e la profonda impressione che mi fece ha indugiato ancora nella mia mente per tutti questi lunghi anni”. Padre Edmond aveva sentito parlare molto di don Bosco, che in tempi di rottura delle relazioni diplomatiche della Santa Sede con il nuovo Regno d’Italia, godeva di una forte stima ed entratura presso i politici del tempo: Zanardelli, Depretis, Nicotera. I giornali del resto avevano parlato dei suoi interventi per comporre alcune gravi questioni relative alla nomina di nuovi vescovi ed all’entrata in possesso dei beni delle singole diocesi.
Dom Edmond non si accontentò di quella indimenticabile esperienza. Successivamente in occasione di un viaggio passò da Torino e volle soffermarsi per visitare la grande opera salesiana di don Bosco. Ne restò ammirato e non poté che gioire anche il giorno della sua beatificazione (2 giugno 1929).

Post Scriptum
Il giorno prima della consacrazione della chiesa del S. Cuore, il 13 maggio 1887, papa Leone XIII aveva dato udienza per un’ora a don Bosco in Vaticano. Si era mostrato molto cordiale con lui e aveva pure scherzato sul fatto che don Bosco data l’età si dichiarava prossimo alla morte (ma era più giovane del papa!), don Bosco però aveva un pensiero che forse non osò esprimere al papa in persona. Lo fece pochi giorni dopo, il 17 maggio, sul piede di partenza da Roma: gli chiese se poteva saldare in tutto o in parte la spesa della facciata della chiesa: una bella cifra, 51 000 lire [230 mila euro]. Coraggio o impudenza? Estrema confidenza o semplice sfacciataggine? Resta il fatto che pochi mesi dopo, il 6 novembre, don Bosco tornava alla carica chiedendo un intervento di monsignor Francesco della Volpe, prelato domestico del papa, per ottenere – scriveva – “la somma di 51 mila franchi, che la carità del Santo Padre fece sperare di pagare Egli stesso… il nostro Economo va a Roma per regolare appunto le spese di questa costruzione; egli passerà presso la E. V. per quella migliore risposta che potrà avere”. Garantiva che “I nostri orfanelli oltre a trecento mila pregano ogni giorno per Sua Santità”. E concludeva: “Compatisca questa mia povera e brutta scrittura. Non posso più scrivere”.
Povero don Bosco: in maggio in quella chiesa, celebrando davanti all’altare di Maria Ausiliatrice, aveva pianto più volte perché vedeva avverato il sogno dei nove anni; ma sei mesi dopo il suo cuore era ancora in angoscia perché alla morte che sentiva vicina lasciava un forte debito per chiudere i conti di quella stessa chiesa.
Per essa si spese veramente per vari anni, “fino all’ultimo respiro”. Lo sanno ben pochi delle decine di migliaia di persone che ogni giorno vi passano davanti, uscendo dalla stazione Termini in via Marsala.

P. Francesco MOTTO
Salesiano di Don Bosco, esperto di san Giovanni Bosco, autore di vari libri. Dottore in storia e Teologia, Docente invitato presso l’Università Pontificia Salesiana. Cofondatore e direttore per 20 anni dell’Istituto Storico Salesiano (ISS) e della rivista “Ricerche Storiche salesiane” (1992-2012), è fra i fondatori dell’Associazione Cultori di Storia salesiana (ACSSA), di cui è attuale Presidente (2015-2023). È stato consultore della Congregazione delle cause dei santi (2009-2014).